Cento anni fa nasceva a Torino il più geniale pubblicitario italiano. La sua grafica inconfondibile ha accompagnato il Paese attraverso la rivoluzione della televisione creando personaggi indimenticabili.
ANSA
Carmencita e Caballero, in una foto di repertorio i pupazzi nati nel 1964 per promuovere il caffè Paulista.
Il Novecento è stato anche un secolo di grande pubblicità italiana. E oggi è trascorso esattamente un secolo dalla nascita – avvenuta a Torino il 23 marzo del 1917 – di uno dei suoi massimi protagonisti, Armando Testa. Una figura che ha interpretato in maniera esemplare l’evoluzione della professione pubblicitaria in Italia, e i mutamenti della società e dell’economia del Paese che ha vissuto il boom e la rivoluzione della televisione medium di massa.
Testa aveva mosso i primi passi nello studio grafico fondato nel 1946. Era, fin nel midollo, un giovane artista (che aveva vinto alcuni concorsi e si trovava molto legato alla pittura astratta) e un illustratore per l’editoria; e quello era precisamente l’imprinting, tra grafica e belle arti applicate, che orientava la pubblicità, fatta solo di manifesti e «réclames», dell’Italia della prima metà del secolo. Una volta trasformato lo studio, dieci anni più tardi, in un’agenzia di pubblicità, si è rivelato uno dei pionieri che ha saputo declinare al meglio la «maniera italiana» – come l’ha etichettata il semiologo Omar Calabrese – e la via nazionale alla propaganda commerciale (attività, come molte altre del Secolo breve, eminentemente statunitense).
Il giovane Testa fece dunque i suoi esordi come graphic designer e si convertì, strada facendo, in un «visualizzatore globale» (definizione di Gillo Dorfles). Il segno grafico ha infatti rappresentato sempre un elemento centrale della sua ricerca, che l’ha portato a realizzare vari manifesti memorabili lungo tutto l’arco della carriera: «re Carpano» (’51); i pneumatici Atlante Pirelli (‘54); il digestivo Antonetto, Punt e Mes e la campagna per le Olimpiadi di Roma (nel ‘60); il collirio Stilla e i pannolini Lines nel ’68; la «dolce Euchessina» (‘75). Un tratto e un talento che trovavano nella sintesi (e nel saper cogliere il connotato distintivo primario della merce reclamizzata) una delle qualità fondamentali, perché vincente – una regola immarcescibile della comunicazione – è quel messaggio che veicola un concetto, un’idea o un prodotto che si fanno ricordare in maniera diretta ed essenziale. Accanto a un uso marcato del colore, si collocavano l’ironia e la capacità di contestualizzazione del prodotto rispetto a un ambiente sociale e culturale, come nel connubio con l’azienda Carpano (creatrice del vermut), la cui pubblicità era intrisa di sottintesi e riferimenti tutti «sabaudi»; e, ancora, come nella giocosa reinvenzione di alcune figure chiave del Risorgimento e della storia patria (da Cavour a Giuseppe Verdi).
Testa riuscì a partorire delle autentiche icone grafiche, il cui ricordo si tramanda tutt’oggi, dall’elefante Pirelli alla sfera che ne sovrasta un’altra mezza di Punt e Mes (in dialetto piemontese «un punto e mezzo»), dall’ippopotamo azzurro Lines fino ai pupazzi di Caballero e Carmencita per il caffè Paulista della Lavazza. E tantissime sono state le imprese importanti che si sono rivolte a lui, dalla Peroni alla Face, da Borsalino a Olio Sasso, sino a Bnl.
Un Paese nel pieno del miracolo economico e una società affluente hanno trovato in Testa il cervello creativo per rappresentarsi ed esprimere la gioiosa vertigine dei consumi che finalmente si allargavano a settori ampi della popolazione. Il Carosello tv fu il palcoscenico di questa stagione di consumismo felice e pacificato che si premurava di arrivare direttamente dentro le case degli italiani, e lo Studio Testa ne rappresentò il principale, e più brillante, «spacciatore di idee». Anche intra moenia, perché di quel fermento e di quella fase di modernizzazione sotto la stella dell’americanizzazione Testa si è fatto terminale – lui che proveniva dall’assai più tradizionale cultura della cartellonistica – adottando i paradigmi di organizzazione del lavoro d’Oltreoceano alla propria agenzia, e cavalcando la ventata di novità e le potenzialità in termini di efficacia offerte dal tubo catodico.
Cominciano così a piovere i riconoscimenti e, tra il ’65 e il ’71, gli viene assegnata la cattedra di Disegno e Composizione della stampa presso il Politecnico di Torino. Nel ’78 cambia l’assetto societario, e sorge l’Armando Testa spa, che sbarca anche a Roma e Milano affermandosi come la prima agenzia pubblicitaria nazionale per fatturato (e, tuttora, altra significativa peculiarità, costituisce l’unica operante nel Paese a capitale interamente italiano). Dalla seconda metà degli anni Ottanta, matura una svolta professionale che conduce Testa a lavorare sempre più strettamente con istituzioni e festival culturali: sua è l’ideazione del logo e dell’immagine del Salone del libro.










Un tributo al grande creatore torinese, ed un "amarcord" dell'infanzia....
Carmencita e Caballero, in una foto di repertorio i pupazzi nati nel 1964 per promuovere il caffè Paulista.
Il Novecento è stato anche un secolo di grande pubblicità italiana. E oggi è trascorso esattamente un secolo dalla nascita – avvenuta a Torino il 23 marzo del 1917 – di uno dei suoi massimi protagonisti, Armando Testa. Una figura che ha interpretato in maniera esemplare l’evoluzione della professione pubblicitaria in Italia, e i mutamenti della società e dell’economia del Paese che ha vissuto il boom e la rivoluzione della televisione medium di massa.
Testa aveva mosso i primi passi nello studio grafico fondato nel 1946. Era, fin nel midollo, un giovane artista (che aveva vinto alcuni concorsi e si trovava molto legato alla pittura astratta) e un illustratore per l’editoria; e quello era precisamente l’imprinting, tra grafica e belle arti applicate, che orientava la pubblicità, fatta solo di manifesti e «réclames», dell’Italia della prima metà del secolo. Una volta trasformato lo studio, dieci anni più tardi, in un’agenzia di pubblicità, si è rivelato uno dei pionieri che ha saputo declinare al meglio la «maniera italiana» – come l’ha etichettata il semiologo Omar Calabrese – e la via nazionale alla propaganda commerciale (attività, come molte altre del Secolo breve, eminentemente statunitense).
Il giovane Testa fece dunque i suoi esordi come graphic designer e si convertì, strada facendo, in un «visualizzatore globale» (definizione di Gillo Dorfles). Il segno grafico ha infatti rappresentato sempre un elemento centrale della sua ricerca, che l’ha portato a realizzare vari manifesti memorabili lungo tutto l’arco della carriera: «re Carpano» (’51); i pneumatici Atlante Pirelli (‘54); il digestivo Antonetto, Punt e Mes e la campagna per le Olimpiadi di Roma (nel ‘60); il collirio Stilla e i pannolini Lines nel ’68; la «dolce Euchessina» (‘75). Un tratto e un talento che trovavano nella sintesi (e nel saper cogliere il connotato distintivo primario della merce reclamizzata) una delle qualità fondamentali, perché vincente – una regola immarcescibile della comunicazione – è quel messaggio che veicola un concetto, un’idea o un prodotto che si fanno ricordare in maniera diretta ed essenziale. Accanto a un uso marcato del colore, si collocavano l’ironia e la capacità di contestualizzazione del prodotto rispetto a un ambiente sociale e culturale, come nel connubio con l’azienda Carpano (creatrice del vermut), la cui pubblicità era intrisa di sottintesi e riferimenti tutti «sabaudi»; e, ancora, come nella giocosa reinvenzione di alcune figure chiave del Risorgimento e della storia patria (da Cavour a Giuseppe Verdi).
Testa riuscì a partorire delle autentiche icone grafiche, il cui ricordo si tramanda tutt’oggi, dall’elefante Pirelli alla sfera che ne sovrasta un’altra mezza di Punt e Mes (in dialetto piemontese «un punto e mezzo»), dall’ippopotamo azzurro Lines fino ai pupazzi di Caballero e Carmencita per il caffè Paulista della Lavazza. E tantissime sono state le imprese importanti che si sono rivolte a lui, dalla Peroni alla Face, da Borsalino a Olio Sasso, sino a Bnl.
Un Paese nel pieno del miracolo economico e una società affluente hanno trovato in Testa il cervello creativo per rappresentarsi ed esprimere la gioiosa vertigine dei consumi che finalmente si allargavano a settori ampi della popolazione. Il Carosello tv fu il palcoscenico di questa stagione di consumismo felice e pacificato che si premurava di arrivare direttamente dentro le case degli italiani, e lo Studio Testa ne rappresentò il principale, e più brillante, «spacciatore di idee». Anche intra moenia, perché di quel fermento e di quella fase di modernizzazione sotto la stella dell’americanizzazione Testa si è fatto terminale – lui che proveniva dall’assai più tradizionale cultura della cartellonistica – adottando i paradigmi di organizzazione del lavoro d’Oltreoceano alla propria agenzia, e cavalcando la ventata di novità e le potenzialità in termini di efficacia offerte dal tubo catodico.
Cominciano così a piovere i riconoscimenti e, tra il ’65 e il ’71, gli viene assegnata la cattedra di Disegno e Composizione della stampa presso il Politecnico di Torino. Nel ’78 cambia l’assetto societario, e sorge l’Armando Testa spa, che sbarca anche a Roma e Milano affermandosi come la prima agenzia pubblicitaria nazionale per fatturato (e, tuttora, altra significativa peculiarità, costituisce l’unica operante nel Paese a capitale interamente italiano). Dalla seconda metà degli anni Ottanta, matura una svolta professionale che conduce Testa a lavorare sempre più strettamente con istituzioni e festival culturali: sua è l’ideazione del logo e dell’immagine del Salone del libro.









Un tributo al grande creatore torinese, ed un "amarcord" dell'infanzia....