Il suicidio del mostro

Divì

Utente senza meta
È stato uno di quei delitti che colpiscono per la loro efferatezza.
Chi compie cose simili è certamente malato, ma nonostante questo non possiamo provare empatia.
Si tratta di una forma di psicopatologia talmente grave che non può che respingerci.
Ma quello che mi ha colpito è che prima conduceva una vita brillante sembra che nessuno di fosse accorto di come fosse disturbato.
Forse chi è in quelle condizioni è molto abile a confermare chi parla con lui e, come un camaleonte, apparire simile agli altri.

A questo punto mi domando se ci può accadere facilmente di non riconoscere una sofferenza psichica di tale gravità.
Un anno fa, Ledo Prato, padre di Marco, riferendosi a suo figlio parlava di "subdole malattie che sovrastano le persone più deboli".

A commento riporto un pezzo di Romano Guardini, un teologo italiano naturalizzato tedesco, che ha scritto un bellissimo libro, non semplice, intitolato "Persona e libertà". E' un po' lungo, ma secondo me vale la pena di leggerlo. Guardini è morto nel 1968, quando ancora molte cose non si sapevano, a maggior ragione, al di là dello stile, colpisce l'acutezza delle sue osservazioni. Era un teologo, quindi ovviamente ha un approccio da teologo. lo perdonerete spero, e perdonerete me per avervelo presentato. Ma mi sembra illuminante proprio sul tema posto da [MENTION=4739]Brunetta[/MENTION].

Se si vuol leggere con calma, sarà più comprensibile di quel che sembra a prima vista.
Commento dopo brevemente alcuni passaggi.

LE MALATTIE DELLO SPIRITO
[...] Premettiamo un'altra domanda: può ammalarsi lo spirito? Non parliamo di quelle che il linguaggio corrente designa come "malattie dello spirito". In esse si tratta in realtà di disturbi delle funzioni cerebrali, della vita istintiva, dei processi dell'immaginazione, dell'esperienza della realtà e così via. Tali disturbi non toccano lo spirito in quanto tale, ma solo i suoi sostrati fisici e organici. Essi bloccano i suoi atti; ma sono anche prove, nel cui superamento cresce lo spirito. Però lo spirito non esiste indipendente dai suoi contenuti. Esso non può condurre la sua vita come gli piace, senza che questo non si ripercuota sul suo stesso essere. La vita dello spirito – e qui sta la sua caratteristica – è garantita non solo da ciò che è, ma anche in definitiva da ciò che vale: dalla verità e dal bene. Se lo spirito viene meno in ciò, si compromette in quanto spirito. La semplicità e la indistruttibilità, che sono le prerogative con cui si suole definire lo spirito, lo preservano sì da danni come quelli che avvengono ai corpi composti, ma non dalle conseguenze delle decisioni a riguardo dei valori. Se esso decade dalla verità [cioè dai valori, ndr] , s'ammala. Questo genere di caduta non si verifica se l'uomo sbaglia, ma se rinuncia alla verità; non se mente anche copiosamente, ma se non accetta più come obbligante la verità in quanto tale; non se inganna un altro, ma se orienta la sua vita a distruggere la verità. Allora egli s'ammala nello spirito. Non è necessario che ciò abbia anche effetti psicopatici; un uomo di tal genere potrebbe essere anche molto potente e ricco di successo. Ciononostante egli è malato, e un osservatore psichicamente o anche spiritualmente penetrante, se ne dovrebbe accorgere. Tutto ciò potrebbe avere anche sviluppi psicologici e determinare disturbi clinicamente definibili. Ma nessuna psichiatria potrebbe guarirlo da tale malattia: dovrebbe, se vuol guarire, convertirsi. Una conversione francamente non facile per cui possa bastare un atto di volontà. Dovrebbe consistere in una totale inversione dei significati e sarebbe più difficile di ogni trattamento terapeutico.
Da simili riflessioni appare chiaro che la persona in quanto tale può essere minacciata: quando cioè l'uomo si distoglie da quelle realtà e da quelle norme che garantiscono la persona: dalla giustizia e dall'amore. La persona s'ammala, se decade dalla giustizia. Non già allorquando commette ingiustizia anche abbondantemente, ma quando rifiuta la giustizia. Giustizia è riconoscere che le cose hanno la loro essenza, ed essere pronti a prender per vero il diritto dell'essenza e gli ordini che ne conseguono. Come persona, l'uomo è affrancato nell'indipendenza dell'essere e nell'iniziativa dell'agire, senza essere Dio; la condizione perché tale modo di essere abbia significato è che esso [...] faccia della giustizia il suo proprio compito. [...] se devia da essa diviene pericolante e pericolosa: una potenza senza ordine. Proprio per questo s'ammala come persona. Non sussiste più rettamente in se stessa.
Egualmente decisivo per la sanità della persona è l'amore. Amore significa vedere la forma del valore nell'esistente distinto da sé, soprattutto se personale; intuire la sua validità; [...]
Chiunque sa qualcosa dell'amore, conosce questa legge: che solo nell'andar via da se stesso s'afferma quel senso di aperta vastità in cui l'io diventa reale e tutte le cose fioriscono. In questo spazio si attua la vera opera e la pura azione; tutto ciò che attesta che il mondo dell'essere è degno. Non appena la persona rifiuta questo amore, s'ammala. Non già quando l'uomo manca contro l'amore, l'offende, cade nell'egoismo e nell'odio, bensì quando sottrae ogni serietà all'amore, e imposta la propria vita sul calcolo, la violenza e l'astuzia. Allora l'esistenza diventa una prigione. Tutto si rinserra in sé. Le cose ci soffocano. Ognuna si fa interamente straniera e nemica. Scompare l'ultimo illuminante significato. L'essere non fiorisce più.



da Persona e libertà, La Scuola, Brescia
 

nina

Utente di lunga data
È stato uno di quei delitti che colpiscono per la loro efferatezza.
Chi compie cose simili è certamente malato, ma nonostante questo non possiamo provare empatia.
Si tratta di una forma di psicopatologia talmente grave che non può che respingerci.
Ma quello che mi ha colpito è che prima conduceva una vita brillante sembra che nessuno di fosse accorto di come fosse disturbato.
Forse chi è in quelle condizioni è molto abile a confermare chi parla con lui e, come un camaleonte, apparire simile agli altri.

A questo punto mi domando se ci può accadere facilmente di non riconoscere una sofferenza psichica di tale gravità.
Nel mio piccolo, io ho avuto a che fare con una persona che disturbata doveva essere per forza: certo, non una psicopatologia a tali livelli, ma entro una certa soglia percepiva il mondo secondo canoni diversi, o comunque ha dei modi di fare che condizionano il suo rapporto con gli altri.
E la risposta è ni, secondo me, nel senso che ritengo che le persone che non sono proprio su qualche pesantissimo spettro di autismo che le renda delle amebe abbiano comunque la capacità di funzionare nel quotidiano. Poi ci mangi, ci dormi e allora lì cominci a vedere cosa stride profondamente, poi in una società come quella di oggi è molto facile rendere ambigua la percezione di sé che si offre agli altri. Nel caso di un disturbo COSI' grave, immagino sia doppiamente vero.
 

Brunetta

Utente di lunga data
Che bei commenti!
 

Divì

Utente senza meta
Che bei commenti!
Non è ironico, vero? :D

La questione è complessa. Credo sia bene spostarla, come stiamo provando a fare, dal piano della malattia psichiatrica al piano del, chiamiamolo cosi, per non citare ancora Guardini, "male di vivere" e ai valori come quelle parole che sono scritte dentro di noi e costituiscono la spina dorsale che ci sostiene e orienta, e ci permettono di "vedere" il mondo e farne il nostro mondo e non solo di "guardarlo", o starci dentro come buttati lì. Penso a Sartre che diceva che l'uomo è "gettato" nell'esserci, che vedeva l'inferno negli altri. Ecco questa mancanza di senso che si percepisce a volte nella vita di qualcuno dovrebbe orientarci più di qualunque cosa.
 

Brunetta

Utente di lunga data
Non è ironico, vero? :D

La questione è complessa. Credo sia bene spostarla, come stiamo provando a fare, dal piano della malattia psichiatrica al piano del, chiamiamolo cosi, per non citare ancora Guardini, "male di vivere" e ai valori come quelle parole che sono scritte dentro di noi e costituiscono la spina dorsale che ci sostiene e orienta, e ci permettono di "vedere" il mondo e farne il nostro mondo e non solo di "guardarlo", o starci dentro come buttati lì. Penso a Sartre che diceva che l'uomo è "gettato" nell'esserci, che vedeva l'inferno negli altri. Ecco questa mancanza di senso che si percepisce a volte nella vita di qualcuno dovrebbe orientarci più di qualunque cosa.
No, non sono ironica.

Recentemente Galimberti ha parlato di una richiesta crescente di filosofia al posto di una richiesta psicoterapeutica.

Io sono molto scettica però.
Molti anni fa ho seguito i chiarimenti tra un'amica e suo marito. Lei cercava risposte relazionali, quindi psicologiche, lui dava risposte filosofiche.
A me era sembrato allora, e mi pare ancor più adesso dopo anni di riflessione, un modo di lui per sviare dalle proprie problematiche che andavano ben oltre il problema di coppia.

Naruralmente una riflessione sulla cultura del tempo che sostiene o no le persone nel trovare il proprio senso è interessante.
Ma qui credo che si tratti di disgregazione della personalità che cerca attraverso droghe e comportamenti borderline, senza necessariamente arrivare a tragici epiloghi, di riempire un vuoto che riguarda sì "l'anima " ma anche problemi di neurotrasmettittori.
 

nina

Utente di lunga data
No, non sono ironica.

Recentemente Galimberti ha parlato di una richiesta crescente di filosofia al posto di una richiesta psicoterapeutica.

Io sono molto scettica però.
Molti anni fa ho seguito i chiarimenti tra un'amica e suo marito. Lei cercava risposte relazionali, quindi psicologiche, lui dava risposte filosofiche.
A me era sembrato allora, e mi pare ancor più adesso dopo anni di riflessione, un modo di lui per sviare dalle proprie problematiche che andavano ben oltre il problema di coppia.

Naruralmente una riflessione sulla cultura del tempo che sostiene o no le persone nel trovare il proprio senso è interessante.
Ma qui credo che si tratti di disgregazione della personalità che cerca attraverso droghe e comportamenti borderline, senza necessariamente arrivare a tragici epiloghi, di riempire un vuoto che riguarda sì "l'anima " ma anche problemi di neurotrasmettittori.
Perfettamente d'accordo con te su entrambe le questioni: hai voglia a sostituire il terapeuta col filosofo...! Praticamente a problemi di natura neurologica e psichiatrica la risposta sarebbe un po' una supercazzola, e lo dico da persona che nitre per la filosofia grandissimo rispetto. Anzi, in un certo seno vedo le due cose come quasi antitetiche. Però l'intervento di @Divi è davvero interessante.
 

Divì

Utente senza meta
[MENTION=4739]Brunetta[/MENTION] tu hai espressamente chiesto se e come noi possiamo in qualche modo intravvedere l'assurdità del male prima che si manifesti.

Io non amo particolarmente Galimberti, vecchio marpione.

E non credo che ci sia una "domanda di filosofia" crescente come vorrebbe far credere lui.

La filosofia è un metodo, una particolare modalità di porre i problemi, non è la soluzione di tutto. Diciamo che il successo di un approccio filosofico sta nella ricchezza delle domande che si pongono, e non sulle risposte.

Sono invece profondamente convinta che il nostro mondo si stia svuotando di senso, che vengano meno le fondamenta del nostro vivere, e che sia compito della filosofia mostrare questo vuoto, cui possono dare risposta, a seconda dei casi, la psicologia, la pedagogia e anche la religione, perché no?

Siamo sempre nel campo delle cosiddette SCIENZE UMANE, e sono scienze umane, perché accompagnano l'uomo nella costruzione e gestione dell'unica cosa che abbia un senso per noi, cioè proprio le relazioni.
Quindi non parlo di scienza tout court, medicina, psichiatria o neuroscienze. Queste dicono il "come" funzioniamo, Va benissimo che ci siano, ma non sono alla portata di tutti.

Farsi domande, costruire relazioni, stare attenti alla propria vita e a quella altrui, educare ed educarsi, osservare chi ci sta vicino, invece, sono proprio alla portata di tutti.
 

Brunetta

Utente di lunga data
@Brunetta tu hai espressamente chiesto se e come noi possiamo in qualche modo intravvedere l'assurdità del male prima che si manifesti.

Io non amo particolarmente Galimberti, vecchio marpione.

E non credo che ci sia una "domanda di filosofia" crescente come vorrebbe far credere lui.

La filosofia è un metodo, una particolare modalità di porre i problemi, non è la soluzione di tutto. Diciamo che il successo di un approccio filosofico sta nella ricchezza delle domande che si pongono, e non sulle risposte.

Sono invece profondamente convinta che il nostro mondo si stia svuotando di senso, che vengano meno le fondamenta del nostro vivere, e che sia compito della filosofia mostrare questo vuoto, cui possono dare risposta, a seconda dei casi, la psicologia, la pedagogia e anche la religione, perché no?

Siamo sempre nel campo delle cosiddette SCIENZE UMANE, e sono scienze umane, perché accompagnano l'uomo nella costruzione e gestione dell'unica cosa che abbia un senso per noi, cioè proprio le relazioni.
Quindi non parlo di scienza tout court, medicina, psichiatria o neuroscienze. Queste dicono il "come" funzioniamo, Va benissimo che ci siano, ma non sono alla portata di tutti.

Farsi domande, costruire relazioni, stare attenti alla propria vita e a quella altrui, educare ed educarsi, osservare chi ci sta vicino, invece, sono proprio alla portata di tutti.
Non ne sono più convintissima.
Io non ho studiato alcun periodo storico che non denunciasse la mancanza di senso.
 

Brunetta

Utente di lunga data
Certo. il senso però è sempre meno. Non trovi?
Credo che le persone meno attrezzate senza un riferimento meramente morale della religione siano allo sbando.
 

Divì

Utente senza meta
Credo che le persone meno attrezzate senza un riferimento meramente morale della religione siano allo sbando.
Quella era la sua funzione. I "piccoli" di cui parla il Vangelo sono proprio loro. Poi come al solito l'uomo ne ha fatto uno strumento di oppressione e non di salvezza, con i risultati sotto gli occhi di tutti.
 
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