Domande ... sulla lingua italiana ...

Brunetta

Utente di lunga data
Ciao

è un giudizio in effetti. E la parola in tedesco, è molto più "soave" e indica più un malinteso ...
Una cattiva interpretazione di ciò che si sta cercando di dire ... una cosa così ...

L'ho usato l'altro giorno ... :eek: ...
Va bon ... è passata ...


sienne
Non esiste in tedesco un modo per definire chi fa una cosa adducendo (portando) un motivo nobile mentre lo fa per un interesse non nobile o ignobile ?
 

sienne

lucida-confusa
Non esiste in tedesco un modo per definire chi fa una cosa adducendo (portando) un motivo nobile mentre lo fa per un interesse non nobile o ignobile ?

Ciao

no, non esiste un termine. Lo esprimiamo in più parole, del tipo:
stai agendo con cattiveria; hai delle intenzioni cattive ...
(traduzione dal dizionario PONS) ... siamo crucchi ... :mrgreen:


sienne
 

Hellseven

Utente di lunga data
Ciao

ritorno con una mia domanda di comprensione su un termine,
che in questi giorni si è usato tanto ... -> la malafede.

Mi è anche già stato spiegato una volta, ma quando leggo,
mi sembra che viene un po' usato con un significato molto ampio.

Per me, l'ho tradotto con "Unterstellung" -> mettere sotto -> cioè, attribuire delle intenzioni.

Il dizionario riporta:

  • 1 Mancanza di lealtà e sincerità SIN ipocrisia, disonestà: agire in m.
  • 2 dir. Consapevolezza di pregiudicare con le proprie azioni un diritto altrui
  • • sec. XVII


    Che significato abbraccia nell'uso ...

    Grazie in anticipo ...



    sienne
Ciao secondo me unterstullung non è la parola adatta come hai già notato tu.
 

sienne

lucida-confusa
Ciao secondo me unterstullung non è la parola adatta come hai già notato tu.

Ciao

infatti. Unterstellung, è insinuare ...

Ipocrisia corrisponde a Heuchelei e o Scheinheiligkeit ...
Vengono usati pochissimo. E nell'uso, indicano più altri aspetti ...
Come per dire, non fare l'angioletto (Schein = apparenza, luce + heilig = santo)


sienne
 

sienne

lucida-confusa
In boser Absicht? Boswillig? Wieder besseres wiessen handeln?

Ciao H7 ...

si, si avvicina tanto. Questo è il campo.


http://www.liceoscordia.it/document... (Le relazioni con altri). Gen.-Feb. 2013.pdf



La malafede


“L'essere umano non è solo l'essere per mezzo del quale compaiono nel mondo delle negatività, è anche l'essere che può prendere atteggiamenti negativi nei confronti di se stesso “ (Jean-Paul Sartre , L’essere e il nulla, Il Saggiatore).


Fra tali atteggiamenti, il comportamento che consapevolmente induce a supporre o accogliere per veri fatti in contrasto con la realtà, viene definito da Jean-Paul Sartre “malafede”.

Per capire pienamente cos'è la malafede Sartre procede in modo dialettico; infatti, poiché ogni affermazione sottintende una negazione, per specificare ciò che una cosa è, bisogna implicitamente chiarire ciò che essa non è ( come affermava Spinoza, “omnis determinatio est negatio”). Tutti pensiamo di essere in grado di dare una definizione soddisfacente di malafede, dato che è un’esperienza usuale nella vita quotidiana. Ponendo tuttavia la classica domanda socratica “che cos' è?” alle persone destinatarie della nostra richiesta di una definizione, riceveremmo risposte diverse e, possibilmente, anche in opposizione tra loro. La malafede non è nè un errore nè una finzione. Nell'errore diciamo il falso per ignoranza, perché non conosciamo lo stato delle cose; quindi chi fa un’affermazione falsa prima dice il falso senza esserne consapevole, pensando di dire il vero, e poi scopre il vero. La finzione nelle sue varie forme ( humour, parodia, barzelletta, satira ecc.) è una situazione nella quale il parlante non ha intenzione di ingannare ma di essere smascherato: egli vuole che il destinatario scopra che il suo discorso sia falso, poiché tale scoperta è un’integrazione della stessa finzione.


Spesso si assimila la malafede alla menzogna. Afferma però Sartre:
“Ammetteremo volentieri che la malafede sia menzogna a se stessi, purché si distingua immediatamente la menzogna a se stessi dalla menzogna propriamente detta”.
Una menzogna propriamente detta è l’alterazione o falsificazione della verità perseguita con colpevole determinazione. Vi sono tre condizioni necessarie affinché una menzogna si avveri: la falsità del contenuto del discorso, la consapevolezza di tale falsità da parte del parlante e l’intenzione di ingannare il destinatario, così da negare e occultargli la conoscenza del vero. L’essenza della menzogna vuole quindi che il mentitore metta in atto e realizzi cinicamente un progetto di mascheramento della verità e che di tale progetto sia del tutto consapevole. La menzogna riguarda il trascendente perché il fatto enunciato non esiste e la negazione implicita sostanzialmente nella menzogna riguarda la verità. Perciò la menzogna, avendo a che fare con qualcosa che trascende la coscienza, non coinvolge la struttura della coscienza attuale: tutte le negazioni che la costituiscono hanno infatti a che fare con oggetti che sono espulsi dalla coscienza, sono esteriori rispetto ad essa e per questo trascendenti. Afferma ancora Sartre:
“ La menzogna è un fenomeno normale di ciò che Heidegger chiama il Mit-sein. Suppone l’esistenza mia, l’esistenza dell'altro, la mia esistenza per l’altro, e l’esistenza dell’altro per me.” .
Così al mentitore basta far sì che l’altro prenda per vera la menzogna ed in tal modo egli utilizza per il proprio profitto la dualità ontologica del proprio io e dell’io d’altri, realizzando di esistere in natura come una coscienza nascosta ad altri.
La malafede ha in apparenza la stessa struttura della menzogna, poiché io maschero la verità. Ma essendo io stesso sia ingannatore che ingannato non vi è più la dualità ontologica tipica della menzogna; l’atteggiamento di malafede implica allora per essenza l’unità di una coscienza alL’interno della quale, e solo al suo interno, si situi la dualità della menzogna ma facendo capo all’unità di un io che è vittima dello stesso inganno da lui progettato e realizzato.

“Non si subisce la propria malafede, non si è “affetti” da malafede, non è uno stato. La coscienza si contamina da se stessa di malafede. Occorre un’intenzione primitiva e un progetto di malafede : il progetto implica una concezione della malafede come tale ... ”.
Ammettiamo che nella malafede chi mente e colui a cui si mente sono la stessa persona, e cioè che davvero, in modo incredibilmente paradossale, io devo allora conoscere, in quanto realizzo un inganno, la verità che tuttavia non dovrei conoscere dal momento che sono anche la vittima di questo inganno. Nasce allora spontaneamente la domanda di come possa sussistere la menzogna se la dualità che la rende possibile, e quindi è presupposta, è invece soppressa e se colui a cui si mente conosce già la verità.
E questa non è l’unica difficoltà a cui si va incontro nell’analisi della struttura della malafede se se ne vuole conoscere la natura. La trasparenza della coscienza comporta che il soggetto-oggetto della malafede sia consapevole di essa, il che significa quindi che egli sia in buona fede nella coscienza della propria malafede.

Per capire meglio cos' è la malafede Sartre afferma che conviene analizzare più da vicino i comportamenti di malafede iniziando con il porsi la domanda

“ Che cosa deve essere l’uomo nel suo essere, per poter essere in malafede?”.
Egli porta l'esempio di una donna che si è recata al suo primo appuntamento e che conosce le intenzioni dell'uomo che si appresta ad incontrare. Proprio per questo sa che dovrà prendere una decisione, ma rimanda questo momento e si attacca agli atteggiamenti rispettosi del compagno circoscrivendoli solo al presente , spogliandoli dunque di qualsiasi significato implicito e privandoli, in ultima analisi, della loro trascendenza. Ella si rifiuta praticamente di percepire il desiderio in quanto tale del suo compagno e non lo riconosce se non come ammirazione, stima e rispetto. Cristallizza il compagno nelle qualità che gli riconosce, lo fissa ancorandolo al presente e, tutto impastato di questo attimo, viene imprigionato nella sua fattità e privato di ogni possibile sviluppo. La donna ha bisogno di non avvertire come tale il desiderio per non sentirsi umiliata dalla sua cruda nudità, benché ad esso sia sensibile e, tutto sommato, lo vuole. Ma vuole anche, intanto, essere la destinataria di un sentimento che sia rivolto alla sua persona: vuole cioè essere trovata come soggetto e libertà totale non oggettivabile. La situazione, tutta piena di questa segreta contraddizione, necessita di una decisione immediata nel momento in cui l’interlocutore le prende la mano: infatti, abbandonare la mano significherebbe consentire al flirt, mentre ritirarla comporterebbe la rottura del temporaneo incanto.
“Si sa allora quel che succede; la giovane donna abbandona la mano, ma non s’accorge di abbandonarla. Non s’accorge perché, per caso, avviene che ella è, in questo momento, tutta spirito.”
La donna quindi scinde il proprio corpo dall'anima portando l’interlocutore nelle regioni più elevate del sentimento. Sartre afferma: “Diremo che questa donna è in malafede”. Ella per realizzare questa malafede ed in essa mantenersi usa diversi procedimenti: per prima cosa ha neutralizzato i comportamenti del compagno lasciandoli nel modo dell'in-sé, mera fattità cristallizzata in qualità spirituali ed innocue e, contemporaneamente, gode del desiderio dell’interlocutore ma solo dal punto di vista trascendentale, cioè come di un non essere. Infine ella si configura come non essente, cioè vedendo il proprio corpo come un ente passivo al quale “possono capitare dei casi”: lo strumento della malafede sfruttato dalla ragazza è quindi l'essere-in-mezzo-al-mondo , cioè la presenza passiva del nostro corpo tra gli oggetti, per liberarsi dall'essere-nel-mondo, il ché comporterebbe essere parte attiva e responsabile di ciò che ci circonda. Filo conduttore di questi procedimenti è la contraddittorietà che nasce dalla posizione di un’idea e dalla negazione di essa. Scaturigine di siffatta contraddittorietà è la struttura duplice della natura umana per la quale l’essere umano risulta costituito di fattità e trascendenza: questa duplicità dovrebbe essere soggetta a consapevole coordinazione, mentre la malafede si limita invece solo ad affermarne l’identità delle sue componenti risolvendo il soggetto indifferentemente nell’una o nell’altra a secondo della necessità: ora nella propria fattità per sfuggire alla trascendenza, ora nella trascendenza per sfuggire alla propria fattità.


“Bisogna affermare la fattità come essente la trascendenza e la trascendenza come essente la fattità, così da potere, nell'istante in cui se ne percepisce una, trovarsi bruscamente di fronte all’altra”.
Alcune frasi celebri ci danno prototipi di malafede: “Io sono troppo grande per me”, titolo di un lavoro di Sarment, presenta i caratteri della malafede, perché “prima ci getta in piena trascendenza per poi imprigionarci subito negli stretti limiti della nostra essenza di fatto”
.
Tale e altre formule si mantengono in una continua disgregazione che rende possibile un continuo fluire e trapassare da un presente di fatto e totalmente impastato di sé verso la trascendenza e viceversa e tendono tutte a stabilire che “io non sono ciò che sono”. Se questa formula non fosse vera dovrei prendere con la massima serietà ogni rimprovero, ma grazie alla trascendenza (il mio non essere in fondo ciò che di fatto appaio e col quale non posso essere identificato) sfuggo a tutto ciò che sono, perché ciò che veramente sono è la trascendenza (ovvero, ciò che di fatto, ancora, non sono). Grazie a questo processo la ragazza purifica il desiderio dello spasimante, considerandone solo la trascendenza che mescola con la fattità del presente che è fatto di rispetto e ammirazione. Il concetto “trascendenza-fattità” è uno strumento basilare della malafede ma non è l’unico: ad esso infatti si aggiunge l'essere-per-sè e l'essere-per-altri.
“Come se io fossi per me stesso la verità di me stesso ed altri non possedesse di me che un’immagine deformata. L’uguale dignità del mio essere per altri e del mio essere per me, permette una sintesi perpetuamente disgregativa ed un perpetuo gioco di evasione dal per-sé al per-altri e dal per-altri al per-sé.”
Questa duplicità della realtà umana comporta il convergere di due diverse strutture di visione del mio comportamento (per cui io sarei ciò che sono per me stesso e ciò che appaio essere agli altri), anche se non c'è differenza tra i due aspetti del mio essere: l’essere e l’apparire.


“Ma cosa occorre propriamente, perché simili concetti di disgregazione possano ricevere anche un falso sembiante di esistenza, possano apparire un istante alla coscienza, magari in un processo di evanescenza ?”
Allo scopo di rispondere a questa domanda Sartre analizza prima l'idea di sincerità, l'antitesi della malafede. La sincerità non è uno stato, essa non si presenta come un essente ma in quanto esigenza di sincerità ha come scopo quindi il raggiungere l'ideale che l’uomo sia per se stesso soltanto ciò che è, quindi raggiungere lo stato dell'in-sé, o principio di identità: essere uguali a se stessi comporterebbe di essere realmente se stessi in ogni apparire, mai difformi dalla propria natura, sempre compattamente se stessi. Ma se l’uomo fosse solo ciò che è la malafede sarebbe impossibile, e la franchezza cesserebbe di essere un ideale d’essere e diventerebbe quotidianità, non più ideale dell'uomo ma essere fattuale di questo.


“Ma che cosa siamo dunque se abbiamo l’obbligo costante di farci essere ciò che siamo, se siamo nel modo d'essere del dover essere ciò che siamo?”
Proseguendo nella sua speculazione, adesso aperta sulla questione della natura di un essere (noi) che vive nella preoccupazione costante di dover essere ciò che è (ma se lo è, perché deve esserlo?), Sartre porta l’esempio di un cameriere qualsiasi, la cui condotta, del tutto riconoscibile in quella di un cameriere-tipo, sembra un gioco. In effetti il ragazzo sta veramente giocando ad essere un cameriere ( intendendo per gioco una specie di controllo e di investigazione), così come farebbe un commerciante che gioca a fare il commerciante, o uno stimatore o un sarto. Appunto essi “giocano” o, ancor meglio, “ recitano” i loro ruoli, ma non lo sono immediatamente. Infatti il cameriere “ha da essere” ma non lo è affatto, perché nelle vesti di cameriere egli è una rappresentazione per sè e per gli altri: quindi, non lo è affatto, ne è separato da un niente che è il niente di ciò che egli non è.
“Consideriamo questo cameriere. Ha il gesto vivace e pronunciato, un po’ troppo preciso, un po’ troppo rapido, viene verso gli avventori con un passo un po’ troppo vivace, si china con troppa premura, la voce, gli occhi esprimono un interesse un po’ troppo pieno di sollecitudine per il comando del cliente, poi ecco che torna tentando di imitare nell’andatura il rigore inflessibile di una specie di automa, portando il vassoio con una specie di temerarietà da funambolo . . .”
Il ragazzo, come l'attore di Amleto, non può essere cameriere che in modo neutro, cercando di realizzare l'essere-in-sé del cameriere , riferendosi a gesti tipici presi come “analogon”, come se tutti i suoi diritti e doveri non fossero frutto della sua libertà ma semplicemente parte del copione, tuffandosi nell’essenza astratta di ciò che deve essere.
Così facendo egli è perpetuamente assente dal suo corpo e dai suoi atti, è “divina assenza”. Il ragazzo è in un certo senso cameriere se lo si considera nel modo dell’essere ciò che non è ( quindi non dell’essere in sé, come diciamo che il calamaio è un calamaio o che questo è un bicchiere): paradossalmente, può essere ciò che è (nel suo ruolo) solo nel modo del non essere, per di più in una duplice accezione: come non essente il cameriere (gioca a fare il cameriere) e come non essente più “il ragazzo-che gioca” (ora divina assenza).
“Da ogni parte sfuggo all'essere e tuttavia sono”.
Che ne è allora di questo essere che sono, precipitato in un processo di disgregazione costante, costantemente in fuga da me stesso verso la mia aperta trascendenza o verso il rifugio rassicurante di una mera fattità? Come pensare questo mio essere come essere, che perdo ripetutamente di vista perché in continua fuga dall’essere che è e così inestricabilmente impastato col niente che la sua fuga gli apre dietro e il niente cui mira davanti a sè? La malafede non è cinica, non è lucido inganno, non ci nasconde all’altro mettendoci da esso al riparo; la malafede pretende molto di più, è un’impresa praticamente impossibile perché con essa si vuole realizzare ciò che non si può realizzare, e cioè si mira a sfuggire a se stessi. Questo piano di fuga si avvale per la sua riuscita della struttura lacerata dell’essere, della sua intima disgregazione. Sartre conclude:
“Se la malafede è possibile, è perché essa è la minaccia immediata e permanente di ogni progetto dell’essere umano, è perché la coscienza nasconde nel suo essere un rischio permanente di malafede. E l’origine del rischio è che la coscienza, nel suo essere e contemporaneamente, è ciò che non è, e non è ciò che è”.



sienne
 
Ultima modifica:

Fantastica

Utente di lunga data
Grazie per questo contributo, @sienne.:)

Tradotto in termini di tradinet, l'accusa di malafede se così concepita da Sartre, come verrebbe? Fattità e trascendenza come si esplicherebbero nei ruoli degli utenti? Ma soprattutto, mi pare di capire, secondo Sartre la malafede non può essere imputata, perché è uno stato e non una scelta, ed è menzogna a se stessi prima di tutto.
 

sienne

lucida-confusa
Grazie per questo contributo, @sienne.:)

Tradotto in termini di tradinet, l'accusa di malafede se così concepita da Sartre, come verrebbe? Fattità e trascendenza come si esplicherebbero nei ruoli degli utenti? Ma soprattutto, mi pare di capire, secondo Sartre la malafede non può essere imputata, perché è uno stato e non una scelta, ed è menzogna a se stessi prima di tutto.

Ciao

così, l'ho capito pure io. Il gioco avviene proprio nel nocciolo, per dire,
e diviene un "modo", che parte da una ritorsione nei propri confronti.
Ciò implica, che nudi ... in natura pura ... il nocciolo è sano, però ...


sienne
 

Hellseven

Utente di lunga data
Mi associo al ringraziamento di Fantastica.
E' merviglioso quel che hai trovato ed ' stupefacente quanto tu sia molto più .... tutto di quanto il tuo porsi sempre con garbo e delicatezza non lasci emergere. :smile:
Ciò ti rende ai miei occhi ancor più stimabile e ammirevole.
 
Ho una domanda sulla lingua italiana:

quanti di voi usavano gli aggettivi "svantaggiato" e "disagiato" per dire "rincoglionito, coglione, ritardato, ecc." prima di frequentare questo forum?

ho notato che diversi utenti li usano, ma a dire il vero credo che sia un uso che ci è stato trasmesso da Joey. O mi sbaglio? Perché prima che lui si iscrivesse non mi pare di averlo mai letto. Io prima non li usavo, adesso a volte mi capita, e comunque ho notato che non sono la sola.

Grazie a chi vorrà rispondere

Cordiali saluti
 

Fantastica

Utente di lunga data
Ho una domanda sulla lingua italiana:

quanti di voi usavano gli aggettivi "svantaggiato" e "disagiato" per dire "rincoglionito, coglione, ritardato, ecc." prima di frequentare questo forum?

ho notato che diversi utenti li usano, ma a dire il vero credo che sia un uso che ci è stato trasmesso da Joey. O mi sbaglio? Perché prima che lui si iscrivesse non mi pare di averlo mai letto. Io prima non li usavo, adesso a volte mi capita, e comunque ho notato che non sono la sola.

Grazie a chi vorrà rispondere

Cordiali saluti
Io non li uso, ovviamente, con quel significato. Perché non è il loro, è un blowff.
 
Io non li uso, ovviamente, con quel significato. Perché non è il loro, è un blowff.
Grazie per la risposta!

quindi la mia tesi è che pian piano si sta formando un lessico e una fraseologia proprie di questo forum... mi sembra interessante...

credo che tra un po' prenderà piede anche il "stramaledettissima testa di cazzo" di Chiara
 

Fantastica

Utente di lunga data
Grazie per la risposta!

quindi la mia tesi è che pian piano si sta formando un lessico e una fraseologia proprie di questo forum... mi sembra interessante...

credo che tra un po' prenderà piede anche il "stramaledettissima testa di cazzo" di Chiara
:)Sì, il gergo tipico delle gang... o delle associazioni massoniche, che non sono poi tanto differenti, a ben guardare.
 

Nicka

Capra Espiatrice
:)Sì, il gergo tipico delle gang... o delle associazioni massoniche, che non sono poi tanto differenti, a ben guardare.
Ellamadonna!!!
Magari lo slang di un gruppo che passa insieme il venerdì sera al bowling no?!
 

Caciottina

Escluso
Ho una domanda sulla lingua italiana:

quanti di voi usavano gli aggettivi "svantaggiato" e "disagiato" per dire "rincoglionito, coglione, ritardato, ecc." prima di frequentare questo forum?

ho notato che diversi utenti li usano, ma a dire il vero credo che sia un uso che ci è stato trasmesso da Joey. O mi sbaglio? Perché prima che lui si iscrivesse non mi pare di averlo mai letto. Io prima non li usavo, adesso a volte mi capita, e comunque ho notato che non sono la sola.

Grazie a chi vorrà rispondere

Cordiali saluti
Io li uso quando devo difendermi dalle accuse. Tipo: non sono svantaggiata cerebrospenta e cosi via..ma in generale il termine svantaggiato è anche simpatico. Ma disagiato non mi piace.
 
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