Ma che bello questo post, che trovo dopo diversi giorni di diserzione (e me ne dolgo). Mi sono chiesta spesso anch'io: ma perché si prova il bisogno irrefrenabile, a volte, di rivangare, di riattivare, di spalare, di smuovere, e quasi sempre con violenza, con boati, esplosioni, deflagrando e scatenando di nuovo cose che dovrebbe e potrebbe essere anacronistico riattizzare? Capita anche a me, cerco la detonazione, con tutto il corteo di palpitazioni, tremori, ruggiti, sudorazioni ecc. . E già, perché il tradimento è un cataclisma, e come i cataclismi svela nuovi scenari e nuove geografie: così come terremoti, alluvioni, folgorazioni della crosta terrestre hanno fatto emergere continenti, vulcani, bacini d'acqua, sgorgare cascate e tracciato letti di fiumi, così un tradimento potrebbe mostrare, all'indomani, un nuovo aspetto del mondo...
Il guaio è quando mentre i vapori delle eruzioni si diradano e le cortine delle fumigazioni dopo la spaccatura della crosta terrestre si dileguano, e si viene improvvisamente colti dal terrore che fugate le ultime fiamme ci si guardi intorno e si veda che la geografia non è cambiata: non una collina emersa, non un poggio, neanche un rigagnolo. Allora si deve provocare un altro terremotino, una deflagrazione qualunque, una copia, una riattivazione, perché tutto sarebbe preferibile al guardarsi intorno, the day after, e scoprire una piatta landa desolata con giusto un malinconico filo di fumo.