Giochi relazionali

Brunetta

Utente di lunga data
Tutte le relazioni interpersonali, di qualunque natura esse siano, sono governate da alcune specifiche “regole”, per lo più implicite. Esse assumono il ruolo di linee guida determinando l’evoluzione (o l’interruzione) di un rapporto, stabilendo ruoli impliciti ed espliciti, regolando la comunicazione interpersonale. L’insieme di regole va a confluire in un vero e proprio “gioco”, di cui, nella gran parte dei casi, nessuno dei “giocatori” è consapevole.
Per E. Berne, autore di “A che gioco giochiamo” (1964), uno dei testi fondamentali della psicologia contemporanea, i giochi altro non sono che dei “copioni di comportamento” acquisiti nei primissimi anni di vita (quando si mettono in atto specifiche strategie per ottenere il soddisfacimento dei propri bisogni di attenzione e di riconoscimento da parte dei caregivers) e riprodotti nel corso dell’età adulta, attraverso l’attivazione di schemi automatici di “stimolo – risposta”. Qualche anno dopo, in “Ciao e Poi” (1972), lo stesso Berne definirà tale copione come:“un piano di vita basato su una decisione presa nell’infanzia, rinforzata dai genitori, giustificata dagli eventi successivi e culminante in una scelta decisiva”.
E’ doveroso sottolineare, per evitare fraintendimenti, che la sua teoria e l’Analisi Transazionale in generale, non solo non adottano una visione deterministica di tale processo (per la quale i genitori sarebbero i soli responsabili della struttura del copione), ma sottolineano con forza il ruolo attivo del bambino: i copioni vengono arricchiti o modificati in base alla personale interpretazione di ciò che accade intorno a lui e alla sua attribuzione di senso agli eventi interni ed esterni. Pertanto, se nei primi tre anni in linea di massima lo schema base è piuttosto definito, in tutte le epoche evolutive successive, il bambino ha la possibilità di sottoporlo ad una serie potenzialmente infinita di aggiornamenti, adattamenti, allineamenti che gli consentano di adattare la nuova “versione” alle situazioni di vita contingenti. Utilizzando una metafora di matrice tecnologica, potremmo concludere dicendo che ogni individuo ha la possibilità di scegliere se e quando “scaricare gli aggiornamenti” del proprio copione, se salvare le modifiche apportate e che utilizzo fare della versione aggiornata del file originario.
[h=2]Il Copione di Vita[/h]Il copione, così come lo intendeva l’autore sopracitato ha molti punti di contatto con i cosiddetti “Miti e Mandati familiari”, che ognuno di noi riceve in eredità dalla propria famiglia di origine. Come scrivevo ne “La coppia, un incastro (im)perfetto di mondi inconsci” e ne “Il Contratto di Coppia”, una relazione di coppia può mantenersi stabile e coesa nel tempo se si dimostra all’altezza di operare un continuo allineamento di motivazioni, aspettative e bisogni, ovvero, se è in grado di rinegoziare alcune clausole del “Contratto” che consentano ai partner di riorganizzarsi in modo funzionale quando nuove situazioni di vita lo richiedono.
Utilizzando il paradigma di riferimento dell’Analisi Transazionale, potremmo esprimere il medesimo concetto dicendo che, nel momento stesso della scelta del partner e della formazione di una nuova coppia, entrambi avanzano all’altro, in modo del tutto inconsapevole, una proposta di “gioco”, aspettandosi che il partner (complice anche il processo di idealizzazione della fase di innamoramento) vi aderisca in modo incondizionato. Così ciascuno si presenta al primo appuntamento con il proprio copione, intenzionato a strutturare la vita di coppia nello schema relazionale a lui noto, e per questo prevedibile e rassicurante. E’ facile immaginare che ogni copione abbia carattere di unicità, poiché è frutto degli eventi di vita e della personalità di quel particolare soggetto: per esemplificare al massimo il concetto, vi invito a richiamare alla mente quelli più familiari nell’immaginario collettivo, spesso soggetti a divertenti trasposizioni cinematografiche: quelli del vittimista, della geisha, del geloso possessivo, del mammone, della frigida …
Le motivazioni alla base di ciascun copione sono comprensibilmente complesse e multifattoriali: c’è chi nell’altro cerca qualcuno a cui addossare la responsabilità dei propri stati d’animo negativi, chi ricerca la sicurezza e la protezione genitoriale, chi semplicemente qualcuno su cui riversare la propria frustrazione senza scomodarsi di uscire di casa per prendersela con l’autista, il panettiere o il collega d’ufficio. Ogni copione prevede allora implicitamente un gioco: “Voglio essere la tua Principessa triste”, “Voglio che tu sia una donna devota e sottomessa”, “Voglio che tu oltre me, sposi anche la mia famiglia”, “Ho bisogno di qualcuno che mi nutra di conferme narcisistiche”, “Ti maltratto, quindi sono” (chi fosse interessato ad approfondire, può cliccare sui titoli per essere indirizzato ai relativi post).
[h=2]Il gioco nella dinamica di coppia[/h]Da quanto fin qui esposto si deduce che un gioco di coppia, per poter soddisfare le esigenze emotive profonde di entrambi i partner deve necessariamente essere “complementare”. Con questo termine mi riferisco all’”incastro collusivo” delle reciproche esigenze (ad es. quelle sadiche di uno, con quelle masochiste dell’altro); tale complementarietà non è però garanzia di un legame sano (si pensi alla sofferenza di cui è intrisa la relazione amorosa tra un soggetto narcisista e uno affettivamente dipendente!): spesso anzi costituisce proprio il terreno fertile per la crescita di un “amore malato”.
In altri casi, un legame all’origine oltre che complementare, sano e gratificante, può, a seguito di eventi specifici di varia natura (la nascita del primo figlio, la perdita del lavoro ecc), perdere tali caratteristiche e richiedere una rinegoziazione delle regole. In questi casi il conflitto si esprime in un sentimento di confusione, dovuto all’attivazione di un gioco “non complementare”, che si verifica quando uno dei due decide arbitrariamente di rimescolare le carte in tavola. Il rapporto può allora logorarsi al punto da condurre alla sua rottura definitiva oppure restare incastrato in una relazione frustrante e insoddisfacente, come descritto nell’articolo “crisi di coppia”.
Non è possibile impedire a qualcuno di invitarci a giocare, ma è invece possibile declinare l’invito se la proposta non prevede premi in palio sufficientemente soddisfacenti, ovvero, citando un detto molto comune, “se il gioco (è proprio il caso di dirlo!) non vale la candela”! D’altronde, tutte le volte in cui ci lasciamo coinvolgere in una dinamica vuol dire che una parte di noi vi trova un certo interesse e che le regole proposte sono in qualche misura complementari alle nostre.
Cosa fare invece, quando si decide di abbandonare il campo prima della conclusione della partita? Cosa fare soprattutto quando ci ritrova puntualmente nelle medesime dinamiche con partner diversi (tipica espressione “Possibile che capitino tutti/e a me i narcisisti/le maniaco depresse/i gelosi possessivi” ecc)? In questi casi, non resta che recuperare il proprio copione dal cassetto polveroso in cui lo abbiamo confinato e decidersi a rimaneggiarlo, “scaricando gli aggiornamenti” necessari a ritagliarsi uno spazio di riflessione soppresso dalle reazioni automatiche e ripetitive dei giochi relazionali.
Un percorso di sostegno psicologico, può contribuire in modo proficuo a svelare i meccanismi sottesi ai propri comportamenti e a far consapevolizzare il personale contributo nella dinamica conflittuale, eludendo il rischio di attribuire la colpa solo ed esclusivamente all’altro. Tale percorso può aiutare la persona interessata (o entrambi i partner, se sono intenzionati alla prosecuzione del rapporto) a sperimentare comportamenti “alternativi”, in sostituzione di quelli consueti e disfunzionali. In questo modo, diventa possibile, almeno parzialmente, imparare a gestire la dinamica del gioco, evitando di incorrere in altri rapporti affettivi insoddisfacenti e ampliando il repertorio di risorse personali a cui è possibile attingere per esprimere in modo più adeguato i propri bisogni affettivi.

https://psichenessunoecentomila.wordpress.com/2015/03/04/vuoi-giocare-con-me/
 

Fairman

Utente di lunga data
La colazione

m'è rimasta sullo stomaco, leggere una cosa così appena sveglio.
Meno male che fuori c'è il sole.

Però, sei veramente forte.
 

ologramma

Utente di lunga data
All 1,05 un pistolotto del genere ? Brunetta ubriacati balla scopa dormi .... ma stacca !
.
che ci vuoi fare non per niente per farsi una cultura si passa molto tempo a leggere:p
 

Fiammetta

Amazzone! Embe'. Sticazzi
Staff Forum
Tutte le relazioni interpersonali, di qualunque natura esse siano, sono governate da alcune specifiche “regole”, per lo più implicite. Esse assumono il ruolo di linee guida determinando l’evoluzione (o l’interruzione) di un rapporto, stabilendo ruoli impliciti ed espliciti, regolando la comunicazione interpersonale. L’insieme di regole va a confluire in un vero e proprio “gioco”, di cui, nella gran parte dei casi, nessuno dei “giocatori” è consapevole.
Per E. Berne, autore di “A che gioco giochiamo” (1964), uno dei testi fondamentali della psicologia contemporanea, i giochi altro non sono che dei “copioni di comportamento” acquisiti nei primissimi anni di vita (quando si mettono in atto specifiche strategie per ottenere il soddisfacimento dei propri bisogni di attenzione e di riconoscimento da parte dei caregivers) e riprodotti nel corso dell’età adulta, attraverso l’attivazione di schemi automatici di “stimolo – risposta”. Qualche anno dopo, in “Ciao e Poi” (1972), lo stesso Berne definirà tale copione come:“un piano di vita basato su una decisione presa nell’infanzia, rinforzata dai genitori, giustificata dagli eventi successivi e culminante in una scelta decisiva”.
E’ doveroso sottolineare, per evitare fraintendimenti, che la sua teoria e l’Analisi Transazionale in generale, non solo non adottano una visione deterministica di tale processo (per la quale i genitori sarebbero i soli responsabili della struttura del copione), ma sottolineano con forza il ruolo attivo del bambino: i copioni vengono arricchiti o modificati in base alla personale interpretazione di ciò che accade intorno a lui e alla sua attribuzione di senso agli eventi interni ed esterni. Pertanto, se nei primi tre anni in linea di massima lo schema base è piuttosto definito, in tutte le epoche evolutive successive, il bambino ha la possibilità di sottoporlo ad una serie potenzialmente infinita di aggiornamenti, adattamenti, allineamenti che gli consentano di adattare la nuova “versione” alle situazioni di vita contingenti. Utilizzando una metafora di matrice tecnologica, potremmo concludere dicendo che ogni individuo ha la possibilità di scegliere se e quando “scaricare gli aggiornamenti” del proprio copione, se salvare le modifiche apportate e che utilizzo fare della versione aggiornata del file originario.
[h=2]Il Copione di Vita[/h]Il copione, così come lo intendeva l’autore sopracitato ha molti punti di contatto con i cosiddetti “Miti e Mandati familiari”, che ognuno di noi riceve in eredità dalla propria famiglia di origine. Come scrivevo ne “La coppia, un incastro (im)perfetto di mondi inconsci” e ne “Il Contratto di Coppia”, una relazione di coppia può mantenersi stabile e coesa nel tempo se si dimostra all’altezza di operare un continuo allineamento di motivazioni, aspettative e bisogni, ovvero, se è in grado di rinegoziare alcune clausole del “Contratto” che consentano ai partner di riorganizzarsi in modo funzionale quando nuove situazioni di vita lo richiedono.
Utilizzando il paradigma di riferimento dell’Analisi Transazionale, potremmo esprimere il medesimo concetto dicendo che, nel momento stesso della scelta del partner e della formazione di una nuova coppia, entrambi avanzano all’altro, in modo del tutto inconsapevole, una proposta di “gioco”, aspettandosi che il partner (complice anche il processo di idealizzazione della fase di innamoramento) vi aderisca in modo incondizionato. Così ciascuno si presenta al primo appuntamento con il proprio copione, intenzionato a strutturare la vita di coppia nello schema relazionale a lui noto, e per questo prevedibile e rassicurante. E’ facile immaginare che ogni copione abbia carattere di unicità, poiché è frutto degli eventi di vita e della personalità di quel particolare soggetto: per esemplificare al massimo il concetto, vi invito a richiamare alla mente quelli più familiari nell’immaginario collettivo, spesso soggetti a divertenti trasposizioni cinematografiche: quelli del vittimista, della geisha, del geloso possessivo, del mammone, della frigida …
Le motivazioni alla base di ciascun copione sono comprensibilmente complesse e multifattoriali: c’è chi nell’altro cerca qualcuno a cui addossare la responsabilità dei propri stati d’animo negativi, chi ricerca la sicurezza e la protezione genitoriale, chi semplicemente qualcuno su cui riversare la propria frustrazione senza scomodarsi di uscire di casa per prendersela con l’autista, il panettiere o il collega d’ufficio. Ogni copione prevede allora implicitamente un gioco: “Voglio essere la tua Principessa triste”, “Voglio che tu sia una donna devota e sottomessa”, “Voglio che tu oltre me, sposi anche la mia famiglia”, “Ho bisogno di qualcuno che mi nutra di conferme narcisistiche”, “Ti maltratto, quindi sono” (chi fosse interessato ad approfondire, può cliccare sui titoli per essere indirizzato ai relativi post).
[h=2]Il gioco nella dinamica di coppia[/h]Da quanto fin qui esposto si deduce che un gioco di coppia, per poter soddisfare le esigenze emotive profonde di entrambi i partner deve necessariamente essere “complementare”. Con questo termine mi riferisco all’”incastro collusivo” delle reciproche esigenze (ad es. quelle sadiche di uno, con quelle masochiste dell’altro); tale complementarietà non è però garanzia di un legame sano (si pensi alla sofferenza di cui è intrisa la relazione amorosa tra un soggetto narcisista e uno affettivamente dipendente!): spesso anzi costituisce proprio il terreno fertile per la crescita di un “amore malato”.
In altri casi, un legame all’origine oltre che complementare, sano e gratificante, può, a seguito di eventi specifici di varia natura (la nascita del primo figlio, la perdita del lavoro ecc), perdere tali caratteristiche e richiedere una rinegoziazione delle regole. In questi casi il conflitto si esprime in un sentimento di confusione, dovuto all’attivazione di un gioco “non complementare”, che si verifica quando uno dei due decide arbitrariamente di rimescolare le carte in tavola. Il rapporto può allora logorarsi al punto da condurre alla sua rottura definitiva oppure restare incastrato in una relazione frustrante e insoddisfacente, come descritto nell’articolo “crisi di coppia”.
Non è possibile impedire a qualcuno di invitarci a giocare, ma è invece possibile declinare l’invito se la proposta non prevede premi in palio sufficientemente soddisfacenti, ovvero, citando un detto molto comune, “se il gioco (è proprio il caso di dirlo!) non vale la candela”! D’altronde, tutte le volte in cui ci lasciamo coinvolgere in una dinamica vuol dire che una parte di noi vi trova un certo interesse e che le regole proposte sono in qualche misura complementari alle nostre.
Cosa fare invece, quando si decide di abbandonare il campo prima della conclusione della partita? Cosa fare soprattutto quando ci ritrova puntualmente nelle medesime dinamiche con partner diversi (tipica espressione “Possibile che capitino tutti/e a me i narcisisti/le maniaco depresse/i gelosi possessivi” ecc)? In questi casi, non resta che recuperare il proprio copione dal cassetto polveroso in cui lo abbiamo confinato e decidersi a rimaneggiarlo, “scaricando gli aggiornamenti” necessari a ritagliarsi uno spazio di riflessione soppresso dalle reazioni automatiche e ripetitive dei giochi relazionali.
Un percorso di sostegno psicologico, può contribuire in modo proficuo a svelare i meccanismi sottesi ai propri comportamenti e a far consapevolizzare il personale contributo nella dinamica conflittuale, eludendo il rischio di attribuire la colpa solo ed esclusivamente all’altro. Tale percorso può aiutare la persona interessata (o entrambi i partner, se sono intenzionati alla prosecuzione del rapporto) a sperimentare comportamenti “alternativi”, in sostituzione di quelli consueti e disfunzionali. In questo modo, diventa possibile, almeno parzialmente, imparare a gestire la dinamica del gioco, evitando di incorrere in altri rapporti affettivi insoddisfacenti e ampliando il repertorio di risorse personali a cui è possibile attingere per esprimere in modo più adeguato i propri bisogni affettivi.

https://psichenessunoecentomila.wordpress.com/2015/03/04/vuoi-giocare-con-me/
In sintesi
Il gioco quasi mai vale la candela quindi per evitare di bruciarsi ancora rivedere il copione comportamentale e correggerlo :)
Buongiorno Bruni :D
 

Brunetta

Utente di lunga data
In sintesi
Il gioco quasi mai vale la candela quindi per evitare di bruciarsi ancora rivedere il copione comportamentale e correggerlo :)
Buongiorno Bruni :D
Facile a dirsi, non a farsi.:rolleyes:
 

Skorpio

Utente di lunga data
L'ho letto un po' in velocità..
Però ho notato come il richiamo sistematico al termine "copione" presupponga un "gioco di ruolo" individuale, come ho sempre immaginato e sostenuto.
 

Brunetta

Utente di lunga data
Rispetto a se stessi è difficile rendersi conto del gioco che giochiamo e della rappresentazione teatrale che mettiamo in scena, ma con gli altri a volte è lampante.
Quando stiamo bene nel nostro ruolo e i coprotagonisti sono sufficientemente nella parte va tutto "bene", quando qualcuno va fuori parte ci sentiamo completamente destabilizzati.
Comprendere qual è il ruolo che tendiamo a interpretare e in quale ruolo pretendiamo che interpreti chi sta con noi può farci stare meglio perché se usciamo dal copione siamo più liberi.

Ho conosciuto una donna che ripeteva costantemente una sceneggiatura appresa dalla mamma di tipo controllante/giudicante nei confronti delle relazioni, vivendola in entrambi i ruoli. Quindi si sentiva sempre giudicata e assumeva atteggiamenti scostanti, contemporanea controllava e metteva alla prova gli altri, il giudizio su di loro era inevitabilmente negativo.
Voglio dire che se stabilisci prove tipo "se non mi telefona entro le ore X è uno stronzo" un poveretto prima o poi a sua insaputa fallirà la prova e si troverà a subire strali inaspettati e uscirà dal ruolo.
Ma il ruolo è costrittivo anche per il, in questo esempio la regista e attrice perché giudica sempre anche se stessa.
Prendere coscienza di questo può aiutare a vivere in modo più sereno le relazioni con gli altri e con se stessi.
 

Brunetta

Utente di lunga data
L'ho letto un po' in velocità..
Però ho notato come il richiamo sistematico al termine "copione" presupponga un "gioco di ruolo" individuale, come ho sempre immaginato e sostenuto.
Tu ad esempio tendi sempre a voler avere il controllo della parte. :rolleyes:
 

Brunetta

Utente di lunga data

Fiammetta

Amazzone! Embe'. Sticazzi
Staff Forum

Ms.Razionalità

Utente di lunga data
Ritengo che non si possa parlare di "copione" , "gioco" , "stigma" o "ruolo" all'interno delle dinamiche relazionali senza citare Irvin Goffmann, famosissimo sociologo morto nel 1982.

La mia matrice culturale, come credo si sia già intravisto, non è quella psicodinamica.

La vita quotdiana come rappresentazione, e Espressione e Identità, gioco ruoli e teatralità, sono due testi scorrevoli con spunti acutissimi. Contemporanei e trattati con un linguaggio accessibile.
Anche se il mio preferito rimane Stigma.

Se a qualcuno interessasse, mi piace il confronto su queste tematiche :rolleyes:
 

Brunetta

Utente di lunga data
Ritengo che non si possa parlare di "copione" , "gioco" , "stigma" o "ruolo" all'interno delle dinamiche relazionali senza citare Irvin Goffmann, famosissimo sociologo morto nel 1982.

La mia matrice culturale, come credo si sia già intravisto, non è quella psicodinamica.

La vita quotdiana come rappresentazione, e Espressione e Identità, gioco ruoli e teatralità, sono due testi scorrevoli con spunti acutissimi. Contemporanei e trattati con un linguaggio accessibile.
Anche se il mio preferito rimane Stigma.

Se a qualcuno interessasse, mi piace il confronto su queste tematiche :rolleyes:
Ho guardato i titoli. Li prenderò.
Io credo che teorie esaustive non esistano e che di volta in volta si debba trovare la chiave interpretativa adeguata al contesto.
 

Divì

Utente senza meta
Ho guardato i titoli. Li prenderò.
Io credo che teorie esaustive non esistano e che di volta in volta si debba trovare la chiave interpretativa adeguata al contesto.
Concordo. Di fronte a disturbi multifattoriali terapie multifattoriali :)
 
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