La solitudine della nuova generazione

Fiammetta

Amazzone! Embe'. Sticazzi
Staff Forum
Sembra, da studi approfonditi e analisi sui giovani, che il "male" dell'attuale gioventù sia la solitudine.

eppure molti di loro hanno un profilo Facebook pieni di "like" è una miriade di amici ben oltre la quota mille
usano instagram, Twitter ect ... Sono assolutamente social ... Aperti al mondo

fanno parte di gruppi WA : scuola, attività sportive, hobbies, interessi comuni

apparentemente hanno un gran facilità ad interagire tra loro, ad intrecciare contatti, a ritrovarsi a qualche evento o a condividere la passione per qualcosa o qualcuno

eppure nel mondo dell'estrema globalizzazione emerge questa solitudine
ragazzi,tanti ragazzi che a precisa domanda rispondo che la loro maggiore paura è : non essere compresi, non riuscire a confrontarsi, non essere ascoltati, non essere riconosciuti ... Paura di sentirsi soli.

Cari adulti , in cosa abbiamo sbagliato ?
 

Brunetta

Utente di lunga data
Io niente :carneval:.

Certamente in una società dell'immagine e dell'apparenza ci si impegna a fornire un'immagine di sé che si considera gradita, ma ci si sente degli impostori che se si mostrassero senza trucchi/trucco verrebbero ignorati.
Quindi probabilmente non è vero che non sarebbero accettati, ma la paura è grande.
 

iosolo

Utente di lunga data
Sembra, da studi approfonditi e analisi sui giovani, che il "male" dell'attuale gioventù sia la solitudine.

eppure molti di loro hanno un profilo Facebook pieni di "like" è una miriade di amici ben oltre la quota mille
usano instagram, Twitter ect ... Sono assolutamente social ... Aperti al mondo

fanno parte di gruppi WA : scuola, attività sportive, hobbies, interessi comuni

apparentemente hanno un gran facilità ad interagire tra loro, ad intrecciare contatti, a ritrovarsi a qualche evento o a condividere la passione per qualcosa o qualcuno

eppure nel mondo dell'estrema globalizzazione emerge questa solitudine
ragazzi,tanti ragazzi che a precisa domanda rispondo che la loro maggiore paura è : non essere compresi, non riuscire a confrontarsi, non essere ascoltati, non essere riconosciuti ... Paura di sentirsi soli.

Cari adulti , in cosa abbiamo sbagliato ?
La peggiore solitudine è quella che si percepisce in mezzo agli altri.

Non è di questa generazione, è di ogni generazione. Vedo gente della mia età molto più rincoglionita dietro ai social che i nostri ragazzi.
 

danny

Utente di lunga data
La nostra solitudine deriva dall'alienazione.
Il fenomeno, non nuovo nell'uomo moderno, è in crescita ulteriore con la diffusione di strumenti tecnologici digitali.
 

Piperita

Sognatrice
Ho sbagliato essendo troppo apprensiva, così li ho resi insicuri.
Me lo dicono loro ma me ne rendo conto anche io, adesso.
Hanno tanti amici ma hanno anche la paura di non essere capiti e accettati dal gruppo.
 

Tradito?

Utente di lunga data
Sembra, da studi approfonditi e analisi sui giovani, che il "male" dell'attuale gioventù sia la solitudine.

eppure molti di loro hanno un profilo Facebook pieni di "like" è una miriade di amici ben oltre la quota mille
usano instagram, Twitter ect ... Sono assolutamente social ... Aperti al mondo

fanno parte di gruppi WA : scuola, attività sportive, hobbies, interessi comuni

apparentemente hanno un gran facilità ad interagire tra loro, ad intrecciare contatti, a ritrovarsi a qualche evento o a condividere la passione per qualcosa o qualcuno

eppure nel mondo dell'estrema globalizzazione emerge questa solitudine
ragazzi,tanti ragazzi che a precisa domanda rispondo che la loro maggiore paura è : non essere compresi, non riuscire a confrontarsi, non essere ascoltati, non essere riconosciuti ... Paura di sentirsi soli.

Cari adulti , in cosa abbiamo sbagliato ?
Forse perché i social non bastano per vincere la solitudine. E l'abuso di questi porta con sè una diminuzione dei contatti reali
 

Nocciola

Super Moderatore
Staff Forum
Sembra, da studi approfonditi e analisi sui giovani, che il "male" dell'attuale gioventù sia la solitudine.

eppure molti di loro hanno un profilo Facebook pieni di "like" è una miriade di amici ben oltre la quota mille
usano instagram, Twitter ect ... Sono assolutamente social ... Aperti al mondo

fanno parte di gruppi WA : scuola, attività sportive, hobbies, interessi comuni

apparentemente hanno un gran facilità ad interagire tra loro, ad intrecciare contatti, a ritrovarsi a qualche evento o a condividere la passione per qualcosa o qualcuno

eppure nel mondo dell'estrema globalizzazione emerge questa solitudine
ragazzi,tanti ragazzi che a precisa domanda rispondo che la loro maggiore paura è : non essere compresi, non riuscire a confrontarsi, non essere ascoltati, non essere riconosciuti ... Paura di sentirsi soli.

Cari adulti , in cosa abbiamo sbagliato ?
Io
devo aver commesso con i miei figli l'errore opposto :D
A volte vorrei che avessero meno amici e più tempo per me, per confrontarci e dialogare.
 

danny

Utente di lunga data
Un uomo è solo quando non comprende il suo ruolo nel mondo, quando è uno strumento - un uso qualsiasi per produrre, comprare - quando non fa, non costruisce, non ha contatti col proprio futuro e radici nel suo passato, quando il distacco dalla sua essenza è tale da impedirgli il confronto con gli altri, quando viene sfruttato ma non valorizzato nella sua unicità, quando non trova che modelli e regole imposte da altri e sulle quali non può determinare spazi di libertà e di realizzazione personale.
Non è questione di sentimenti, ma di collocazione in un preciso ruolo nella società.
Un uomo è solo nei social network perché è in competizione reiterata e continuata per non finire nel dimenticatoio del web, dove basta un giorno di assenza per finire nel nulla.
Un uomo è solo perché non sa essere libero.
Perché non sa scrollarsi di dosso l'identità di essere uno dei tanti like che sono strumento di arricchimento di altri per i quali è solo un numero, un ingranaggio, solo funzionale a...
Ecco: la nostra solitudine sta soprattutto nell'essere funzionali a qualcosa.
Un ingranaggio di una macchina che ci schiaccia e ci rende impossibile essere spontanei e liberi.
Solitudine e libertà sono assolutamente collegate.
L'oppressione porta smarrimento della propria identità.
 

Brunetta

Utente di lunga data
Nella zona dove abito ragazzini di 12/13 anni vanno in giro in gruppo. Il grande del gruppo lancia un pallone davanti alle auto e il ragazzino designato deve recuperarlo, superando la paura e correndo il rischio.
Pensate a quale senso di inadeguatezza debbano avere per aver bisogno di una prova di iniziazione del genere! E pensate a quanta solitudine devono sentire per aver bisogno dell'appoggio e dell'approvazione di un gruppo che trova coesione in questo è in nulla di costruttivo!:unhappy:
 

ilnikko

utente chitarrista
Nella zona dove abito ragazzini di 12/13 anni vanno in giro in gruppo. Il grande del gruppo lancia un pallone davanti alle auto e il ragazzino designato deve recuperarlo, superando la paura e correndo il rischio.
Pensate a quale senso di inadeguatezza debbano avere per aver bisogno di una prova di iniziazione del genere! E pensate a quanta solitudine devono sentire per aver bisogno dell'appoggio e dell'approvazione di un gruppo che trova coesione in questo è in nulla di costruttivo!:unhappy:
Al netto della scemenza di raccattare palloni in mezzo alle macchine, questa cosa si perde nella notte dei tempi, si è sempre fatta,che siano i ragazzini pellerossa da soli nel deserto per diventare uomini o altro. Non che io giustifichi ma l'approvazione del gruppo e del capo credo sia una cosa animale, magari cambiano tempi luoghi e modi ma la sostanza è quella. Io andavo a prendere il pallone nelle ortiche :cool:
 

Brunetta

Utente di lunga data
Al netto della scemenza di raccattare palloni in mezzo alle macchine, questa cosa si perde nella notte dei tempi, si è sempre fatta,che siano i ragazzini pellerossa da soli nel deserto per diventare uomini o altro. Non che io giustifichi ma l'approvazione del gruppo e del capo credo sia una cosa animale, magari cambiano tempi luoghi e modi ma la sostanza è quella. Io andavo a prendere il pallone nelle ortiche :cool:
Stoico.
Mio marito e amici tiravano i sassi in aria e dovevano spostarsi velocemente per non prenderli in testa. Poi salivano le scale dalla tromba.
Le donne sono allibite.
Quando l'ho saputo ero già sposata. Non sapevo che continuava a fare qualcosa di simile :unhappy::mad:
 

ilnikko

utente chitarrista
Stoico.
Mio marito e amici tiravano i sassi in aria e dovevano spostarsi velocemente per non prenderli in testa. Poi salivano le scale dalla tromba.
Le donne sono allibite.
Quando l'ho saputo ero già sposata. Non sapevo che continuava a fare qualcosa di simile :unhappy::mad:
Tuo marito scommetto che li prendeva tutti :carneval:
 

Brunetta

Utente di lunga data

danny

Utente di lunga data
Nella zona dove abito ragazzini di 12/13 anni vanno in giro in gruppo. Il grande del gruppo lancia un pallone davanti alle auto e il ragazzino designato deve recuperarlo, superando la paura e correndo il rischio.
Pensate a quale senso di inadeguatezza debbano avere per aver bisogno di una prova di iniziazione del genere! E pensate a quanta solitudine devono sentire per aver bisogno dell'appoggio e dell'approvazione di un gruppo che trova coesione in questo è in nulla di costruttivo!:unhappy:
La necessità di un riconoscimento del proprio ruolo all'interno di un gruppo è una fase necessaria per la crescita. Però può produrre solitudine. Io mi sentivo inadeguato da ragazzo. Rifiutato. Il problema sorge quando non termina con l'adolescenza ma si perpetua nella vita adulta. I social hanno meccanismi di accettazione e rifiuto che perpetuano dinamiche adolescenziali. In questo possono produrre solitudini che si aggiungono ad altre situazioni in cui la comunicazione è carente e difficile.
 
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feather

Utente tardo
Io l'idea che molto dipenda dai ritmi molto diversi rispetto a un tempo.
Oggi hanno ritmi molto più serrati, più ore a scuola, i social, i compiti a casa, le attività extra curriculari ecc..
Il risultato è che non hanno più tempo di fermarsi ad ascoltarsi. Delle lunghe pause durante la giornata che ti permettono di essere in silenzio, da solo, a bocce ferme. Lì ti puoi sentire.. Imparare a conoscerti e a gestire l'ansia, la paura, i sensi di inadeguatezza..
Se non ti conosci è difficile rapportarsi con il prossimo. Parlo per esperienza...
Oggi queste pause non ci sono più e vivono 24/7 senza il tempo per conoscersi davvero, lasciando l'ansia e la paura sotto il tappeto che poi si palesa con quel vago senso di solitudine e inadeguatezza che però non capiscono manco bene da dove venga.
 

danny

Utente di lunga data
Io l'idea che molto dipenda dai ritmi molto diversi rispetto a un tempo.
Oggi hanno ritmi molto più serrati, più ore a scuola, i social, i compiti a casa, le attività extra curriculari ecc..
Il risultato è che non hanno più tempo di fermarsi ad ascoltarsi. Delle lunghe pause durante la giornata che ti permettono di essere in silenzio, da solo, a bocce ferme. Lì ti puoi sentire.. Imparare a conoscerti e a gestire l'ansia, la paura, i sensi di inadeguatezza..
Se non ti conosci è difficile rapportarsi con il prossimo. Parlo per esperienza...
Oggi queste pause non ci sono più e vivono 24/7 senza il tempo per conoscersi davvero, lasciando l'ansia e la paura sotto il tappeto che poi si palesa con quel vago senso di solitudine e inadeguatezza che però non capiscono manco bene da dove venga.
Vero.
 

danny

Utente di lunga data
Finora si è preso in esame il "tempo libero" come espressione di sé, considerando inconsciamente il tempo dedicato al lavoro e allo studio come "altro da sé", incapace di fornire all'individuo quello che è necessario per definirlo nel suo ruolo.
Ma anche quel tempo ha la sua importanza.
E non si possono considerare i cambiamenti intercorsi negli ultimi anni, che rendono le persone sempre meno solidali tra loro (sia culturalmente che opportunisticamente) nell'ambito sia lavorativo che di studio.
La solitudine deriva anche dalla crescente concorrenza introdotta nella ricerca del lavoro o del proprio ruolo nell'ambito lavorativo.
Il disoccupato si sente rifiutato dalla società, in quanto non ha un ruolo produttivo all'interno di essa.
Da questo dedurrei che noi esistiamo per gli altri finché siamo produttivi. Utili. E come ho già detto, funzionali a...
Come se in una coppia il partner fosse solo funzionale al proprio piacere sessuale o alla gestione economica e i genitori al sostentamento. Capita, eh.
Il giovane che non ha lavoro è alieno rispetto ai modelli proposti dalla società, non trova una sua collocazione all'interno di essa, è emarginato in quanto inutile.
L'emarginazione trova riscontro anche nelle relazioni: difficile approdare a una vita di coppia progettuale non avendo un lavoro.
Ma poi, perché consideriamo la vita di coppia spesso come un punto di arrivo? In essa assumiamo un ruolo ben definito e socialmente accettabile. Non siamo più soli: siamo una società. Piccola, ma pur sempre tale.
La solitudine abbiamo visto è maggiore nelle realtà numericamente più importanti.
E' più facile sentirsi soli nelle grandi città, nelle grandi aziende, in internet, dove definire se stessi, appropriarsi di un ruolo, di un'identità che possa godere di riscontro da parte degli altri, è più difficile e spesso stressante.
Lo stesso stress che ne deriva costringe molti a gettare la spugna e vivere la propria solitudine con tristezza, ma sicuramente con meno fatica rispetto alla necessità di una vita sociale in un ambito molto competitivo.
Il linguaggio e la gestione dell'immagine raggiungono la massima visibilità sui social network, dove per esserci si posta anche la torta sfornata in casa, la colazione del mattino, la visita in ospedale o, quando si vuole ampliare la propria capacità seduttiva, il selfie a duck face. Ma sono tutte operazioni vane che hanno la stessa durata dei cerchi provocati dal lancio di un sasso nel'acqua del fiume. Dopo un po' il sasso va a fondo e tutto in superficie torna come prima.
Ecco, noi andiamo continuamente a fondo e continuamente dobbiamo lanciare sassi per definire il nostro posto all'interno di una società che scorre velocemente, che si dimentica di noi, che non si accorge se stiamo fermi.
La solitudine parte da lì, dal non essere parte di quella corrente. Ma un sasso non può diventare acqua.
E qui è forse l'errore, un errore che parte dal principio, voler diventare acqua essendo sassi. Essere altro da sé. Non avere la possibilità di essere sasso, semplicemente sasso, con la libertà di stare fermo.
 
Ultima modifica:

Brunetta

Utente di lunga data
Finora si è preso in esame il "tempo libero" come espressione di sé, considerando inconsciamente il tempo dedicato al lavoro e allo studio come "altro da sé", incapace di fornire all'individuo quello che è necessario per definirlo nel suo ruolo.
Ma anche quel tempo ha la sua importanza.
E non si possono considerare i cambiamenti intercorsi negli ultimi anni, che rendono le persone sempre meno solidali tra loro (sia culturalmente che opportunisticamente) nell'ambito sia lavorativo che di studio.
La solitudine deriva anche dalla crescente concorrenza introdotta nella ricerca del lavoro o del proprio ruolo nell'ambito lavorativo.
Il disoccupato si sente rifiutato dalla società, in quanto non ha un ruolo produttivo all'interno di essa.
Da questo dedurrei che noi esistiamo per gli altri finché siamo produttivi. Utili. E come ho già detto, funzionali a...
Come se in una coppia il partner fosse solo funzionale al proprio piacere sessuale o alla gestione economica e i genitori al sostentamento. Capita, eh.
Il giovane che non ha lavoro è alieno rispetto ai modelli proposti dalla società, non trova una sua collocazione all'interno di essa, è emarginato in quanto inutile.
L'emarginazione trova riscontro anche nelle relazioni: difficile approdare a una vita di coppia progettuale non avendo un lavoro.
Ma poi, perché consideriamo la vita di coppia spesso come un punto di arrivo? In essa assumiamo un ruolo ben definito e socialmente accettabile. Non siamo più soli: siamo una società. Piccola, ma pur sempre tale.
La solitudine abbiamo visto è maggiore nelle realtà numericamente più importanti.
E' più facile sentirsi soli nelle grandi città, nelle grandi aziende, in internet, dove definire se stessi, appropriarsi di un ruolo, di un'identità che possa godere di riscontro da parte degli altri, è più difficile e spesso stressante.
Lo stesso stress che ne deriva costringe molti a gettare la spugna e vivere la propria solitudine con tristezza, ma sicuramente con meno fatica rispetto alla necessità di una vita sociale in un ambito molto competitivo.
Il linguaggio e la gestione dell'immagine raggiungono la massima visibilità sui social network, dove per esserci si posta anche la torta sfornata in casa, la colazione del mattino, la visita in ospedale o, quando si vuole ampliare la propria capacità seduttiva, il selfie a duck face. Ma sono tutte operazioni vane che hanno la stessa durata dei cerchi provocati dal lancio di un sasso nel'acqua del fiume. Dopo un po' il sasso va a fondo e tutto in superficie torna come prima.
Ecco, noi andiamo continuamente a fondo e continuamente dobbiamo lanciare sassi per definire il nostro posto all'interno di una società che scorre velocemente, che si dimentica di noi, che non si accorge se stiamo fermi.
La solitudine parte da lì, dal non essere parte di quella corrente. Ma un sasso non può diventare acqua.
E qui è forse l'errore, un errore che parte dal principio, voler diventare acqua essendo sassi. Essere altro da sé. Non avere la possibilità di essere sasso, semplicemente sasso, con la libertà di stare fermo.
:umile:
 

Brunetta

Utente di lunga data
Rispetto ai giovani però bisogna anche a parlare dei vecchi. I genitori di questi giovani sono sempre con la testa altrove in altre tresche affaccendati.
 

iosolo

Utente di lunga data
Rispetto ai giovani però bisogna anche a parlare dei vecchi. I genitori di questi giovani sono sempre con la testa altrove in altre tresche affaccendati.
Di solito, sono i genitori che con il loro esempio nei social, fanno si che i ragazzi ne facciano un uso sconsiderato.
Io non credo che il problema sia lo strumento ma l'uso di questo strumento si fa.

Internet e i social possono essere una porta aperta sul mondo, bisognerebbe solo insegnare ai nostri figli come usarlo, con intelligenza e perizia. Come in tutto quello che li riguarda...

Forse però l'educazione dovrebbe partire dalla nostra generazione.
 
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