Sì, in linea di principio, nel senso che questo presume che la "vittima" sia una persona tutto sommato che sta bene con se stessa e che ha una sorta di rete e che del pericolo fisico reale la pensi come te, cioè che ne abbia un sano timore.
Quello che è successo a quel ragazzino è un fatto gravissimo e terribile e non voglio affatto sminuirlo. Io semplicemente contenstavo il fatto che la violenza psicologica non può essere anche fisica.
La violenza psicologica serve a tastare il terreno e vedere fino a che punto si può arrivare.
Osservavo l'altro giorno tre bimbetti che giocavano tra loro facendo il gesto di picchiarsi senza farlo. Sapete tipo "vediamo se hai paura?!" Dopo un po' la finzione è diventata tocco lieve e poi vera sberla nei confronti della bimba che reagiva anche al piccolo tocco senza reagire né con paura né ribellandosi. Ci sarebbe stato un crescendo se non fosse intervenuto un adulto a bloccarlo.
Non si trattava di odio nei confronti di quella ma di modalità istintiva di capire i limiti.
I protagonisti aggressori sono probabilmente ancora a quel livello e la mitezza nei confronti delle offese e poi dei primi contatti fisici e poi dell'aggressione non hanno posto loro il limite.
Anche Tuba, mi pare, esemplificava questo, raccontando della sua compagnia adolescenziale (ma che compagnie avevate?! Tra di noi non ci siamo mai offese) e dei nomignoli offensivi, accettati nel gruppo amicale perché segno di un'appartenenza e reciproci, non erano tollerati fuori dalla cerchia perché esisteva una rete di protezione. Questo significa che il nomignolo e la presa in giro era in quel gruppo una "palestra", come spesso accade nei gruppi adolescenziali così come la lotta tra cuccioli, e stabilire un limite e nel contempo fortificarsi.
Ma chi è fuori dal gruppo è una vittima "ideale" soprattutto per chi, a sua volta, è fuori da molti gruppi e lo è sempre stato e solo nel gruppo delinquenziale ha trovato la rete di supporto.