Dipende.
Se la persona si chiude al mondo, come nel caso degli ansiosi, delle persone con un principio di depressione, da quelli traumatizzati da un particolare evento, è naturale che la vita possa cambiare di fronte a un ribaltamento delle prospettive che può partire dal superamento dei limiti, anche in maniera non coerente con quella che può essere la realtà interna, che magari è in molti casi più un ostacolo che altro.
E' un invito all'apertura, alla visione di nuove realtà e diversi linguaggi, che contribuiscono a ridefinire obiettivi e a determinare nuove situazioni.
Insomma, il "sì" in tutti quei casi è un modo per tornare o cominciare a vivere.
Il "No" di cui parli è delle persone fragili, sottomesse: in questi casi, il recupero dell'indipendenza passa proprio attraverso l'adozione dei no che possono essere utili per fare scelte più coerenti.
In tutti i casi, però, i sì o i no devono essere proiettati verso una dimensione dinamica, non statica, devono far progredire, devono aprire, devono far intraprendere un cammino. Se invece continuano a mantenere la persona rigidamente ancorata a uno stile di vita che non soddisfa ed è immutabile, direi che l'equilibrio dei sì e dei no non è raggiunto.
Le attrici che citi le lascerei da parte: è un mondo dove più che in altri alcuni compromessi spianano la strada, per cui l'attendibilità di certe affermazioni è sostanzialmente relativa. D'altronde, si sa, in certi casi bisogna saper recitare di tutto, anche i sì e i no al momento opportuno.