cHE COSA NE è USCITO FUORI...
Riallacciandomi alle parole dette da Hellseven che non aveva pensato che alcuni di noi non avessero superato il trauma, mi sono chiesta quanti, in tutta onestà, l'abbiano veramente superato.
Mi viene subito in mente Tebe, poi Ultimo, e...non saprei.
Pongo questa domanda anche a quelli che hanno deciso di lasciare, avendo il dubbio che alcuni si siano portati dietro il fardello del dolore, probabilmente stemperato, ma non so...
Un giorno uno scapolo chiese al suo computer di trovargli la compagna perfetta: «Voglio una ragazza piccina e graziosa, che ami gli sport acquatici e le attività di gruppo». Dopo un po’ il computer rispose: «Sposa un pinguino». Molto spesso costruiamo le nostre relazioni umane su delle aspettative che ci portiamo dentro o su delle idee che abbiamo dell’altro, che il più delle volte non corrispondono alla realtà delle cose. In questo modo l’uomo e la donna vanno alla ricerca di qualcuno che colmi le loro esigenze e riducono la relazione d’amore ad una specie di “supermercato” dove ognuno prende quello che gli serve e che corrisponde ai suoi bisogni impellenti.
La formula del consenso matrimoniale contenuta nel nuovo rito del matrimonio ci apre, invece, alla dimensione del dono. La parola che viene pronunciata dagli sposi è proprio quella dell’apertura fiduciosa all’altro: io accolgo te. Gli sposi promettono reciprocamente di aprirsi alla concreta realtà dell’altro per abbracciare tutto il mondo della persona reale che è lì davanti: la sua diversità, la sua storia, il suo carattere, la sua educazione, i suoi desideri, i suoi sogni. Anche se gli sposi si sono scelti reciprocamente, tuttavia essi hanno sempre bisogno di accogliersi e di riscoprirsi come dono l’un per l’altro; infatti essi sono due persone che crescono, che camminano, che cambiano rivelando aspetti inediti e nuovi della propria personalità che hanno bisogno di essere ospitati reciprocamente con rinnovato impegno. Questo predispone e apre alla meraviglia e alla gratitudine: ogni dono è sempre una sorpresa inaspettata che viene a ringiovanire la relazione e a rinnovare l’amore coniugale. Chi accoglie veramente, dunque, non è soltanto un recettore passivo, fermo, statico e inerme, ma è soggetto di una vera e propria attività che gli domanda di sgomberare l’animo da ogni idea preconfezionata dell’altro per far posto all’originalità e al mistero della persona da accogliere.
Ma per accogliere veramente l’altro, con il suo modo di essere, la sua diversità e anche i suoi difetti, devo prima essermi distaccato da tutte le mie aspettative e aver creato uno spazio ospitale nel mio animo e nella mia vita. Accogliere l’altro per quello che è significa emigrare dal mio ‘io’ e dirigermi verso un mondo nuovo che non mi appartiene, che non conosco e che non possiedo totalmente. Questo è essenziale all’amore, poiché l’amore vive se è proiettato al di fuori di se stessi e se è totalmente lanciato verso l’altro. Potremmo affermare che è impossibile essere felicemente sposati con qualcuno, se prima non si è divorziato da se stessi!
La propria moglie e il proprio marito, dunque, sono un dono da accogliere incondizionatamente, senza volere che sia diverso da ciò che è. Qui si sperimenta una delle dimensioni più belle e, nello stesso tempo, più difficili dell’amore: amare l’altro non perché è perfetto o perché è l’esatta riproduzione di qualche nostro stupido sogno, ma semplicemente perché è una persona che ha la mia stessa dignità e il mio stesso valore. Il marito perfetto è quello che non vuole una moglie perfetta, ma che accoglie interamente il proprio coniuge per quello che è. Se dunque lo sposo o la sposa è capace di vera accoglienza, allora l’altro si sentirà limpidamente amato per se stesso e non per qualche suo merito o pregio. Di conseguenza, in questo clima di stima e di amore disinteressato ciascuno sarà capace di consegnarsi nelle mani del proprio coniuge senza paura di mostrare le proprie debolezze e fragilità.