Parliamo di genitorialità?

Brunetta

Utente di lunga data
Se poi ci scanniamo… chiudiamo.
Quando si parla di altri genitori, vediamo chiaramente errori piccoli e grandi ed errori di impostazione.
Il dibattito sulla genitorialità è molto presente in rete e sui giornali, filosofi e psicologi fanno conferenze affollatissime in cui “sgridano” i genitori che si comportano come le squadre di curling che spazzano il percorso.
Anche qui, ad esempio parlando di diminuzione delle nascite, si è parlato delle difficoltà oggettive di gestione dei figli e della conciliazione della genitorialità (prevalentemente maternità 🙄) con la carriera delle donne.
Ma se riuscissimo a uscire da una posizione difensiva (tutti sbagliamo) potremmo prendere consapevolezza dei principi a cui abbiamo fatto riferimento (ovviamente in piena buona fede) nel prendere le decisioni.
Esemplifico che anche comprando un capo di abbigliamento o un altro compiamo una scelta genitoriale, lasciando la scelta o no o trovando un compromesso tra la scelta del figlio e le ragioni nostre.
Agevolo la riflessione postando alcune “autorevoli” opinioni.
P.S. Prego accoratamente di non partire con pipponi sugli interessi dei personaggi autorevoli e sulle fesserie che dicono, ma di prendere spunto solo per ciò che pare interessante.

“Recalcati, andando oltre i luoghi comuni, anche della psicoanalisi, vuole essere giusto verso la madre e prova a rispondere parlando della madre “sufficientemente buona”: la madre non deve sopprimere la donna e la donna non deve negare la madre.
Ci riassume Recalcati che per una madre il compito più difficile è quello di continuare ad esistere come donna; colei che sceglie di far morire la donna entra in una relazione incestuosa col bambino, feticistica, dove uno si assorbe nell’altro, uno divora l’altro, in una sorta di cannibalismo reciproco, di diade mortifera.“

Umberto Galimberti: due o tre cose che i genitori dovrebbero sapere
Non sono nemmeno i nostri migliori amici, perche’ anche quando si atteggiano a tali, e magari lo fanno davvero con il cuore, o con la disperazione di chi non sa che altre carte giocare, in realta’, starebbero capovolgendo i principi base della pedagogia, insomma, anche in quel caso farebbero dei danni.“I genitori sono sostanzialmente impotenti – spiega Umberto Galimberti – perché la loro cura arriva fino a 10-11 anni e nel frattempo in questo lasso di tempo fanno dei disastri pazzeschi. Le liti in casa sono all’ordine del giorno, per non parlare di amanti e dissolvimenti famigliari”.

Fare il genitore e’ difficile, si sbaglia sempre, ma mai come oggi, di fronte ad un’epidemia di disordini della mente e del corpo, la relazione genitori figli e’ stata messa cosi’ a dura prova. Da un lato gli adolescenti e il loro disagio, dall’altro i genitori e il loro disorientamento.

Negli USA, il paese che quanto a trend e fenomeni a ricaduta globale funziona come una sorta di colonnina di mercurio, lo stato di salute degli adolescenti non e’ proprio dei migliori: 10 milioni di loro assumono psicofarmaci per depressione, deficit di attenzione e disturbi dell’umore. Malesseri che spesso si riversano tra le mura delle scuole dove 30 su 100 dichiarano di essere sono stati coinvolti in episodi di bullismo nell’ultimo anno. Con il tempo, superato il periodo caldo dei 18 anni, le cose non si mettono necessariamente meglio. Quella universitaria e’ la fascia di popolazione con il piu’ alto consumo di alcol e droga.
Cattivi ragazzi figli di genitori incapaci? Non necessariamente. “Essere un buon genitore non significa non sbagliare mai – spiegano i counselor di Family Help Line, una sorta di telefono azzurro per genitori stressati e in crisi – quello che puoi fare e’ solo fare del tuo meglio, fornire a tuo figlio supporto e incoraggiamento affinche’ trovi la sua strada”.

“I genitori sbagliano, ma ci sono una o due cose che possono tenere in mente per ridurre i danni. La prima e’ la necessita di accettare accettare il figlio per quello che è. Un’accettazione non proclamata, interna. “Volo ut sis”, diceva Sant’Agostino, voglio che tu sia quello che sei, non quello che io prevedo tu debba essere. Poi, occorre che i genitori riconoscano il valore che i giovani pure hanno, perché prima di distruggersi qualche spunto positivo ce l’hanno e questi vanno rinforzato. Infine, bisogna tenere aperta la comunicazione qualunque cosa accada, la comunicazione intesa come interessamento vero di quello che il proprio figlio sta facendo e cercando di comunicare”.

A giudicare dai dati sul male di vivere nel nostro paese, la strada da percorrere sembra ancora lunga. Secondo una ricerca realizzata dall’Istituto di fisiologia clinica del CNR di Pisa in collaborazione con ESPAD (European School Project on Alcohol and other Drugs) oltre a quelli di droga e alcol, sarebbero in crescita anche i consumi di psicofarmaci, specialmente tra i ragazzi di 15 e 16 anni. In pratica, 1 su 10 ragazzi italiani è ricorso almeno una volta al loro uso senza ricetta. Dato che pone l’Italiaal quarto posto tra i 35 paesi che hanno partecipato all’indagine che ci porta alla domanda: dove si procurano gli psicofarmaci dato che da banco non ce ne sono e per legge il farmacista non può dispensarli senza ricetta? La risposta e’ in casa, nel bagno di mamma e papa’, da quella vetrinetta che nell’ultimo paio di anni sembra essere particolarmente fornita. Secondo dati Federfarma, dal 2006 il consumo di antidepressivi su ricetta medica e’ cresciuto dell’8% insieme a quello degli antidolorifici, aumentato del 17.5%.

Insomma, intere famiglie appese alle pillole, come sollievo ad un malessere troppo grande da sopportare e come via di uscita a problematiche dove figli e genitori spesso non sono che i due estremi dello stesso nodo.

Non siamo piu’ in grado di reggere il dolore – spiega Galimberti – Una volta c’erano i riti iniziatici, da noi era rimasto il militare, ma poi hanno tolto pure quello. Nel Mali i ragazzi vengono espulsi dalla tribù a 13 anni, devono dimostrare di essere in grado di sopravvivere senza assistenza: qualcuno muore, qualcuno si fa male, qualcuno torna e viene incluso nel gruppo degli uomini.

Penso che i nostri ragazzi, maschi e femmine, quando arrivano a 18 anni, dovrebbero dedicare un anno ai servizio sociali, in maniera seria, dando da mangiare ai poveri in Africa, facendo assistenza ai vecchi. Si tratta di ripensare certe modalità di crescita all’interno di un bambagismo generalizzato e diffuso dove tutto è facile e piacevole. I luoghi del dolore vanno conosciuti subito, solo cosi’ ci si puo’ attrezzare psicologicamente. Altrimenti, come posso pensare di reggere il dolore se non l’ho mai conosciuto? E quando lo conosco mi suicido?!”


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Alphonse02

Utente di lunga data
Sul post scriptum del messaggio iniziale siamo pienamente d'accordo.

Essere genitori non è materia dove possono essere interessanti gli orientamenti espressi dai vari influencers o VIP, come Fedez, Ferragni, Briatore, ecc.. Anzi, sono deleteri, perché fasulli e irrealistici, intrisi di ego-centrismo, nella stragrande maggioranza dei casi.

Se potessero parlare i lettini degli studi degli psicoanalisti ... o le pareti dei confessionali ... avremmo una casistica parecchio interessante.

L'opinione di Galimberti la trovo molto appropriata, nel senso che il rapporto genitore-figlio si gioca in termini di comunicazione e di consapevolezza che, senza spiegazioni o, peggio, con imposizioni, i figli possono disorientarsi nelle valutazioni e cercare, fatalmente, nel Web degli esempi da assumere come principi, dando vita ad un sistema di regole che sono variegate e mutevoli. Alla fine, si rischia di assumere l'incertezza come regola e non costruire un'autostima accettabile.

La vera responsabilità dei genitori, per quanto mi riguarda, è nel fornire (anche con il proprio esempio) degli strumenti interpretativi della realtà più che degli insegnamenti da ritenere virtuosi. Questo comprende anche il riconoscimento dei propri errori, il non ingigantimento delle proprie ansie e convincimenti e, non da ultimo, la comprensione della costituzione psicologica del bambino, che a 5-6 anni è quasi del tutto realizzata (stando all'insegnamento della Montessori).

C'è un detto di una docente e studiosa della pedagogia montessoriana, Maria Clotilde Pini, protagonista della nascita del VII Circolo Montessori a Roma, che mi fece molto riflettere e mi ha, poi, condizionato positivamente nella impostazione del rapporto genitore-figlio.

Mi disse di mettermi fuori dell'edificio scolastico ed osservare mamme e padri che andavano a portare o riprendere i figli dalla scuola.
Concentrarsi sull'andamento della camminata, mano nella mano con il figlio, e vedere quanti (pochissimi) assumevano la lunghezza ed la frequenza del passo del bambino e quanti (la maggioranza) sostanzialmente li trascinavano.
 

Brunetta

Utente di lunga data
Sul post scriptum del messaggio iniziale siamo pienamente d'accordo.

Essere genitori non è materia dove possono essere interessanti gli orientamenti espressi dai vari influencers o VIP, come Fedez, Ferragni, Briatore, ecc.. Anzi, sono deleteri, perché fasulli e irrealistici, intrisi di ego-centrismo, nella stragrande maggioranza dei casi.

Se potessero parlare i lettini degli studi degli psicoanalisti ... o le pareti dei confessionali ... avremmo una casistica parecchio interessante.

L'opinione di Galimberti la trovo molto appropriata, nel senso che il rapporto genitore-figlio si gioca in termini di comunicazione e di consapevolezza che, senza spiegazioni o, peggio, con imposizioni, i figli possono disorientarsi nelle valutazioni e cercare, fatalmente, nel Web degli esempi da assumere come principi, dando vita ad un sistema di regole che sono variegate e mutevoli. Alla fine, si rischia di assumere l'incertezza come regola e non costruire un'autostima accettabile.

La vera responsabilità dei genitori, per quanto mi riguarda, è nel fornire (anche con il proprio esempio) degli strumenti interpretativi della realtà più che degli insegnamenti da ritenere virtuosi. Questo comprende anche il riconoscimento dei propri errori, il non ingigantimento delle proprie ansie e convincimenti e, non da ultimo, la comprensione della costituzione psicologica del bambino, che a 5-6 anni è quasi del tutto realizzata (stando all'insegnamento della Montessori).

C'è un detto di una docente e studiosa della pedagogia montessoriana, Maria Clotilde Pini, protagonista della nascita del VII Circolo Montessori a Roma, che mi fece molto riflettere e mi ha, poi, condizionato positivamente nella impostazione del rapporto genitore-figlio.

Mi disse di mettermi fuori dell'edificio scolastico ed osservare mamme e padri che andavano a portare o riprendere i figli dalla scuola.
Concentrarsi sull'andamento della camminata, mano nella mano con il figlio, e vedere quanti (pochissimi) assumevano la lunghezza ed la frequenza del passo del bambino e quanti (la maggioranza) sostanzialmente li trascinavano.
Bello il suggerimento di osservare l’uscita da scuola.
Oggi i più immediatamente levano lo zaino dalle spalle, ma non ascoltano.
Osservate!
 

Alphonse02

Utente di lunga data
Bello il suggerimento di osservare l’uscita da scuola.
Oggi i più immediatamente levano lo zaino dalle spalle, ma non ascoltano.
Osservate!
Io sono un montessoriano come formazione, quindi posso apparire prevenuto.
Mi sono sempre trovato bene con il tipo di apprendimento che viene praticato in ambiente montessoriano. Si basa molto sull'agevolazione delle qualità "innate" dello studente più che sulla sua canalizzazione in un percorso didattico prestabilito.
In termini moderni, ci si concentra sul target molto di più rispetto al modo con il quale lo si raggiunge.

Ovviamente, non è per tutti i discenti, insomma non funziona con tutti, perché si basa su una spontanea curiosità che va incentivata.
Se uno non è proprio motivato (per una certa inclinazione propria o per non capacità del docente nel suscitarla) un sistema più tradizionale, decisamente più ordinato e sistematico, risulta più appropriato.

All'ingresso dei plessi del VII Circolo Didattico c'è scritto a chiare lettere il motto che forse meglio riassume il c. d. metodo Montessori: aiutami a fare da solo.

In questo contesto, il discorso sull'apprendimento è strettamente connesso al modo di intendere la genitorialità ed è importantissimo realizzare una forte interazione tra scuola e famiglia, visto che entrambi concorrono alla formazione degli individui sotto tutti punti di vista.
 

Brunetta

Utente di lunga data
Io sono un montessoriano come formazione, quindi posso apparire prevenuto.
Mi sono sempre trovato bene con il tipo di apprendimento che viene praticato in ambiente montessoriano. Si basa molto sull'agevolazione delle qualità "innate" dello studente più che sulla sua canalizzazione in un percorso didattico prestabilito.
In termini moderni, ci si concentra sul target molto di più rispetto al modo con il quale lo si raggiunge.

Ovviamente, non è per tutti i discenti, insomma non funziona con tutti, perché si basa su una spontanea curiosità che va incentivata.
Se uno non è proprio motivato (per una certa inclinazione propria o per non capacità del docente nel suscitarla) un sistema più tradizionale, decisamente più ordinato e sistematico, risulta più appropriato.

All'ingresso dei plessi del VII Circolo Didattico c'è scritto a chiare lettere il motto che forse meglio riassume il c. d. metodo Montessori: aiutami a fare da solo.

In questo contesto, il discorso sull'apprendimento è strettamente connesso al modo di intendere la genitorialità ed è importantissimo realizzare una forte interazione tra scuola e famiglia, visto che entrambi concorrono alla formazione degli individui sotto tutti punti di vista.
Però tieni conto che la Montessori ha elaborato il suo metodo con i “ritardati”.
Certamente sia la definizione in sé, sia la definizione di insufficienza mentale è molto cambiata nel tempo.
Prevalentemente il metodo è entrato nella scuola di tutti, specialmente attraverso i materiali. Ma vi sono state molte elaborazioni pedagogiche che hanno costruite metodiche altrettanto efficaci o più efficaci in altri contesti.
Però sì sono tutti improntati a far sviluppare le capacità individuali.
Del metodo M. non mi piace la mancanza della cooperazione tra gli alunni. Mi piace molto Freinet e il Movimento di Cooperazione Educativa.
 
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