Donne che parlano coi lupi - Libro scritto da Clarissa Pinkola Estés
Attraverso un lavoro di ricerca ventennale, l'autrice ha raccolto fiabe popolari, miti e racconti su cui ha basato parte del suo lavoro di psicanalista. In “Donne che corrono coi lupi” presenta una serie di archetipi femminili che esprimono la forza potentissima, selvaggia, istintiva, creativa e passionale che si nasconde in ogni donna. L’autrice mostra come è necessario riappropriarsi di questa forza istintiva e visionaria, persa nel corso del tempo, per riscoprire il proprio valore e potere personale.
Come il racconto della Loba, la Donna Lupa. Pelosa, grassa e solitaria vive nel deserto e ha un’unica occupazione: la raccolta delle ossa ed in particolare quelle dei lupi. Quando ha riunito un intero scheletro, seduta accanto al fuoco, canta e le creature, di nuovo coperte di carne e pelo, tornano in vita. Le ossa rappresentano la forza indistruttibile, la natura istintiva di cui la Loba è la custode.È una fiaba che parla della ciclicità della Vita e della Morte. Ci racconta di tutte quelle parti di noi che abbiamo perduto, disperso nelle nostre esperienze di vita, spesso dolorose, quelle piccole morti che ognuno di noi ha vissuto.
La Loba ci mostra come possiamo recuperarle, ricomporle e ridare loro nuova vita.È un lavoro di scoperta continuo, solitario, profondo che possiamo percorrere con strumenti differenti, quali ad esempio il canto, la pittura, la musica, la scrittura o la meditazione.
In netta contrapposizione è il racconto Barbablù, che porta alla luce un’altra forza, questa volta portatrice di distruzione: quella che separa la donna dalla sua natura intuitiva, lasciandola indebolita e fragile.La protagonista di questa storia è la giovane ultima promessa sposa di Barbablù, ricco e temibile signore, già sposato diverse volte e delle cui mogli si ignora il destino. Incurante delle voci che le vogliono assassinate dal marito, la giovane sposina non presta ascolto neanche alle sue intuizioni ed ai consigli delle sorelle e decide di sposarlo. Seguendo la sua ingenuità, si inganna. Questo racconto sembra la metafora perfetta per tutte quelle donne che “incappano” in relazioni dolorose con uomini narcisisti o violenti. Quelle donne che si nascondo dietro ad un “ ma in fondo è buono, in fondo mi ama a modo suo”.
La generazione di Cinquanta sfumature di grigio, schiere di Anastasia che procedono nelle loro relazioni sotto l’insegna del “io lo cambierò”, ed ingenuamente non capiscono che Barbablù mai si trasforma in un principe azzurro. Il suo unico scopo è trascinare la donna in cantina e succhiarle la sua energia vitale. È lei stessa che spesso uccide la sua natura creativa.
Per uscirne bisogna trovare la chiave e aprire la porta, solo così la donna sceglie la vita. Per Clarissa Pinkola Estés la porta, nella storia, rappresenta quella barriera interiore che impedisce di ammettere ed ascoltare ciò che già sappiamo nel nostro intimo.
La Donna Selvaggia sa riconoscere i Barbablù che si presentano sul suo cammino, sa come trattarlo, ne conosce i travestimenti, i trucchi, le manipolazioni. Sa tenergli testa, sa mettere in atto ciò che occorre fare. Ed è grazie alla fiaba russa di Vassilissa che impariamo come il nostro intuito va nutrito, alimentato e che lo possiamo fare solo fidandoci ed usandolo.
In un mondo dove le donne sono impiccate per essersi difese, dove vengono mercificate e spesso sono loro stesse a svalutarsi, le storie raccolte da Clarissa sono - come le definisce lei stessa - " vitamine per l'anima " .
Sono fiabe, miti, racconti, archetipi che parlano direttamente a quella parte della donna che resta spesso relegata nel profondo della propria interiorità, lasciando trasparire la forza innata del Femminile.
Non è un testo attualissimo, si porta quindici anni sulle spalle, ma non importa. La sua voce sembra senza tempo, e forse senza luogo, come se parlasse un linguaggio universale.
Si rivolge alle donne, alle donne oppresse e piegate dai vincoli sociali, culturali, imposti ed autoimposti perché così hanno insegnato loro, così le hanno cresciute, così pensano che sia normale essere. E anche se sono tremendamente infelici e insoddisfatte delle loro vite, anche se qualcosa dentro le pungola e le spinge a muoversi, non sanno di poter essere qualcosa di diverso. Forse lo intuiscono, lo desiderano, ma "l'educazione" le ha convinte che non sta bene, non sta bene ribellarsi, far sentire la propria voce, smettere di subire e sacrificarsi per fare l'esatto opposto: affermarsi, cercare rispetto, dagli altri e da noi stesse, prendersi i loro spazi, creare, inventare, nutrire, far crescere cose, essere individui autonomi, mostrare un coraggio che pure possiedono, trovare la vera natura sepolta nel profondo e permetterle di venire a galla, con le sconvolgenti conseguenze che ciò comporterebbe.
E' una lettura impegnativa, perché densa, profonda, ma nonostante ciò piacevole, con tratti lirici, pervasa da poesia. Sincera, coraggiosa, preziosa. E non solo per le donne.
Attraverso un lavoro di ricerca ventennale, l'autrice ha raccolto fiabe popolari, miti e racconti su cui ha basato parte del suo lavoro di psicanalista. In “Donne che corrono coi lupi” presenta una serie di archetipi femminili che esprimono la forza potentissima, selvaggia, istintiva, creativa e passionale che si nasconde in ogni donna. L’autrice mostra come è necessario riappropriarsi di questa forza istintiva e visionaria, persa nel corso del tempo, per riscoprire il proprio valore e potere personale.
Come il racconto della Loba, la Donna Lupa. Pelosa, grassa e solitaria vive nel deserto e ha un’unica occupazione: la raccolta delle ossa ed in particolare quelle dei lupi. Quando ha riunito un intero scheletro, seduta accanto al fuoco, canta e le creature, di nuovo coperte di carne e pelo, tornano in vita. Le ossa rappresentano la forza indistruttibile, la natura istintiva di cui la Loba è la custode.È una fiaba che parla della ciclicità della Vita e della Morte. Ci racconta di tutte quelle parti di noi che abbiamo perduto, disperso nelle nostre esperienze di vita, spesso dolorose, quelle piccole morti che ognuno di noi ha vissuto.
La Loba ci mostra come possiamo recuperarle, ricomporle e ridare loro nuova vita.È un lavoro di scoperta continuo, solitario, profondo che possiamo percorrere con strumenti differenti, quali ad esempio il canto, la pittura, la musica, la scrittura o la meditazione.
In netta contrapposizione è il racconto Barbablù, che porta alla luce un’altra forza, questa volta portatrice di distruzione: quella che separa la donna dalla sua natura intuitiva, lasciandola indebolita e fragile.La protagonista di questa storia è la giovane ultima promessa sposa di Barbablù, ricco e temibile signore, già sposato diverse volte e delle cui mogli si ignora il destino. Incurante delle voci che le vogliono assassinate dal marito, la giovane sposina non presta ascolto neanche alle sue intuizioni ed ai consigli delle sorelle e decide di sposarlo. Seguendo la sua ingenuità, si inganna. Questo racconto sembra la metafora perfetta per tutte quelle donne che “incappano” in relazioni dolorose con uomini narcisisti o violenti. Quelle donne che si nascondo dietro ad un “ ma in fondo è buono, in fondo mi ama a modo suo”.
La generazione di Cinquanta sfumature di grigio, schiere di Anastasia che procedono nelle loro relazioni sotto l’insegna del “io lo cambierò”, ed ingenuamente non capiscono che Barbablù mai si trasforma in un principe azzurro. Il suo unico scopo è trascinare la donna in cantina e succhiarle la sua energia vitale. È lei stessa che spesso uccide la sua natura creativa.
Per uscirne bisogna trovare la chiave e aprire la porta, solo così la donna sceglie la vita. Per Clarissa Pinkola Estés la porta, nella storia, rappresenta quella barriera interiore che impedisce di ammettere ed ascoltare ciò che già sappiamo nel nostro intimo.
La Donna Selvaggia sa riconoscere i Barbablù che si presentano sul suo cammino, sa come trattarlo, ne conosce i travestimenti, i trucchi, le manipolazioni. Sa tenergli testa, sa mettere in atto ciò che occorre fare. Ed è grazie alla fiaba russa di Vassilissa che impariamo come il nostro intuito va nutrito, alimentato e che lo possiamo fare solo fidandoci ed usandolo.
In un mondo dove le donne sono impiccate per essersi difese, dove vengono mercificate e spesso sono loro stesse a svalutarsi, le storie raccolte da Clarissa sono - come le definisce lei stessa - " vitamine per l'anima " .
Sono fiabe, miti, racconti, archetipi che parlano direttamente a quella parte della donna che resta spesso relegata nel profondo della propria interiorità, lasciando trasparire la forza innata del Femminile.
Non è un testo attualissimo, si porta quindici anni sulle spalle, ma non importa. La sua voce sembra senza tempo, e forse senza luogo, come se parlasse un linguaggio universale.
Si rivolge alle donne, alle donne oppresse e piegate dai vincoli sociali, culturali, imposti ed autoimposti perché così hanno insegnato loro, così le hanno cresciute, così pensano che sia normale essere. E anche se sono tremendamente infelici e insoddisfatte delle loro vite, anche se qualcosa dentro le pungola e le spinge a muoversi, non sanno di poter essere qualcosa di diverso. Forse lo intuiscono, lo desiderano, ma "l'educazione" le ha convinte che non sta bene, non sta bene ribellarsi, far sentire la propria voce, smettere di subire e sacrificarsi per fare l'esatto opposto: affermarsi, cercare rispetto, dagli altri e da noi stesse, prendersi i loro spazi, creare, inventare, nutrire, far crescere cose, essere individui autonomi, mostrare un coraggio che pure possiedono, trovare la vera natura sepolta nel profondo e permetterle di venire a galla, con le sconvolgenti conseguenze che ciò comporterebbe.
E' una lettura impegnativa, perché densa, profonda, ma nonostante ciò piacevole, con tratti lirici, pervasa da poesia. Sincera, coraggiosa, preziosa. E non solo per le donne.