Ho conosciuto una persona che l'ha praticata, in una clinica svizzera. Una di quelle dove soggiorni, e ad un giorno concordato, ti lasciano sul comodino un bicchier d'acqua con due pastiglie. Aveva gli occhi di fuoco, era uno che ti sapeva guardare dentro

Aveva previsto quale giorno per la sua morte quello del suo compleanno (novantaseiesimo, se non vado errata), e ironia della sorte volle che fece dispetto a tutti morendo un giorno prima

Io (ne approfitto per salutarlo, comunque: ciao Eugenio!

il cui nome peraltro strano portava il significato che era stato vivo, malgrado appena nato fosse già stato dato per morto) non l'ho mai capito fino in fondo, però so anche che mi lancerebbe qualche strale se osassi criticare (troppo) la sua scelta

, quindi basta così
Ho comunque vissuto tramite un altro amico (grazie a lui scoprii cos'è un
hospice) una di quelle situazioni di accompagnamento, alla morte. Ricordo solo quanto strideva a sua moglie, giovane (e pure lui lo era) il fatto che gli infermieri lasciassero scegliere a lui se lavarsi (sopportare il dolore di essere lavato) o meno. Quando lo vidi, gonfio come solo certa morte sa rendere il corpo, l'ultima cosa che gli dissi prima di salutarlo fu "sei tranquillo"? Mi fece cenno di sì con il capo. Lasciò quell'involucro poco dopo.
Tendenzialmente sono favorevole alla vita, finché vi è la consapevolezza di ogni suo singolo istante.
Molto spesso sento dire "miglior vita", oppure "che riposi in pace", io molto semplicemente credo che siamo in questa vita con il corpo, che è un'occasione unica che ci viene data. E che attraverso il dolore (anche attraverso altro, ma molto spesso il "motore" è - purtroppo - il dolore) a volte abbiamo la possibilità di avere consapevolezza o intuizione di una certa "più grande ampiezza", chiamiamola così. Certamente, si può scegliere di evitare il dolore.
Però, per me, il mio secondo amico andò al passaggio "preparato". Il primo, per quanto molto sensibile, forse no.