Il grassetto...io penso che si sia ospiti, anche nelle situazioni di apparente stabilità.
E lo so che messa così può sembrare una costante posizione di piede alzato, proprio e dell'altro.
Un essere pronti all'andare via. E al lasciar andare via.
E per certi versi lo è.
Ma nella sua accezione di vicinanza.
Del mantenere viva la precarietà, anche della apparente stabilità.
La porto all'estremo, per provare a mostrare quel che vedo a riguardo.
La mia famiglia di origine è un gran casino.
Per svariati motivi.
Il più macroscopico è che la linea di mio padre è una linea matriarcale e quella di mia madre è patriarcale.
Puoi immaginare, vero, cosa significa unire queste due linee senza saper di starlo facendo?
Beh, mi sono allontanata da loro a 20 anni. Sono praticamente fuggita, anche se non era quella la verità che mi raccontavo.
Eppure davo scontata la loro presenza. Sapevo che erano là.
Sarà stata l'età, la fuga...ma non consideravo minimamente l'idea della morte. Della scomparsa.
Il tempo che percepivo era qualcosa che somigliava all'eternità.
E io e loro eravamo presenze "fisse" nelle vite.
Poi a mio padre è stato diagnosticato un linfoma.
Io ero da poco tornata a vivere vicina a loro (senza aver minimamente considerato cosa avrebbe significato in termini di impatto...presunzione

)
Standogli vicina mi sono accorta di quante credenze avevo accumulato riguardo la presenza. Reciproca.
La prima cosa di cui mi sono accorta mentre lo accompagnavo alle chemio era che il tempo ha un valore diverso a seconda del luogo in cui lo si vive.
Ricordo come mi sfuggiva via mentre ero a lavoro e si avvicinava l'ora di andare a prendere mio padre.
E ricordo come rallentava, si dilatava mentre lui era seduto sulla sedia della chemio. Come i tre tempi che normalmente si tengono come riferimento si mescolavano, diventando un tutt'uno, denso.
Era una sensazione molto strana...mi concentravo completamente su di lui e mi sembrava che tutto sparisse, come se fossimo entrati in un'altra dimensione, quello che stava intorno era ovattato e le nostre presenze contemporanee alle assenze di ognuno come invece risplendevano nella mia percezione.
E poi i ritorni. A volte in silenzio a volte a bagna nei suoi ricordi che diventavano per certi versi i miei quando i suoi sogni si intrecciavano alla mia nascita per esempio. O quando mi chiedeva delle medicine o dello sguardo del medico.
E i nostri animali...il suo cane e i miei gatti, come si incontravano in quella sorta di sognato che condividevamo per la strada.
Lui ha smesso di essere una presenza per me. Ed è diventato altro. E io sono diventata altra per lui.
Andavamo a caccia insieme all'alba e non era scontato.
Lui non era scontato. Io non ero scontata.
Il nostro insieme era in quel qui e ora. Che diveniva prezioso, come aprire uno scrigno di cui aver cura.
Non era evidentemente scontato salutarlo in un modo la sera e ritrovarlo in un altro la mattina.
O anche pensare di non ritrovarlo.
Da presenza era diventato "ospite" nella mia percezione della mia vita.
Sto riuscendo a spiegare @
brenin?
Mi sono resa conto di come davo per scontata la vita e la morte.
Di come la morte l'avessi presente ma come una favola che si racconta la sera prima di addormentarsi, più per tenerla lontana che per averla compagna.
E di come questo andasse ad influenzare il mio modo relazionale.
Di come la presenza non comprendesse l'assenza e di come questo mi influenzasse nel mio modo di relazionarmi.
Anche spicciolo.
Non dire cose. Rimandare. Posticipare. Spostare.
Oppure "vomitare" tutto, senza filtri, senza limite. Con voracità.
In questo senso intendo "ospite".
Celebrare la presenza in consapevolezza che il suo rovescio presente è l'assenza.
Avere "in mano" la medaglia" in considerazione di entrambe le sue facce e non soltanto quella visibile.
E i repentini cambiamenti, dal mio punto di vista, sono inevitabili.
E tutto in effetti potrebbe finire a soqquadro da un momento all'altro.
Andando ad influenzare anche le altre stanze.
Non so se ho capito bene quel che intendi tu

, in questi termini io vedo la reciprocità come momento che influenza e al contempo non influenza.
Siamo reciprocamente ospiti ma proprio in virtù dell'esserlo i repentini cambiamenti non riguardano la reciprocità.
Nel senso che avvengono a prescindere dalla reciprocità.
Ed è in questo spazio che io vedo il dono e l'offerta. E l'accettazione.
Io, fuori di reciprocità, ti offro la mia repentinità.
Tu, fuori di reciprocità, puoi accoglierla e goderne ma anche tirartene via, stabilendo la tua distanza dalla mia repentinità.
E qui ci sarebbe un immenso OT sulla curiosità, anche per il mistero che l'altro può rappresentare se lo si lascia accadere.
E in questo senso parlo di riconoscenza e non gratitudine.
Ti sono riconoscente, nel senso che riconosco il tuo movimento nei miei confronti, qualunque sia la sua direzione.
E mi piace che mi si sia riconoscenti nello stesso senso, ossia nel riconoscere il mio muovermi.
La gratitudine, come sottolinei, è qualcosa di estremamente scivoloso.
E ho la sensazione che spesso non sia libera ma riguardi più un sistema di debiti e crediti.
Che sia spesso utilizzata come anello di una catena. Finalizzata allo spostarsi e stabilizzarsi in quella stanza di specchi con l'intento di prendersela.
E sì, credo la si possa paragonare ad un sentimento e concordo vada oltre.
Ma mi fa venire in mente l'amore. Che sarebbe qualcosa che va oltre ma spesso diventa un qualcosa di molto terreno e finalizzato a stringere la catena. Una roba tipo "se io...allora tu...".
O forse sono io che sono poco avvezza ai sentimenti. Togliamo il forse. Sono poco avvezza ai sentimenti e non li ho in grande simpatia.
Sperimento gratitudine verso pochissime persone.
In comune hanno il completo disinteresse dal prendere qualcosa direttamente da me. E il godere invece di quanto è stato offerto nella visione di me.
Ho sperimentato spesso invece la gratitudine verso di me...il mio ego ne gioisce e esulta.
Ma è ego.
Nella gratitudine verso di me ci ho trovato spesso e volentieri dipendenza.
Un chiedere di restare, un chiedere una promessa che non penso possa essere chiesta.
E l'ho sentita scivolarmi addosso come un tentativo di manipolazione dei miei sentimenti.
Se tolgo l'ego, in queste situazioni io sento disagio e malessere...raramente ho sbagliato ad aspettarmi dopo la dimostrazione di gratitudine una nuova richiesta, una delega a me.
Quando non ho percepito questo però, la gratitudine è nutrimento pulito. Uno sguardo trasparente che mi è rivolto.
Come un balsamo.
Ma è qualcosa di estremamente raro nella mia esperienza.
E prezioso quando l'ho vissuto.
@
brenin
vero, i minestroni estivi sono prelibati

mi piace molto percepire in questo periodo l'avvicinarsi dell'inverno e pregusto quelli invernali, che scaldano da dentro, come un abbraccio avvolgente