ipazia
Utente disorientante (ma anche disorientata)
Primo grassetto, è quello che ho scritto in qualche post fa. Quindi, direi che sì, lo so. Ma hai fatto bene a ribadirlo.Lo sapevi che una parte delle componenti scatenanti la depressione è genetica? E che la responsabilità e' visibile a posteriori, vale a dire quando oramai la frittata e' fatta? Ecco.... Fatte queste due premesse concordo nel dire che siamo responsabili per la cura. Per la prevenzione, non so bene in che misura. Ci sono infartuati che hanno condotto sempre una vita sana. Eppure a loro e' toccata una malattia. Altri che hanno fumato come turchi, hanno mangiato come porci e sono campati cent'anni. E altri che avendo avuto una condotta di vita non sana ne pagano le conseguenze. C'è, in qualsiasi malattia, tutta una casistica riassumibile nella tua vita. E certo che dobbiamo averne cura. Ma questo non toglie nulla al fatto che di malattie stiamo a parlare. Certamente non cercate apposta, certamente non volute. E in questo contesto se devo parlare di responsabilità... Beh. La vedo soprattutto a posteriori, nella cura, che significa imparare ad averne. Col tempo e con l'esperienza. E con la paura. Perché quando vieni segnato da una malattia hai paura eccome di ricaderci. Peraltro e' stato dimostrato che la depressione lascia segni "fisici" sul cervello. Al pari di ogni malattia. Quindi non è sufficiente "darsi una mossa" anche solo per evitare ricadute. Il lato positivo? C'è, come c'è per ogni altra malattia. Si è più deboli in quanto provati e maggiormente predisposti. Si è più forti dall'esperienza. Nella mia non sono mancati coloro che mi dicevano "fatti forza". Forse sono stati più inutili di quelli a cui si leggeva in faccia che pensavano fosse una colpa portata dalla sostanziale assenza di problemi. Che erano tanti, invece.
Come ho scritto che le responsabilità non si collocano nelle cause. Ma nel dopo. Nella cura. Hai fatto bene a ribadire anche questo.
Quanto al resto stiamo suppergiù dicendo cose simili.
Ho la sensazione che più che altro ci sia in atto tutto un ragionamento per cui, di default si parta in quarta a difendere una cosa che per me è scontata. Ma il doverlo costantemente ribadire segnala che non è così scontata.
Ossia che la malattia, di qualunque genere e tipo, non è una colpa.
Io aggiungo anche che il malato non è la malattia.
La questione non è darsi una mossa. Non soltanto almeno.
Il darsi una mossa significa anche uscire dahgli schemi sociali che tendono a spingere il malato o dalla parte del colpevole o dalla parte della vittima a cui non si può che dare una pacca sulla spalla.
Responsabilità non significa imputabilità. Significa assumersi la libertà di se stessi. Anche durante una malattia. Con tutte le limitazioni del caso.