Però -poi non so se sia cambiato- chi adotta non è un poraccio, se il fine è quello che riporti.
Io con discendenza non mi riferisco ad un'eredità economica, ma ad un'eredità storica, di cultura, di conoscenze, senza levare niente alla personalità e alle inclinazioni di ogni singola persona. Ognuno di noi, che lo voglia o meno, si porta un pezzo di eredità della storia della propria famiglia.
Nel rapporto tra nonni e nipoti alcune volte questo è ancora più evidente. Alcuni si accontentano solo di sapere che portano i loro geni, ma alcune persone invece lasciano un'eredità di sapere, e non solo. I piccoli di oggi, anche per chi figlia dopo i 30 anni, hanno anche maggiore probabilità di poter conoscere i nonni, che sono ancora in gamba sopra i 60.
Ti dirò che io da giovane, quando rientravo in quell'apice di età più adatto a figliare (a prescindere dal fin dove si può, io non sono a favore di troppo divario generazionale) non avevo una ben che minima concezione di discendenza, ma fin quando facevo le elementari, per un ricerca sui cognomi, avevo calcolato che avendo mio padre due sorelle e avendo lui avuto solo figlie femmine, il suo cognome sarebbe scomparso. Io ci ho messo tanto a capire di essere fiera di portarlo, avevo accettato le mie ombre, ma non quelle della discendenza.
Ma questo è quanto avvenuto in modo naturale.
Quindi tornando all'adozione tanto di cappello per chi ci arriva ben prima, solo che quando sento parlare di vuoti, o altre espressioni come quella da te riportata, mi chiedo cosa spinga ad adottare. Più che un desiderio per colmare vuoti, io la vedo più una scelta di creazione, nella coscienza che non è che si sceglie qualcosa di già creato, e che non si può scartare, anche nelle ombre.