Oddio... non capire.
Più che altro mi pare tra le tue parole vi sia una pretesa verso terzi (lo stato per dire qualcosa da te citato) di avere in mano la tua vita di fronte alla morte, per evitare dolori, sofferenze.
Mi pare una pretesa ardua, considerata anche la tua età.
Certe affermazioni sono più propensa a coglierle da chi è giovane, sano come un pesce, bello e fresco, al massimo della sua potenza fisica e splendore, e che quindi possa vedere come non-vita la vita di un malato, uno che non può uscire, fare le tante cose che fanno i sani, con uno sguardo attivo al futuro anche di programmazione. Ammetto di scrivere questo perchè almeno era ciò che sentivo io da giovane, associandomi al pensiero più comune di tanti, anche adulti.
Ma poi ho visto le patologie, non quelle citate in altri commenti, di morti cerebrali che sono solo una parte. Per questioni che non sto a scrivere qui, vengo continuamente in contatto con persone con fragilità fisiche che continuano a muoversi, spostarsi... e che in una parola: lottano.
Le esperienze personali sicuramente influenzano. Quello che è arrivato a me si racchiude in una parola: lottare. Lottare sempre.
Che è ciò che ho potuto osservare anche in natura. Ogni creature selvatica lotta, lotta e va avanti a lottare. Non esistono varianti. Non sono neppure argomenti.
Poi sappiamo bene che se fossimo in natura, senza la nostra costruzione di società, forse tanti che scrivono qui sarebbero già morti, ma non necessariamente per percorsi civili che hanno portato a X patologie, sarebbe proprio altra strada sin dal principio della vita.
Anche io ho assistito mio padre in ciò che l’ha portato via da questa terra, e adesso vedo mia madre.
Potrei dettagliare ma mi pare anche superfluo.
Le parole di
@Cattivik sono belle perchè arrivano a chi ha vissuto qualcosa di simile, che arrivano al profondo... non è tanto la tematica assistenziale, è qualcosa di umano, del nostro essere terreno, dei legami profondi...