Aspetta che adesso è un po' lunga a risponderti, eh, e spro di riuscire a beccare bene tutti i punti. Aspettati una risposta molto confusa che parte alla cazzo e non so dove vada.
Allora. Io questa l'ho sempre considerata un po' casa nostra, ma avrei dovuto capire fin da subito che è sempre stata solo casa mia. Nel periodo in cui la risentivo girovagare per la città mi faceva benem prendevo aria dalla tesi, mi interrogavo sul come si sarebbe evoluta tutta questa faccenda, e non sentivo che casa mia mi stesse schiacciando. Adesso invece ho bisogno di starmene in mezzo ai libri e alle mie cose, nel mio nido. Come mi diceva lei prima di conoscermi. Sento di essere regredita: me ne vergogno. Io a mia madre voglio bene, le sono grata, perché ha deciso di tenermi, ma non sento particolare attaccamento verso la mia famiglia, verso il posto in cui sono nata. Più sto lontana da lì, meglio mi sento. Appena varco la soglia di casa di mia madre, mi viene da vomitare. Per me loro (per quanto non li voglia morti, per quanto non mi abbiano fatto nulla di male, per quanto li aiuti e ioro aiutino me) sono sangue, sono persone che non mi sono scelta, non sono persone con cui cercare compagnia o condividere interessi: sono sangue. Non mi intrigano, sono diversi da me. Posso essere loro grata, ma voglio scegliermi le persone: le persone che scelgo, i miei amici, con cui voglio stare, sono la mia famiglia: lei, che così tanto mi faceva ridere e mi abbracciava e mi accarezzava e tutto, la consideravo la mia famiglia. Non l'avevo cercata, non l'avevo corteggiata, non avevo fatto niente per trovarmela, e per me questa cosa era preziosa. Non sono uno di quei disabili gravemente compromessi fisicamente: cammino, mi tengo in equilibrio, sono "normale" se mi vedi: per quanto mi riguarda, mi piaccio anche abbastanza, ma ho, ad eempio, una grave scoliosi, e non è che sono un razzo. Piacerle mi sbalordiva. Sentirmi dire che ero speciale e che mi amava per questo (e me lo diceva fino un mese prima, quando già con l'altro ci andava!), e io comunque questo essere speciale o me lo stavo immaginando, o veramente glielo leggevo in faccia, mi sbalordiva. Per me questo era incredibilmente prezioso. Molto più prezioso dell'amore di una madre, di un fratello, di una sorella, di un padre. Scambiarsi le opinioni, poterle dare la mano e dirle "ci sono qui io, ci siamo qui insieme" per me era incredibilmente prezioso, perché le stavo dando un pezzetto di tutto quello che potevo darle. E mi fa male non (solo) l'essere stata tradita e vederla ridurre il tutto, dall'alto del suo cambiamento, in termini molto prosaici, ma il fatto che quel sentimento fosse per lei estremamente volatile: appena ha cominciato "ad attaccare bottone con tutti", valeva più intrattenere anche i rapporti più fessi coi colleghi di università che vedere questa povera stronza che ti chiedeva di cederci più di un weekend a settimana. Mi fa male pensare che un sentimento del genere possa semplicemente passarti, e che oltretutto, se glielo chiedevi, nemmeno riconosceva che almeno un bruscolino della sua crescita era germogliato dal palmo della mia mano che la teneva stretta. E proprio perché sapevo che aveva sempre avuto mebo amici di me, se qualcosa non mi stava bene la ingoiavo per darle le sue possibilità. Quando questo l'anno scorso ha cominciato a portarsela in giro, io ero gelosa, ma non ho detto nulla, ho inghiottito, e lei ne ha approfittato. Non lo so se fosse un legame di dipendenza, non credo di avere gli strumenti per poterlo dire adesso, o forse sì, e ho paura di ammetterlo, ma so che per me gli affetti sono profondi, ed è questo che mi spezza: adesso che so che non la potrò rivedere (me lo concedete un beneficio del dubbio. non si sa mai?), uscire fuori mi fa solo tirar fuori un sacco di lacrime, non so perché. Uscire fuori mi fa sentire tagliata fuori da tutto il mondo. Mi spezza sapere che per lei erano importanti altre cose: per me le persone che ti vogliono bene sono poche, pochissime al mondo, e vanno coltivate. Io per lei non ero una di quelle. Oltre questo desiderio di coltivare le persone e le cose, non so veramente più dentro di me cosa ci sia: è una vita che devo giustificare l'essere disabile con l'essere intelligente, che devo lottare con le unghie per dimostrare non so che cosa, e per la prima volta mi sentivo accolta, quando invece per lei ero sacrificabile.
Gran parte della mia vita non è mai stata felice: sono sempre stata molto grande fin da piccola, ogni giorno è una lotta, forse è per questo che, qualunque cosa le persone mi diano, quando scelgo di averle vicino, me la prendo senza fiatare: mi sono sempre ripetuta che i problemi sono altri, e adesso non c'è nulla che io voglia fare nulla che mi piaccia davvero, nulla che mi faccia pensare "ecco, questa sono io". A prescindere da lei, lo sento veramente solo se gli altri lo riconoscono.
Per banale che sia, penso di aver bisogno dell'amore degli altri, della stima - è il mio unico punto debole: aver bisogno e non riuscire mai a chiedere nulla. E sento che ora come ora, tutto quello che ho costruito, tutta l'intelligenza, tutta la cultura, non mi servano a molto: se tutto mi va bene (e questo è lo scenario migliore) riuscirò a trovare un impiego che mi darà due soldi per otto ore, con la laurea utilissima che ho, per tornare in una casa vuota. Non è l'esser stata tradita, a farmi sentire così: è l'essere stata trattata come una pezza. Non ho mai preteso che tu avessi cura di me nello stesso modo (o forse sì, ed è questo che l'ha fatta scappare?), ma almeno volevo essere trattata come una persona. E tutto quell'essere speciale per lei, che mi aceva accolta in casa sua, non era che una zavorra. Forse, fra tutte e due, quella normale è lei, che voleva tenersi distante da me, e non sono io. E mi sale un quantitativo infinito di rabbia perché l'ultima volta che ci siamo sentite mi ha detto "non voglio perderti, ma se devo uscire dalla tua vita lo accetto", e invece di quelle risposte pacate che le ho dato, e di quelle domande tenui che le ho fatto, per paura che mi depennase completamente e di riservarmi un giorno la possibilità che possa rendersi conto, avrei voluto dirle "sei tu che mi stai cacciando, sei tu ad aver fatto determinate scelte, e invece parli come se la cosa non ti riguardasse. Se proprio non vuoi perdermi, perché non tratarmi con un minimo di decenza? Cos'è che non vuoi perdere, se mi hai lasciata? Vuoi che ti tratti come prima, ma senza essere la tua ragazza, o stai parlando per dare aria alla bocca?" Le ho detto che volevo incontrarla per darle la tesi, perché era, sotto sotto, una lettera d'amore per lei, in cui c'erano dei passaggi che solo lei poteva capire, e la sua risposta, dopo un quarto d'ora di "non vogliouscire con te se l'idea è tornare insieme" è stata "allora non vuoi darmela?". E io al posto di dirle "No", per evitare proprio un'esplosione irreparabile, le ho detto "no, se mi dici non voglio perdermi questo tuo sentimento non è né una cosa, né un'altra", ma avrei voluto dirle "è un quarto d'ora che mi stai cacciando, perché adesso mi dici quasi quasi che la mia tesi la vuoi?" Mi morde l'essere esplosa a febbraio, quando siamo andate al cinema, perché se al posto di esplodere e di vomitarle tutto addosso l'avessi abbracciata come avrei voluto fare, se avessi messo da parte il rancore, forse sarebbe andata diversamente. Posso saperlo? No. Però vorrei saper dire le cose, ecco. Forse hai ragione nel dire che soffro perché la mia cura non è stata riconosciuta, che nelle sue fragilità curavo anche le mie, però ammetto che, nel'aver risposto al suo "ti meriti ogni bene", non sono stata sincera. Spero che lo provi sulla sua pelle, tutto questo dolore. Vorrei tanto volerle male, ma le voglio l'amore che le volevo prima. Però vorrei che qualcosa che le faccia capire che gli altri non sono uno straccetto da dismettere le capiti, che magari qualcosa gli sussurri all'orecchio che "cazzo, una persona che mi amava, che mi voleva far partecipe della sua gioia di vivere io ce l'avevo, e me la sono bruciata", perché forse l'esito è stato sballato, ma questo volevo: qualcuno che partecipasse della gioia che mi devo creare da quando soo nata, ogni mattina, alzandomi dal letto. Volevo contagiarla e volevo che lei potesse goderne con me. E adesso non so come riprendermela. Ho sempre pensato "ho visto morire mio padre, mio zio, più di un amico: perché sprecare le occasioni belle che possiamo avere con gli altri?", ma io per lei non ero quell'occasione. Se lo sono, con tutto che io avrei voglia di fare la figura di riscriverle, si faccia la cazzo di vita mondana che le piace tanto, e spero che la asciughi, che non trovi nessuno con cui parlare alla pari come faceva con me, e che si mangi pure i gomiti.
Io sono quella che ero prima di conoscerla: combatto con il mio fisico, orchestrando metodi ingegnosi per sopravvivere fra le mura domestiche senza uccidermi scolando la pasta, leggo libri, invento storie. Dietro queste cose, prima di conoscerla, c'era un colore che le animava, ovvero la curiosità di scrivere di sentimenti che non credo avrei mi potuto provare, poi è arrivata lei, e adesso non c'è più un cazzo di nulla. Sono io, non sono cambiata, come invece ha fatto lei, e quindi forse non sono neppure cresciuta. In realtà penso di aver sempre mantenuto un gran senso di me e di quello che volevo, solo che questo senso è fatto di poche cose.
Voi dite "quando starai bene non ti servirà sapere se qualcosa le è successo, poi non lo potrai mai sapere", e razionalmente è vero, ma ora come ora è l'unica cosa che riesco a pensare. Se non fosse che se una persona è stronza, galleggia perché determinati sentimenti non contribuiscono a tirarla giù.
E quindi è meglio che non penso a nulla, alla mancanza che mi pugnala, e mi sfondo di Netflix: mi fa ridere che adesso guardo i battibecchi a scopo firt dei personaggi e riesco solo a dirmi "non è così che funziona, è tutto finto".