Io ho consapevolezza di avere pregiudizi o bias come si usa dire oggi.
Allora faccio l’esercizio di leggere il racconto a ruoli invertiti.
Invito tutti a farlo, compresa
@IllusaDelusa .
Se fosse un uomo che, per garantire un buon futuro alla famiglia, si dedicasse al proprio lavoro, finendo per essere poco presente in casa e toccasse alla moglie portare avanti la carretta, arrivando sfinito a sera, ancora penseremmo che è colpevole e ci mancava solo la scopa infilata nel culo per ramazzare? Se fosse lei a dire che ha già pulito tutto, la considereremmo ancora “la filippina“ o penseremmo che era suo dovere?
Non è femminismo d’accatto, è riflettere sul fatto se diamo giudizi in base a stereotipi.
Spazzati via i pregiudizi. Davvero pensiamo che non ci siano possibilità, solo perché l’amante è figo? Ops figa.
A parte il fatto che qualcuno potrebbe risponderti che le donne sono allenate da 3.5 milioni di anni ad occuparsi dei figli, il fatto è che nel tempo i pregiudizi cambiano, non scompaiono.
Il vero elefante nella stanza dei cristalli è che per dare un miglior futuro alla famiglia si finisca per distruggere la famiglia stessa, che poi, il più delle volte la faccenda di farlo per la famiglia è solo la scusa per non dire che lo si fa per “realizzare se stessi o se stesse”, altro bias cognitivo spesso imposto in modo subdolo dalla società del capitale e dei consumi. Lavorare dodici o quindici ore lo facevano gli schiavi dei romani e gli schiavi contemporanei, per necessità o per vanagloria.
Diversi anni fa, quando a distanza di due anni nacquero i miei figli, mia moglie smise di lavorare, non c’erano asili nido disponibili e non erano disposte ad accudirli nemmeno le nonne, il mio stipendio era quasi il doppio del suo per cui decidemmo che, bastando, lei li seguisse.
Alcuni anni dopo, quando furono più grandicelli mi resi conto che la sua routine, fatta di eventi e di frequentazioni monotone non la soddisfava, ebbe tutto il mio sostegno quando una amica le chiese di aiutarla come cameriera, qualche sera, nel suo locale. Qualche sera si trasformò presto in un impegno costante per tutti i we. Dal canto mio, tenevo i bambini, stavo con loro, il sabato e la domenica preparavamo da mangiare e sbrigavamo, me li portavo in giro dappertutto.
Il fatto era che quel semplice lavoro, che non aveva mai fatto prima le piaceva, non ne avevamo economicamente stretto bisogno ma lei adorava stare in mezzo alla gente e organizzare (era diventata quasi da subito direttrice di sala).
Tutto questo avvenne senza perderci di vista, senza che questa cosa minasse la nostra intimità, il nostro sentirci coppia. Il lunedì sera, messi a nanna i bimbi era una gioia ed una consolazione andare a letto finalmente alla stessa ora, guardare un po’ di televisione, raccontarci quello che era successo, fare all’amore, finalmente poterci toccare, accarezzare.
La cosa finì quando ebbe dei gravi problemi fisici ma quel periodo ancora ce lo ricordiamo.
Il punto è che bisogna decidere cosa debba significare essere una coppia, quale sia il posto che mettiamo a questa cosa nella nostra scala dei valori, quanto si sia disposti a rinunciare a qualcosa di se stessi per questo, vicendevolmente. Per me non esiste un motivo valido per stare insieme se non si colloca nel posto giusto quell’ ideale, religioso o laico che sia.
Altrimenti rimaniamo solo noi, noi soli. E’ anche possibile fare una vita per il lavoro, ciascuno decida per se stesso, senza alibi però.
Nel caso specifico gli errori per me sono stati gravi ma di entrambi, di lei per quanto sopra, di lui perché avrebbe dovuto battere i piedi per terra ed i pugni sul tavolo, gridare, non flebilmente protestare. Quando vedi il tuo amore svanire, evaporare, è il momento di diventare coraggiosi e rumorosi, al punto di farle prima, le valigie, prima di andare con le altre.
Questo è quello che penso io.