Tebe
Egocentrica non in incognito
Romanzo-Continuazione (inserimento Farfalla)
Parigi, oggi
H 21:30
Morgue, laboratorio Ghost
Tebe si infilò in bocca l'ultimo pezzo di kinder fetta al latte, mugulando di piacere. Leccò le briciole pannose rimaste intorno alle labbra e si chinò attenta sul collo verdastro del cadavere.
-Nulla di nuovo. E' stato bevuto come gli altri.- disse rialzandosi - e gli è stata rubata l'anima.-
Toshi, il suo braccio destro, un umano illuminato dall'intelligenza incredibile, storse un pò la bocca -Ormai i cadaveri senz'anima stanno diventando un vero esercito. nel deposito Europeo sono quasi mille. E dobbiamo ancora ricevere gli aggiornamenti asiatici e quelli medio orientali.-
Tebe tolse i guanti da chirurgo, scartò un altra kinder fetta al latte e cominciò a ricucire con punti autosaldanti lo sterno del morto, un uomo devastato dall'alcool e dalla droga. I suoi organi interni erano al collasso e se non fosse arrivato il Predatore comunque sarebbe crepato lo stesso. Ma la sua anima sarebbe stata salva.
No. Salva no. Sperava che quel grandioso figlio di puttana stecchito sul tavolo di acciaio pagasse per tutti i suoi crimini e...
-Tebe, c'è qualcosa che dovrei sapere?-
Lei inarcò un sopracciglio fissandolo. Si che c'era qualcosa che lui avrebbe dovuto sapere. Ma non solo lui. Anche tutti gli umani che collaboravano con Era.
A loro era stata taciuta l' informazione più importante, ovvero che il Risveglio del Re era vicino. Molto vicino. E che il libro li davano per spacciati.
Minerva non aveva voluto sentire ragioni sul parlare con gli umani e dopo accese litigate si era giunto ad un compromesso.
Se il libro del tempo avesse mutato la sua profezia dopo la decisione di attaccare, allora gli umani vicini al popolo di era avrebbero saputo. Tutto.
Non era possibile fare diversamente. per attaccare le file dei vampiri e tentare di stanare il luogo dov'era seppellito il re avevano bisogno di persone.
E quindi sarebbe scattato il reclutamento di nuovi umani. Per forza.
Ma nessuna notizia proveniva da Era. Minerva taceva.
Il libro non aveva cambiato la sua profezia? O l'aveva cambiata in maniera tale da essere peggio? Impossibile. Cosa c'era di peggio che l'annientamento della razza umana come società e della distruzione di Era?
sarebbero diventati tutti schiavi dei vampiri secondo Il libro.
Schiavi e cibo.
Le fate poi sarebbero state trattate peggio. Rabbrividì ricordando la storia antica del suo popolo.
-Tebe...- la riportò alla realtà Toshi.
Lei fissò gli occhi scuri a mandorla del giapponese che le rimandavano uno sguardo deciso e acuto -Si, c'è qualcosa che dovresti sapere ma non posso ancora dirti nulla.-
Toshi annuì -Finisco io con il pacco speciale.- le disse avvicinandosi al cadavere ormai quasi completamente ricucito -Immagino che i Pulitori arrivino fra poco.-
-Esatto...me ne vado allora Toshi. Se ci sono problemi chiama.-
Berlino est, stesso momento
Joey Blow parcheggiò la macchina in una via laterale di Kin strasse chiedendosi se l'avrebbe ritrovata al suo ritorno.
Sperò di si. Non per lui. Ma per gli eventuali ladri.
Camminò velocemente dribblando puttane e spacciatori, sacchi di immondizia rotolati fuori dai bidoni stracolmi, lampioni per lo più rotti e quei pochi che facevano luce, sembravano sul punto dio spegnersi, dando tutto intorno un alone giallognolo da quartiere malato.
E lo era.
Si infilò dentro un androne buio e la puzza di piscio rancido gli colpì le narici come un pugno. Una lampadina dall'insolita luce fredda sbucava attaccata ad un filo nero, da un muro scrostato, pieno di macchie e un topo grosso come un gatto gli saettò tra i piedi.
Joey cominciò a salire una scala ripida e sporca. Buia. gelida.
Dalle porte mal messe degli appartamenti ogni tanto uscivano rumori. L'abbaiare di un cane con relativo Fai tacere quella testa di cazzo a quattro zampe stronza puttana. fatti leccare in silenzio! a rumori di mobili spostati.
Qualcuno stava ascoltando la tv ad un volume altissimo, risate e canti da ubriaco.
Salì ancora un piano finchè arrivò davanti ad una porta in acciaio scrostato.
Nel lungo corridoio in penombra sembrava non esserci nessuno.
Nessun campanello. Bussò.
Niente.
Bussò ancora.
Niente.
Un pakistano uscì dall'ombra. Joey lo sentì avvicinarsi, passare oltre e poi sparire.
Bussò ancora.
-Chi cazzo sei, non sono in casa, non si capisce?-
-Sono Blow.-
-Ma certo! E io sono Cenerentolo!-
-Conto fino a tre. Uno. Due. Tr..-
La porta si spalancò di colpo e un nero enorme apparve. -Blow! E' una vita che non ti vedo! Vieni qui fratello!-
Joey gli infilò la pistola sotto il naso.-Non ho tempo. Ho bisogno che mi forzi ora la rete del dipartimento.-
-Fratello ma...-
-Non sono tuo fratello.-
-D'accordo amico ma stai tranquillo con questo cannone. Hei mi sembri un pò alterato...-
Alterato? Non era la parola giusta.
No. Lui si sentiva davvero arrabbiato.
proprio due ore prima gli avevano comunicato che sarebbe andato in ferie forzate. Troppo lavoro, e qui e su e giù.
Ma il motivo era uno solo. Lo volevano fuori dal dipartimento e non a caso. Per quei cazzo di cadaveri dissanguati e bollati come top secret.
L'appartamento di Swot era un concentrato di tecnologia in disordine. Lui era la tecnologia. Un hacker davvero strepitoso.
-Allora Joey..esattamente...cosa devo fare?-
Amsterdam, 31 ottobre 2033
Respirò ancora. Sputò sangue. Andava meglio.
Le scale ripresero a scendere.
Tebe percepì il tempo come dilatato. E rigido. Acuminato.
Strinse l'impugnatura della frusta che vibrava come un serpente nella luce fredda della metro.
Si asciugò con il dorso della mano un rivolo di sangue che le usciva dal naso e ne sputò ancora.
Ma il male stava diminuendo. Santi anticorpi delle fate. Funzionavano benissimo nel mondo umano facendo in modo che ogni frattura e ogni ferita guarisse in breve tempo.
Respirò ancora.
le scale continuavano a scendere.
Fece un passo indietro, nascondendosi dentro un cono d'ombra.
L'avrebbe sentita, ma non vista. Lo sperava almeno.
Uno degli ubriachi si voltò ciondolante verso le scale mobili, come se fosse stato chiamato.
Si alzò barcollante e indeciso sulle gambe. Si vomitò addosso e con sguardo vuoto cominciò a camminare, strascicando i piedi.
Tebe notò che sembrava non camminare realmente di sua iniziativa. Come se fosse sotto ipnosi o qualcosa del genere.
Dalle scale cominciarono a vedersi degli stivali. Neri. Di cuoio. Da uomo.
L'ubriaco si fermò. E il cuore di Tebe anche.
Poi sbucò l'orlo di un cappotto lungo.
le scale continuarono a scendere e finalmente tebe lo vide.
E capì.
Si schiacciò più che poteva dentro il cono d'ombra ma sapeva che il predatore sapeva esattamente dov'era, ma non era lei la priorità del demone, era l'ubriacone.
E solo dopo avere finito con lui avrebbe dedicato a lei tutta la sua attenzione.
Sfiorò il quadrante del suo orologio inviando la sua richiesta di soccorso immediato.
E cominciò a pensare a come guadagnare tempo.
In maniera molto umana e poco fatesca pensò.
Sono nella merda fino al collo.
Oggi
Volo Berlino-Parigi
h 04:32
La deliziosa hostess bionda dagli occhioni blu ammiccò all'uomo che non aveva ancora avuto il piacere di veder sorridere, chinandosi verso di lui -Mister Deich, gradisce qualcosa da bere?-
-No grazie.- non la guardò nemmeno in viso.
Lei non si arrese -Da mangiare?-
-No grazie.-
-Se vuole vedere un film le...-
-No grazie.-
-Rimane un pò a Parigi?-
-Non lo so.-
-Io un paio di giorni. E una città deliziosa non trova?-
-Si. Deliziosa.-
-E' venuto a trovare amici o...-
Joey, ora signor Deich grazie ai nuovi documenti falsi, smise di ascoltarla.
Swot ci aveva messo un pò, ma alla fine aveva fatto entrare Joey nella sotto rete segreta del dipartimento dove aveva cercato e trovato un unica informazione fatta di tre parole.
Parigi. Morgue. Ghost.
Ovvero, i tre cadaveri berlinesi trovati senza sangue e tolti dalle sue indagini erano stati spediti a Parigi.
Perchè?
Ghost? Che cazzo di nome era e perchè Parigi?
Aveva chiesto a Swot di entrare nel sistema interno del dipartimento di anatomopatologia parigino ma era stato estremamente difficile e soprattutto non trovarono nulla che gli desse qualche indicazione per capire che cosa fosse ghost.
-...comunque io alloggerò al Four season...- concluse lei, porgendogli un piccolo biglietto.
Lui lo prese e finalmente la guardò.
-Grazie.- lo ripiegò senza guardarlo e lei. Finalmente. Se ne andò soddisfatta.
Joey tornò a guardare la notte oltre il finestrino, mentre appallottolava tra il pollice e l'indice il foglietto. la carta scricchiolò tra le sue dita.
Morgue. Ghost.
Sentiva di essere sulla strada giusta.
Buttò nell'apposito spazio la pallina di carta e chiuse gli occhi.
Amsterdam, 2033
Farfalla rise di gusto, appoggiando delicatamente il bicchiere panciuto di cristallo ormai vuoto.
Era stata una cena assolutamente perfetta.
Dal posto. Al cibo. Alla compagnia.
Era stata indecisa fino all'ultimo se accettare quell'invito, alla fine erano anni che non usciva con un umano.
In effetti non usciva nemmeno con eraniani o vampiri o qualsiasi cosa fosse di sesso maschile, ma quello era un altro discorso.
E invece, contro ogni previsione, era stata benissimo. Anzi no. Divinamente bene.
-Hei...perchè quella faccia stupita? A cosa stai pensando?-
Farfalla allargò il suo sorriso, reclinando leggermente la testa -Nulla, è solo che...- si fermò.
-Solo che?- la incoraggiò lui.
-Sono stata davvero bene.-
-E non te l'aspettavi?-
-No. Ammetto di no.-
-Perchè sono un giovane pittore pazzo?- scherzò lui.
-No. Perchè sei un uomo.-
Jonathan la guardò leggermente perplesso e lei si scoprì ad osservare ogni linea di quel viso.
Di quel bellissimo viso. No. Non era bellissimo, ma era una calamita per lei.
In effetti lui era tutto una calamita. Sorrise dentro di se, pensando che forse forse...massì. Decise.
Lo avrebbe invitato a salire.
Mezz'ora dopo erano in macchina, con musica soul in sottofondo.
Lui guidava pigro. Chiacchieravano e nell'aria la carica erotica aumentava.
farfalla sentiva la pelle calda, una sensazione di pizzicore diffuso come se il sangue avesse cominciato a scorrere ovunque sempre più veloce.
La voce di Jonathan era calda. Avvolgente. lei si sentiva rilassata, in pace con tutto l'universo e...
L'urlo le scoppiò in testa come una bomba.
Spalancò gli occhi e si sollevò di scatto dal sedile.
-farfalla ma che...-
-Fermati. fermati subito!- disse guardandosi intorno con il fiato ancorato in gola.
L'urlo continuava a rimbombarle in testa, simile allo stridio delle lamiere quando si toccavano.
Conosceva bene quell'urlo. Quel tipico urlo.
Era l'urlo di un predatore che aveva appena finito la sua predazione di anime e si stava preparando ad attaccare una...fata.
Com'era possibile?
farfalla abitava ad Amsterdam proprio perchè non intendeva condividere più niente con Era, si era tirata fuori. Viveva da umana ormai da anni e la magia quasi non la sentiva più.
Ma quell'urlo. Quell'urlo non poteva rimanere inascoltato.
Non c'erano guardiani lì quindi la fata era spacciata, perchè non era una guerriera sicuramente o un guardiano ma se interveniva forse non avrebbe più potuto vivere come aveva fatto fino ad ora.
Lontano da tutto e tutti.
Guardò Jonathan che intanto si era fermato e la guardava interrogativo. Non preoccupato. Interrogativo, nonostante Farfalla sapesse di avere un espressione decisamente diversa da quella languida di poco prima.
-Scendo qui. Grazie.-
-Ma come scendi qui, che è successo? Ho detto qualcosa che...-
Farfalla era già fuori nell'aria gelida di fine ottobre. Troppo gelida per essere fine ottobre.
polverizzò dalla mente quello che le era venuto in mente.
-No Jonathan scusami...non posso spiegarti davvero. Stai tranquillo...-
Lui fece per scendere.
lei sospirò e fece una cosa che erano almeno dieci anni che non faceva più.
usò la magia. Una piccola. Piccolissima magia debole e impercettibile, ma abbastanza per gli umani e per convincere Jonathan ad andare a casa senza ricordarsi nulla di quello che stava vivendo adesso, ma anzi. Ricordandosi di averla portata a casa. Baciata con passione e poi da vero gentil uomo non avere insistito per salire.
Poi seguì l'urlo di attacco del Predatore sentendo la sua antica stirpe guerriera svegliarsi e prepararsi alla lotta.
Due anni prima
Amsterdam, 31 ottobre 2033
h 23 e 12
Ormai Tebe ne era certa. Qualcuno la stava seguendo. Dal mattino.
Ma non era qualcuno. Era qualcosa. Un vampiro?
Non riusciva a capirlo e questo voleva dire solo due cose. O era un succhia molto potente che si schermava benissimo oppure era qualcos'altro. Già. Ma cosa?
Decise di non uscire dal centro pieno di gente e turisti, una cacofonia colorata e rumorosa. Chiunque fosse non avrebbe tentato di ucciderla o rapirla con così tanti testimoni.
Gli scontri con i vampiri e similari non erano mai the con le amiche. Enno.
Si infilò in un bar e ordinò una cioccolata, sedendosi ad un piccolo tavolino poco stabile, in un angolino semi buio. Spalle al muro. Cominciò a fissare la porta del locale.
Forse doveva chiamare aiuto. Era una Guardiana certo, addestrata a combattere ma...lei non sapeva combattere bene.
Era davvero sotto la media a calci rotanti e tutte quelle cose che gli altri normalmente facevano solo con il corpo.
Pure Nausica che aveva qualche problema di coordinazione, menava come un guerriero quasi senza usare la magia.
Lei invece. Si. Picchiava. Certo. Atterrare un umano non era un grosso problema ma...umani appunto. I succhia erano altro.
Era tutto tranquillo. Apparentemente. Aveva i brividi.
E a Praga, non c'era nessun Guardiano.
Non c'erano Porte da controllare in quel luogo, non aveva nemmeno una storia vampirica o eraniana di rilievo.
Infilò un dito nella panna montata e se lo portò alla bocca, succhiandolo.
Ancora niente.
Solo turisti e giovani.
A mezzanotte si alzò.
Ok. Non poteva stare tutta la notte a rimpinzarsi di cioccolata e panna, e quel qualcosa che le stava attaccato al culo non avrebbe mollato. Ormai era evidente.
Lo scontro. Era. Inevitabile.
Fece una rapida anamnesi delle difese che aveva e la voce della Gran sacerdotessa le rimbombò in testa.
Tebe, quelle non sono armi da Guardiano. Sono solo...beauty. Quand'è che cresci? Non perdo le speranze con te.
Aveva ragione ovviamente. Sulle armi, non sulla crescita. Ma si sarebbe sentita a disagio con fucili a canne mozze nascosti nelle pieghe del tempo o bombe a mano grosse come noccioline in tasca.
No no. E poi le sue due armi le avevano sempre salvato la vita (certo, insieme ad un bel pò di magia e aiuti fortuiti ma lei era viva. Vivissima)
Al polso destro portava un sottile, rigido e piatto braccialetto alla schiava, un oggetto magico che faceva uscire quattro stiletti di 15 centimetri affilati come rasoi. Letali.
E poi la sua arma preferita. Anzi. L'unica sua arma preferita. Le odiava, non nutriva nessun interesse per loro, ma quella le era stata regalata da uno stregone di Era, L'Eremita, un saggio e potentissimo essere magico avvolto da molto mistero.
ed era stato un onore, che l'aveva anche un pò stupita.
Appariva come un cilindro d'acciaio, di piccolo diametro, giusto per impugnarlo ma.
Era una frusta di energia e magia, che bruciava al solo contatto. E non solo.
Pagò, si attardò a cercare fintamente qualcosa nella borsa e si mischiò all'uscita con un gruppo di ragazzi urlanti.
Se doveva combattere lo avrebbe fatto.
Non le piaceva essere preda.
Ancora niente. Girava da più di un ora ma ancora. Niente.
La sentiva la presenza, ma non la vedeva e non capiva cosa fosse.
Decise di spostarsi dal centro. la cosa non era benevola. Avvertiva ondate di...nervosismo? Non lo sapeva e non poteva mettersi in ascolto, sarebbe stato come rivelare in toto la sua presenza.
Lo avrebbe affrontato.
Respirò forte mentre scendeva in metropolitana. Sapeva che quella fermata sarebbe stata quasi deserta.
E infatti. Solo un paio di ubriaconi, qualche tossico e niente altro.
tebe si portò velocemente davanti al binario, con gli occhi fissi sulle scale mobili che scendevano.
Poteva arrivare solo da li. Lo avrebbe visto. E lui anche.
I muscoli cominciarono a tendersi. L'adrenalina scorrere veloce, raggiungere ogni cellula del suo corpo.
Era pronta. No non è vero. Non lo era. Aveva paura, non molta in verità, ma...
Aveva. Paura.
Dalle scale mobili ancora nulla. Scendevano vuote. Intorno solo il sibilo dei motori che le facevano scorrere, un sibilo metallico. Le voci sconclusionate dei due ubriachi. Il silenzio fatto dei tossici che qualsiasi cosa fosse successa non ci avrebbero badato.
Lui era sopra. Lo sentiva. Stava decidendo se era una trappola?
Tebe liberò la sua magia. Non aveva importanza se altri vampiri l'avrebbero sentita e individuata. Doveva sapere esattamente con cosa si stava apprestando a combattere.
Ondate sottili di energia cominciarono ad espandersi nello spazio, oltre il suo corpo. Tebe poteva vederle, onde leggere e invisibili simili a piccole dita che si allungavano, si spandevano, scivolavano veloci sulle scale mobili, risalendo e...
-Ma cosa cazz...-
Dolore. Dolore. Dolore.
Quando la sua schiena colpì il muro di schianto sentì le ossa frantumarsi.
Urlò di dolore quando toccò il pavimento, come un sacco sbattuto a terra.
Ansimò alla ricerca d'aria. Era stata scaraventata indietro dalla sua stessa energia. Una rimessa al mittente rabbiosa e potente.
Tentò di alzarsi. Non ci riuscì. Non poteva avere nulla di rotto ma si sentiva a pezzi. E in bocca il sapore del suo sangue.
Prese un respiro ma l'aria sembrava ancorarsi in gola.
Dolore.
Tra le lacrime fissò le scale mobili.
Ferme.
Tentò di alzarsi di nuovo, ignorando il dolore.
Crollò di nuovo a terra.
Cazzo cazzo cazzo.
Poteva chiamare aiuto i suoi sarebbero arrivati in poco ma...non voleva. Non ancora. Prima doveva capire chi fosse e cosa fosse.
Doveva alzarsi. Si appoggiò alla parete in piastrelle, lurida e fredda della metro e finalmente fu in piedi.
Si tolse il cappotto e rimase con una semplice maglietta aderente a collo alto, nera e un paio di pantaloni anch'essi neri. . In mano aveva già la sua frusta, anche se immaginava di non avere per nulla l'immagine di un Guardiano cazzuto pronto alla lotta.
Respirò ancora. Sputò sangue. Andava meglio.
Le scale ripresero a scendere.
Parigi, oggi
H 21:30
Morgue, laboratorio Ghost
Tebe si infilò in bocca l'ultimo pezzo di kinder fetta al latte, mugulando di piacere. Leccò le briciole pannose rimaste intorno alle labbra e si chinò attenta sul collo verdastro del cadavere.
-Nulla di nuovo. E' stato bevuto come gli altri.- disse rialzandosi - e gli è stata rubata l'anima.-
Toshi, il suo braccio destro, un umano illuminato dall'intelligenza incredibile, storse un pò la bocca -Ormai i cadaveri senz'anima stanno diventando un vero esercito. nel deposito Europeo sono quasi mille. E dobbiamo ancora ricevere gli aggiornamenti asiatici e quelli medio orientali.-
Tebe tolse i guanti da chirurgo, scartò un altra kinder fetta al latte e cominciò a ricucire con punti autosaldanti lo sterno del morto, un uomo devastato dall'alcool e dalla droga. I suoi organi interni erano al collasso e se non fosse arrivato il Predatore comunque sarebbe crepato lo stesso. Ma la sua anima sarebbe stata salva.
No. Salva no. Sperava che quel grandioso figlio di puttana stecchito sul tavolo di acciaio pagasse per tutti i suoi crimini e...
-Tebe, c'è qualcosa che dovrei sapere?-
Lei inarcò un sopracciglio fissandolo. Si che c'era qualcosa che lui avrebbe dovuto sapere. Ma non solo lui. Anche tutti gli umani che collaboravano con Era.
A loro era stata taciuta l' informazione più importante, ovvero che il Risveglio del Re era vicino. Molto vicino. E che il libro li davano per spacciati.
Minerva non aveva voluto sentire ragioni sul parlare con gli umani e dopo accese litigate si era giunto ad un compromesso.
Se il libro del tempo avesse mutato la sua profezia dopo la decisione di attaccare, allora gli umani vicini al popolo di era avrebbero saputo. Tutto.
Non era possibile fare diversamente. per attaccare le file dei vampiri e tentare di stanare il luogo dov'era seppellito il re avevano bisogno di persone.
E quindi sarebbe scattato il reclutamento di nuovi umani. Per forza.
Ma nessuna notizia proveniva da Era. Minerva taceva.
Il libro non aveva cambiato la sua profezia? O l'aveva cambiata in maniera tale da essere peggio? Impossibile. Cosa c'era di peggio che l'annientamento della razza umana come società e della distruzione di Era?
sarebbero diventati tutti schiavi dei vampiri secondo Il libro.
Schiavi e cibo.
Le fate poi sarebbero state trattate peggio. Rabbrividì ricordando la storia antica del suo popolo.
-Tebe...- la riportò alla realtà Toshi.
Lei fissò gli occhi scuri a mandorla del giapponese che le rimandavano uno sguardo deciso e acuto -Si, c'è qualcosa che dovresti sapere ma non posso ancora dirti nulla.-
Toshi annuì -Finisco io con il pacco speciale.- le disse avvicinandosi al cadavere ormai quasi completamente ricucito -Immagino che i Pulitori arrivino fra poco.-
-Esatto...me ne vado allora Toshi. Se ci sono problemi chiama.-
Berlino est, stesso momento
Joey Blow parcheggiò la macchina in una via laterale di Kin strasse chiedendosi se l'avrebbe ritrovata al suo ritorno.
Sperò di si. Non per lui. Ma per gli eventuali ladri.
Camminò velocemente dribblando puttane e spacciatori, sacchi di immondizia rotolati fuori dai bidoni stracolmi, lampioni per lo più rotti e quei pochi che facevano luce, sembravano sul punto dio spegnersi, dando tutto intorno un alone giallognolo da quartiere malato.
E lo era.
Si infilò dentro un androne buio e la puzza di piscio rancido gli colpì le narici come un pugno. Una lampadina dall'insolita luce fredda sbucava attaccata ad un filo nero, da un muro scrostato, pieno di macchie e un topo grosso come un gatto gli saettò tra i piedi.
Joey cominciò a salire una scala ripida e sporca. Buia. gelida.
Dalle porte mal messe degli appartamenti ogni tanto uscivano rumori. L'abbaiare di un cane con relativo Fai tacere quella testa di cazzo a quattro zampe stronza puttana. fatti leccare in silenzio! a rumori di mobili spostati.
Qualcuno stava ascoltando la tv ad un volume altissimo, risate e canti da ubriaco.
Salì ancora un piano finchè arrivò davanti ad una porta in acciaio scrostato.
Nel lungo corridoio in penombra sembrava non esserci nessuno.
Nessun campanello. Bussò.
Niente.
Bussò ancora.
Niente.
Un pakistano uscì dall'ombra. Joey lo sentì avvicinarsi, passare oltre e poi sparire.
Bussò ancora.
-Chi cazzo sei, non sono in casa, non si capisce?-
-Sono Blow.-
-Ma certo! E io sono Cenerentolo!-
-Conto fino a tre. Uno. Due. Tr..-
La porta si spalancò di colpo e un nero enorme apparve. -Blow! E' una vita che non ti vedo! Vieni qui fratello!-
Joey gli infilò la pistola sotto il naso.-Non ho tempo. Ho bisogno che mi forzi ora la rete del dipartimento.-
-Fratello ma...-
-Non sono tuo fratello.-
-D'accordo amico ma stai tranquillo con questo cannone. Hei mi sembri un pò alterato...-
Alterato? Non era la parola giusta.
No. Lui si sentiva davvero arrabbiato.
proprio due ore prima gli avevano comunicato che sarebbe andato in ferie forzate. Troppo lavoro, e qui e su e giù.
Ma il motivo era uno solo. Lo volevano fuori dal dipartimento e non a caso. Per quei cazzo di cadaveri dissanguati e bollati come top secret.
L'appartamento di Swot era un concentrato di tecnologia in disordine. Lui era la tecnologia. Un hacker davvero strepitoso.
-Allora Joey..esattamente...cosa devo fare?-
Amsterdam, 31 ottobre 2033
Respirò ancora. Sputò sangue. Andava meglio.
Le scale ripresero a scendere.
Tebe percepì il tempo come dilatato. E rigido. Acuminato.
Strinse l'impugnatura della frusta che vibrava come un serpente nella luce fredda della metro.
Si asciugò con il dorso della mano un rivolo di sangue che le usciva dal naso e ne sputò ancora.
Ma il male stava diminuendo. Santi anticorpi delle fate. Funzionavano benissimo nel mondo umano facendo in modo che ogni frattura e ogni ferita guarisse in breve tempo.
Respirò ancora.
le scale continuavano a scendere.
Fece un passo indietro, nascondendosi dentro un cono d'ombra.
L'avrebbe sentita, ma non vista. Lo sperava almeno.
Uno degli ubriachi si voltò ciondolante verso le scale mobili, come se fosse stato chiamato.
Si alzò barcollante e indeciso sulle gambe. Si vomitò addosso e con sguardo vuoto cominciò a camminare, strascicando i piedi.
Tebe notò che sembrava non camminare realmente di sua iniziativa. Come se fosse sotto ipnosi o qualcosa del genere.
Dalle scale cominciarono a vedersi degli stivali. Neri. Di cuoio. Da uomo.
L'ubriaco si fermò. E il cuore di Tebe anche.
Poi sbucò l'orlo di un cappotto lungo.
le scale continuarono a scendere e finalmente tebe lo vide.
E capì.
Si schiacciò più che poteva dentro il cono d'ombra ma sapeva che il predatore sapeva esattamente dov'era, ma non era lei la priorità del demone, era l'ubriacone.
E solo dopo avere finito con lui avrebbe dedicato a lei tutta la sua attenzione.
Sfiorò il quadrante del suo orologio inviando la sua richiesta di soccorso immediato.
E cominciò a pensare a come guadagnare tempo.
In maniera molto umana e poco fatesca pensò.
Sono nella merda fino al collo.
Oggi
Volo Berlino-Parigi
h 04:32
La deliziosa hostess bionda dagli occhioni blu ammiccò all'uomo che non aveva ancora avuto il piacere di veder sorridere, chinandosi verso di lui -Mister Deich, gradisce qualcosa da bere?-
-No grazie.- non la guardò nemmeno in viso.
Lei non si arrese -Da mangiare?-
-No grazie.-
-Se vuole vedere un film le...-
-No grazie.-
-Rimane un pò a Parigi?-
-Non lo so.-
-Io un paio di giorni. E una città deliziosa non trova?-
-Si. Deliziosa.-
-E' venuto a trovare amici o...-
Joey, ora signor Deich grazie ai nuovi documenti falsi, smise di ascoltarla.
Swot ci aveva messo un pò, ma alla fine aveva fatto entrare Joey nella sotto rete segreta del dipartimento dove aveva cercato e trovato un unica informazione fatta di tre parole.
Parigi. Morgue. Ghost.
Ovvero, i tre cadaveri berlinesi trovati senza sangue e tolti dalle sue indagini erano stati spediti a Parigi.
Perchè?
Ghost? Che cazzo di nome era e perchè Parigi?
Aveva chiesto a Swot di entrare nel sistema interno del dipartimento di anatomopatologia parigino ma era stato estremamente difficile e soprattutto non trovarono nulla che gli desse qualche indicazione per capire che cosa fosse ghost.
-...comunque io alloggerò al Four season...- concluse lei, porgendogli un piccolo biglietto.
Lui lo prese e finalmente la guardò.
-Grazie.- lo ripiegò senza guardarlo e lei. Finalmente. Se ne andò soddisfatta.
Joey tornò a guardare la notte oltre il finestrino, mentre appallottolava tra il pollice e l'indice il foglietto. la carta scricchiolò tra le sue dita.
Morgue. Ghost.
Sentiva di essere sulla strada giusta.
Buttò nell'apposito spazio la pallina di carta e chiuse gli occhi.
Amsterdam, 2033
Farfalla rise di gusto, appoggiando delicatamente il bicchiere panciuto di cristallo ormai vuoto.
Era stata una cena assolutamente perfetta.
Dal posto. Al cibo. Alla compagnia.
Era stata indecisa fino all'ultimo se accettare quell'invito, alla fine erano anni che non usciva con un umano.
In effetti non usciva nemmeno con eraniani o vampiri o qualsiasi cosa fosse di sesso maschile, ma quello era un altro discorso.
E invece, contro ogni previsione, era stata benissimo. Anzi no. Divinamente bene.
-Hei...perchè quella faccia stupita? A cosa stai pensando?-
Farfalla allargò il suo sorriso, reclinando leggermente la testa -Nulla, è solo che...- si fermò.
-Solo che?- la incoraggiò lui.
-Sono stata davvero bene.-
-E non te l'aspettavi?-
-No. Ammetto di no.-
-Perchè sono un giovane pittore pazzo?- scherzò lui.
-No. Perchè sei un uomo.-
Jonathan la guardò leggermente perplesso e lei si scoprì ad osservare ogni linea di quel viso.
Di quel bellissimo viso. No. Non era bellissimo, ma era una calamita per lei.
In effetti lui era tutto una calamita. Sorrise dentro di se, pensando che forse forse...massì. Decise.
Lo avrebbe invitato a salire.
Mezz'ora dopo erano in macchina, con musica soul in sottofondo.
Lui guidava pigro. Chiacchieravano e nell'aria la carica erotica aumentava.
farfalla sentiva la pelle calda, una sensazione di pizzicore diffuso come se il sangue avesse cominciato a scorrere ovunque sempre più veloce.
La voce di Jonathan era calda. Avvolgente. lei si sentiva rilassata, in pace con tutto l'universo e...
L'urlo le scoppiò in testa come una bomba.
Spalancò gli occhi e si sollevò di scatto dal sedile.
-farfalla ma che...-
-Fermati. fermati subito!- disse guardandosi intorno con il fiato ancorato in gola.
L'urlo continuava a rimbombarle in testa, simile allo stridio delle lamiere quando si toccavano.
Conosceva bene quell'urlo. Quel tipico urlo.
Era l'urlo di un predatore che aveva appena finito la sua predazione di anime e si stava preparando ad attaccare una...fata.
Com'era possibile?
farfalla abitava ad Amsterdam proprio perchè non intendeva condividere più niente con Era, si era tirata fuori. Viveva da umana ormai da anni e la magia quasi non la sentiva più.
Ma quell'urlo. Quell'urlo non poteva rimanere inascoltato.
Non c'erano guardiani lì quindi la fata era spacciata, perchè non era una guerriera sicuramente o un guardiano ma se interveniva forse non avrebbe più potuto vivere come aveva fatto fino ad ora.
Lontano da tutto e tutti.
Guardò Jonathan che intanto si era fermato e la guardava interrogativo. Non preoccupato. Interrogativo, nonostante Farfalla sapesse di avere un espressione decisamente diversa da quella languida di poco prima.
-Scendo qui. Grazie.-
-Ma come scendi qui, che è successo? Ho detto qualcosa che...-
Farfalla era già fuori nell'aria gelida di fine ottobre. Troppo gelida per essere fine ottobre.
polverizzò dalla mente quello che le era venuto in mente.
-No Jonathan scusami...non posso spiegarti davvero. Stai tranquillo...-
Lui fece per scendere.
lei sospirò e fece una cosa che erano almeno dieci anni che non faceva più.
usò la magia. Una piccola. Piccolissima magia debole e impercettibile, ma abbastanza per gli umani e per convincere Jonathan ad andare a casa senza ricordarsi nulla di quello che stava vivendo adesso, ma anzi. Ricordandosi di averla portata a casa. Baciata con passione e poi da vero gentil uomo non avere insistito per salire.
Poi seguì l'urlo di attacco del Predatore sentendo la sua antica stirpe guerriera svegliarsi e prepararsi alla lotta.
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