Il problema più che altro consiste nel fatto che, terminato il matrimonio, il mantenimento della moglie (o in casi sporadici, del marito) diventa assistenza a vita.
Posso ritenere accettabile un periodo di due anni in cui il coniuge più debole venga aiutato dall'altro a far fronte alla separazione, ma dopo tale termine ogni individuo dovrebbe essere in grado di badare a se stesso.
Si dovrebbe anche supporre che entrambi i coniugi, in questo frattempo, possano anche aver iniziato altre relazioni o convivenza, che potrebbero anche influenzare il loro tenore di vita.
Per quanto riguarda i figli, mi infastidisce il concetto che emerge di fondo, ovvero che l'affidamento dei figli sia un onere, per cui chi non ce l'ha deve contribuire dal punto di vista economico.
L'affido dei figli è piuttosto un privilegio: un padre privato della convivenza con i figli se ad essi è normalmente legato, soffre per tale situazione, e tale sofferenza non è bilanciata dal diritto a decidere per loro nella condivisione attualmente promosso, e dalle visite periodiche ma limitate per legge. Purtroppo questo è l'aspetto più controverso, ma che mette alla luce la disparità enorme che sorge in tantissime separazioni, che non è solo economica, ma anche affettiva. Una soluzione potrebbe essere quella di limitare a un massimo di due anni il mantenimento del coniuge, nello stabilire l'esatta divisione dei beni in possesso di entrambi con l'obbligo di alienazione degli immobili posseduti (o all'acquisto della parte dell'altro coniuge), nella condivisione dei figli anche dal punto di vista della convivenza, per periodi alternati secondo disposizione di legge, salvo un accordo diverso da parte di entrambi i genitori.