Alphonse02
Utente di lunga data
e a Roma sarebbe la festa di San Giuseppe "frittellaro", una ricorrenza cara alla tradizione romanesca.
"Frittellaro" perché secondo una tradizione medioevale, S. Giuseppe, oltre ad essere falegname, per mantenere Maria ed Gesù, avrebbe fatto il venditore ambulante di frittelle. Da qui il tipico nomignolo dialettale, reso noto da una poesia-preghiera di Checco Durante, composta alla metà del secolo scorso.
Il testo lo trovate in fondo.
Intorno al XV secolo si diffuse questa speciale devozione riguardante la figura di Giuseppe, padre putativo del Cristo, già considerato protettore dei poveri, delle famiglie, dei padri di famiglia, dei carpentieri, degli ebanisti, dei falegnami, degli artigiani e degli operai.
Dato il luogo virtuale dove ci troviamo, direi santo protettore anche dei traditi, visto che la sua figura di padre di figlio non suo la seppe portare avanti con dignità ed onore.
E, tornando a Roma, la corporazione dei falegnami coltivò la tradizione di festeggiare con grandi processioni e con la consumazione all'aperto delle frittelle fritte in grandi contenitori di olio bollente, riempite di crema pasticcera e vendute per strada.
Addirittura la corporazione dei falegnami finanziò alla fine del XVI sec., la costruzione di una chiesa in Roma nei pressi del Foro Romano, commissionata all'Arch. Giacomo Della Porta. E' la Chiesa di S. Giuseppe dei Falegnami al Foro.
Nella Città Eterna esiste anche una ben più imponente Basilica (minore) di S. Giuseppe al Trionfale, progettata dall'Ing. Aristide Leonori e costruita all'inizio del XX sec. (consacrata nel 1912), su impulso di Don Luigi Guanella. Si trova nei pressi di Piazzale degli Eroi, ai margini del quartiere Prati.
Questo per dire che la venerazione di S. Giuseppe era sentita dal popolo romano.
Nella mia famiglia si è sempre celebrata con i bigné fatti in casa (fritti ed al forno).
Oggi, per ricordare l'antica usanza sono andato in una delle pasticcerie da me frequentate ed ho preso tre splendidi bigné, due fritti ed uno al forno, di dimensioni ragguardevoli.
Ed ho cominciato al giornata con una ricca colazione ...

La preghiera a San Giuseppe
San Giuseppe frittellaro,
tanto bono e tanto caro,
tu che sei così potente
da aiutà la pòra gente,
tutti pieni de speranza
te spedimo quest’istanza.
Fa sparì da su ‘sta tera
chi desidera la guera;
fa venì l’era beata
che la gente affratellata
da la pace e dal lavoro
nun se scannino tra loro.
Fa che er popolo italiano
ciabbia er pane quotidiano
fatto solo de farina
senza ceci ne saggina.
Fa che calino le tasse
e la luce, er tranve e er gasse;
che ar telefono er gettone,
nun lo mettano un mijone;
che a potè legge er giornale
nun ce serva un capitale;
fa che tutto a Campidojo
vadi liscio come l’ojo;
che a li ricchi troppo ingordi
je se levino li sordi
pe’ curà quer gran malato
che sarebbe l’impiegato
che, così, l’avrebbe vinta
e s’allarga un po’ la cinta;
mò quer povero infelice
fa la cura dell’alice…
e la panza è tanto fina
che s’incolla co’ la schina.
O mio caro San Giuseppe
famme fa un ber par de peppe,
ma fa pure che er pecione
nun le facci cor cartone
che sinnò li stivaletti
doppo un mese che li metti
te li trovi co’ li spacchi
senza sola e senza tacchi.
E fa pure che er norcino
er salame e er cotechino
ce lo facci onestamente
cor maiale solamente
che sinnò li drento c’è
tutta l’arca de Noè.
Manna er freddo e manna er sole
tutto quello che ce vole
pe’ fa bene a la campagna
che sinnò qua nun se magna.
Manna l’acqua che ricrea
che sinnò la sora Acea
ogni vorta che nun piove
s’impressiona e fa le prove
pe’ potè facce annà a letto
cor lumino e er moccoletto.
O gran Santo benedetto
fa che ognuno riabbia un tetto.
La lumaca, affortunata,
cià la casa assicurata
che la porta sempre appresso…
fa pe’ noi puro lo stesso…
facce cresce su la schina
una camera e cucina.
Fa che l’oste, bontà sua,
pe’ fa er vino addopri l’uva
che sinnò quanno lo bevi
manni giù l’acqua de Trevi.
Così er vino fatto bene
fa scordà tutte le pene
e te mette l’allegria.
Grazzie tante…
accusì sia!
"Frittellaro" perché secondo una tradizione medioevale, S. Giuseppe, oltre ad essere falegname, per mantenere Maria ed Gesù, avrebbe fatto il venditore ambulante di frittelle. Da qui il tipico nomignolo dialettale, reso noto da una poesia-preghiera di Checco Durante, composta alla metà del secolo scorso.
Il testo lo trovate in fondo.
Intorno al XV secolo si diffuse questa speciale devozione riguardante la figura di Giuseppe, padre putativo del Cristo, già considerato protettore dei poveri, delle famiglie, dei padri di famiglia, dei carpentieri, degli ebanisti, dei falegnami, degli artigiani e degli operai.
Dato il luogo virtuale dove ci troviamo, direi santo protettore anche dei traditi, visto che la sua figura di padre di figlio non suo la seppe portare avanti con dignità ed onore.
E, tornando a Roma, la corporazione dei falegnami coltivò la tradizione di festeggiare con grandi processioni e con la consumazione all'aperto delle frittelle fritte in grandi contenitori di olio bollente, riempite di crema pasticcera e vendute per strada.
Addirittura la corporazione dei falegnami finanziò alla fine del XVI sec., la costruzione di una chiesa in Roma nei pressi del Foro Romano, commissionata all'Arch. Giacomo Della Porta. E' la Chiesa di S. Giuseppe dei Falegnami al Foro.
Nella Città Eterna esiste anche una ben più imponente Basilica (minore) di S. Giuseppe al Trionfale, progettata dall'Ing. Aristide Leonori e costruita all'inizio del XX sec. (consacrata nel 1912), su impulso di Don Luigi Guanella. Si trova nei pressi di Piazzale degli Eroi, ai margini del quartiere Prati.
Questo per dire che la venerazione di S. Giuseppe era sentita dal popolo romano.
Nella mia famiglia si è sempre celebrata con i bigné fatti in casa (fritti ed al forno).
Oggi, per ricordare l'antica usanza sono andato in una delle pasticcerie da me frequentate ed ho preso tre splendidi bigné, due fritti ed uno al forno, di dimensioni ragguardevoli.
Ed ho cominciato al giornata con una ricca colazione ...

La preghiera a San Giuseppe
San Giuseppe frittellaro,
tanto bono e tanto caro,
tu che sei così potente
da aiutà la pòra gente,
tutti pieni de speranza
te spedimo quest’istanza.
Fa sparì da su ‘sta tera
chi desidera la guera;
fa venì l’era beata
che la gente affratellata
da la pace e dal lavoro
nun se scannino tra loro.
Fa che er popolo italiano
ciabbia er pane quotidiano
fatto solo de farina
senza ceci ne saggina.
Fa che calino le tasse
e la luce, er tranve e er gasse;
che ar telefono er gettone,
nun lo mettano un mijone;
che a potè legge er giornale
nun ce serva un capitale;
fa che tutto a Campidojo
vadi liscio come l’ojo;
che a li ricchi troppo ingordi
je se levino li sordi
pe’ curà quer gran malato
che sarebbe l’impiegato
che, così, l’avrebbe vinta
e s’allarga un po’ la cinta;
mò quer povero infelice
fa la cura dell’alice…
e la panza è tanto fina
che s’incolla co’ la schina.
O mio caro San Giuseppe
famme fa un ber par de peppe,
ma fa pure che er pecione
nun le facci cor cartone
che sinnò li stivaletti
doppo un mese che li metti
te li trovi co’ li spacchi
senza sola e senza tacchi.
E fa pure che er norcino
er salame e er cotechino
ce lo facci onestamente
cor maiale solamente
che sinnò li drento c’è
tutta l’arca de Noè.
Manna er freddo e manna er sole
tutto quello che ce vole
pe’ fa bene a la campagna
che sinnò qua nun se magna.
Manna l’acqua che ricrea
che sinnò la sora Acea
ogni vorta che nun piove
s’impressiona e fa le prove
pe’ potè facce annà a letto
cor lumino e er moccoletto.
O gran Santo benedetto
fa che ognuno riabbia un tetto.
La lumaca, affortunata,
cià la casa assicurata
che la porta sempre appresso…
fa pe’ noi puro lo stesso…
facce cresce su la schina
una camera e cucina.
Fa che l’oste, bontà sua,
pe’ fa er vino addopri l’uva
che sinnò quanno lo bevi
manni giù l’acqua de Trevi.
Così er vino fatto bene
fa scordà tutte le pene
e te mette l’allegria.
Grazzie tante…
accusì sia!