Quindi continuo a non capire il disagio in costume se come sostieni non è per un fattore estetico
Ho detto che disagio non è il termine giusto. L’anomalia della situazione e anche un po’ buffa.
Infatti l’ho vista anche da bambina e pure quando ero tra le migliori della spiaggia.
Se la spiaggia è semivuota, mi pare più normale.
Forse c’entra la prossimità. Nelle spiagge attrezzate, con gli ombrelloni vicini... vi è una vicinanza confidenziale con corpi di sconosciuti.
È come quando si va in casa altrui. Entrando si dice “permesso?” anche se si è stati invitati. Lo dicono perfino i figli, se non abitano più nella casa di famiglia.
Perché si fa?
Perché stiamo entrando in uno spazio intimo.
Anche il nostro corpo è uno spazio intimo, ben più della casa. Infatti non solo vogliamo decidere noi con chi fare sesso e dare accesso alla nostra intimità, ma ci dà fastidio che estranei ci tocchino. A volte ci dà fastidio anche il tocco di amici.
Lo sguardo è un altro modo per toccare.
Nelle nostre spiagge è normale stare in costume, costumi che si sono ridotti nel tempo, rispetto, ad esempio, a solo cent’anni fa. Al punto che i perizomi, che ormai coprono ben poco, sono diffusi.
Però ognuno così si mostra e vede parti intime.
Si crea una intimità di corpi con persone con le quali non si ha neppure una conoscenza superficiale.
Da questo ho capito il motivo per cui io “attacco bottone” in determinati ambienti in cui mi sembra sia un modo per riequilibrare una forma di intimità che si è creata nostro malgrado. Ad esempio nei pronto soccorso. Stiamo mostrando e vedendo una cosa intima come la sofferenza, almeno sorridiamoci e parliamo.
Così attacco bottone con i vicini di ombrellone.