Lo schifo.

Stato
Discussione chiusa ad ulteriori risposte.

Nicka

Capra Espiatrice
Ammazza la sua ex, la prende a coltellate fino a che non la finisce. Storia come tante, come spesso sentiamo, come spesso le tv ci danno da mandar giù.
Quasi non fa più notizia il fatto che un maschio ammazzi quella che è stata la sua donna.
Quello che fa notizia è il fatto che lui subito dopo, prima di costituirsi, prima di chiedere perdono a Dio o alla famiglia sua e di lei, prima di rendersi forse conto di quello che ha fatto posta un messaggio sul suo profilo Facebook, due parole:

SEI MORTA


Quello che fa notizia è il fatto che in pochi momenti arrivino i "like". Decine, centinaia. Fino a che qualcuno non segnala e il suo profilo viene bloccato.
Sto seriamente provando schifo.
 

rewindmee

Replicante di me stesso
In realtà la scritta è SEI MORTA TROIA... vilipendio di cadavere :facepalm:
Altro femminicidio poco dopo: un deficiente accoltella la compagna e dice che è caduta sulle punte del cancello, ovviamente diverse dalla forma del coltello :facepalm::facepalm::facepalm:
 

Nicka

Capra Espiatrice
In realtà la scritta è SEI MORTA TROIA... vilipendio di cadavere :facepalm:
Altro femminicidio poco dopo: un deficiente accoltella la compagna e dice che è caduta sulle punte del cancello, ovviamente diverse dalla forma del coltello :facepalm::facepalm::facepalm:
Allora ho visto solo la scritta che forse è stata censurata.
Quello che mi ha colpita sono le oltre 200 approvazioni.
 

Fantastica

Utente di lunga data
Barbarie crescente ovunque nel mondo. I principi su cui nel dopoguerra avevamo costruito il migliore dei mondi possibili sono ormai figurine smorte di un teatro su cui si giocano solo partite di egoismo, guerra e violenza diretta e agita senza pari. È una civiltà che sta morendo, e la crisi acuisce gli orrori. Il papa ha ancora ripetuto che stiamo vivendo la terza guerra mondiale. È differente dalle altre, si manifesta anche nel disprezzo della vita altrui e della propria dentro casa, per strada, in coda al supermercato.
È sempre stato un mondaccio questo mondo, ma ultimamente la ferocia ha raggiunto livelli impensabili solo dieci anni fa.
Voglio dire: oggi ci sono tranquilli artigiani londinesi che praticano la DECAPITAZIONE. E non sono di una qualche tribù residuale del Borneo, sono londinesi... Più di così.
Io mi sono vista la serie Throne of swords in questo periodo. Mi pare di grande attualità.
 

Hellseven

Utente di lunga data
Barbarie crescente ovunque nel mondo. I principi su cui nel dopoguerra avevamo costruito il migliore dei mondi possibili sono ormai figurine smorte di un teatro su cui si giocano solo partite di egoismo, guerra e violenza diretta e agita senza pari. È una civiltà che sta morendo, e la crisi acuisce gli orrori. Il papa ha ancora ripetuto che stiamo vivendo la terza guerra mondiale. È differente dalle altre, si manifesta anche nel disprezzo della vita altrui e della propria dentro casa, per strada, in coda al supermercato.
È sempre stato un mondaccio questo mondo, ma ultimamente la ferocia ha raggiunto livelli impensabili solo dieci anni fa.
Voglio dire: oggi ci sono tranquilli artigiani londinesi che praticano la DECAPITAZIONE. E non sono di una qualche tribù residuale del Borneo, sono londinesi... Più di così.
Io mi sono vista la serie Throne of swords in questo periodo. Mi pare di grande attualità.
Ti quoto.
 

Palladiano

utente d'altri tempi
orrori e disprezzo per la vita umana credo che siano l'unica delle poche costanti della civiltà
10 anni e due mesi fa il
Massacro di beslan e poi 10 anni prima stebtenica e poi i massacri a colpi di macete in Africa e i curdi in Turchia. No quanto a ciò non è cambiato nulla
 
Ultima modifica:

stellina

Utente di lunga data
Disgustata.
Però può essere che nessuno si sia accorto che questi uomini non erano tutti in bolla? Prima di ammazzare una donna in tali dinamiche di coppia c'è una escalation di violenza...può essere che nessuno abbia notato anche una minima cosa? O che chi ha visto abbia messo la testa sotto la sabbia tradendo così nel peggiore dei modi quella donna che non riusciva a parlarne piegata dalla paura? Quella donna, una donna, 100, 1000 donne vittime di violenza sono state anche abbandonate da chi gli stava accanto. Tradite. Invisibili fino a che la catena vittima-carnefice non ha stretto al massimo le maglie.
bastava poco pochissimo dalle persone accanto....
scusate ma la violenza sulle donne è un tema a me caro e mi ribolle il sangue...
 

Zod

Escluso
Ammazza la sua ex, la prende a coltellate fino a che non la finisce. Storia come tante, come spesso sentiamo, come spesso le tv ci danno da mandar giù.
Quasi non fa più notizia il fatto che un maschio ammazzi quella che è stata la sua donna.
Quello che fa notizia è il fatto che lui subito dopo, prima di costituirsi, prima di chiedere perdono a Dio o alla famiglia sua e di lei, prima di rendersi forse conto di quello che ha fatto posta un messaggio sul suo profilo Facebook, due parole:

SEI MORTA


Quello che fa notizia è il fatto che in pochi momenti arrivino i "like". Decine, centinaia. Fino a che qualcuno non segnala e il suo profilo viene bloccato.
Sto seriamente provando schifo.
Sarò ottimista ma penso che chi ha dato il "like" non avesse inteso che l'aveva uccisa realmente, ma uccisa nel senso di cancellata dalla sua vita definitivamente.
 

giorgiocan

Utente prolisso
Barbarie crescente ovunque nel mondo. I principi su cui nel dopoguerra avevamo costruito il migliore dei mondi possibili sono ormai figurine smorte di un teatro su cui si giocano solo partite di egoismo, guerra e violenza diretta e agita senza pari. È una civiltà che sta morendo, e la crisi acuisce gli orrori. Il papa ha ancora ripetuto che stiamo vivendo la terza guerra mondiale. È differente dalle altre, si manifesta anche nel disprezzo della vita altrui e della propria dentro casa, per strada, in coda al supermercato.
È sempre stato un mondaccio questo mondo, ma ultimamente la ferocia ha raggiunto livelli impensabili solo dieci anni fa.
Voglio dire: oggi ci sono tranquilli artigiani londinesi che praticano la DECAPITAZIONE. E non sono di una qualche tribù residuale del Borneo, sono londinesi... Più di così.
Io mi sono vista la serie Throne of swords in questo periodo. Mi pare di grande attualità.
Disgustata.
Però può essere che nessuno si sia accorto che questi uomini non erano tutti in bolla? Prima di ammazzare una donna in tali dinamiche di coppia c'è una escalation di violenza...può essere che nessuno abbia notato anche una minima cosa? O che chi ha visto abbia messo la testa sotto la sabbia tradendo così nel peggiore dei modi quella donna che non riusciva a parlarne piegata dalla paura? Quella donna, una donna, 100, 1000 donne vittime di violenza sono state anche abbandonate da chi gli stava accanto. Tradite. Invisibili fino a che la catena vittima-carnefice non ha stretto al massimo le maglie.
bastava poco pochissimo dalle persone accanto....
scusate ma la violenza sulle donne è un tema a me caro e mi ribolle il sangue...

Barbarie ce n'è sempre stata a strafottere, in ogni tempo e in ogni dove. Al contrario, direi che in un modo o nell'altro il benessere per la nostra specie sia enormemente cresciuto. Ma. Se ci chiediamo perchè i valori cui ci siamo ispirati per costruire la comunità entro la quale volevamo crescere e invecchiare siano venuti meno, è perchè ci siamo dimenticati che in altri tempi (brevi e discontinui) i summenzionati non erano "valori", erano la realtà di ogni giorno. Non erano nozioni astratte, erano quello che praticavamo e insegnavamo a praticare a chi faceva o chiedeva di far parte della comunità. Poi ci siamo lasciati ingoiare dalla necessità di astrarre, delegare, istituzionalizzare; le persone sono diventate statistica, utenti, consumatori. Forse, improvvisamente, eravamo diventati troppi. E controllarci diventava sempre più difficile, eppure sempre più necessario. Noi stessi chiedevamo di essere dimensionati, normalizzati, moralizzati in nome di quei principi, vecchi e nuovi, che noi stessi abbiamo via via svuotato di una controparte reale. Così abbiamo trasformato la comunità in ghetto, abbiamo smesso di comunicare, scambiare, crescere. Ci siamo lasciati convincere che la soluzione fosse erigere nuovi muri, costruire strutture autosufficienti e senza volto per monitorare sempre più a fondo il nulla e contenere, mortificare, sezionare, demandare codici e regole sempre più lontane dalle esigenze che dovevano tutelare. Siamo arrivati a decidere per interposta persona (persona?) chi siano gli amici, chi i nemici. E a non combattere comunque. Abbiamo (avete) figli sempre più freneticamente uguali, più esposti, più dolorosamente vulnerabili. Ci siamo genuflessi, coi nostri credo, i nostri ideali, le nostre ispirazioni, al valore astratto di numeri, proiezioni, indici e tendenze. Viviamo assenti, finchè i nostri corpi - animali - scoprono, sempre più rovinosamente, la forza incontrollata di reagire a questa finta compunzione, all'imbarazzo del desiderio, alla nostalgia della vergogna. E come sempre è accaduto uccidono, dilaniano, straziano. E ogni volta, noi, ci guardiamo allo specchio atterriti: che l'assassino era nostro padre, sorella, figlio, amante, e in quegli occhi non ci vogliamo più riconoscere, che la paura ci manda a terra. E la paura genera paura, e siamo ormai incapaci anche di giudicare e sradicare il male ch'è davanti agli occhi ogni giorno, che non vogliamo correre il rischio di esserne neppure sfiorati. E chi uccide cammina tra gli altri, come gli altri, calpestando gli stessi passi.
E in cambio di quale sollievo e ricompensa? Sentirsi diversi, sentirsi migliori? Non sono in alcun modo credente, ma trovo il messaggio cristiano estremamente umano, vero, sempre concreto: eppure, i più tra voi sono stati educati a provare disgusto quando carità, giustizia e compassione li sfiorano con mani rovinate e volti sfigurati. Voi che parlate, avete finalmente e nuovamente appeso a una croce chi stava parlando di voi. E nemmeno ve ne siete resi conto. Voi provate schifo dell'atrocità che non sapete punire, che non volete capire, di cui pensate di non fare parte dall'inizio del tempo.

Ho ritrovato me stesso, ancora e finalmente, grazie al dolore e alla vergogna. Sono arrivato a uccidermi dentro, per sentirmi finalmente degno di respirare ancora. E non dimentico una vita passata ad annullarmi, ad imparare a sentirmi sbagliato, diverso. E l'avevo imparato bene, come Nausicaa, a farmi schifo quando mi scoprivo fuori dalla recita dei buoni, dei giusti e dei beati. Poi mi sono reso conto che ero come voi, ed eravate come me. Che la verità non è qualcosa che si può delegare, astrarre, misconoscere. Anche se ti paralizza dal terrore.

Credo nella pace tra gli uomini, che non è proclama, cerimonia, voto. Che è sporcarsi le mani, l'anima e il cuore come quei volti che avete smesso di prendere per uomini. E avete indicato come reietti, creature di un odio che non vi riguarda.

Quegli assassini siete voi, e sono io, quando viviamo soli, taciuti, umiliati, feriti e ignorati. Sacrificati. Che nessuno ha voluto o saputo intervenire finchè non fosse versato il sangue, piangendo quel sangue. Così ignoranti d'essere vivi da lasciarci sterminare. Non ho una soluzione, non sono più capace di voi. Ma ho smesso di vergognarmi, di nascondermi che quel male nasce anche in questa casa, e che quel che mi disgusta è assieme a me riflesso nello specchio. Ed è nel tacere e voltare lo sguardo altrove che cresce e prospera quell'odio, finchè scoppia di una ferocia e di una follia di cui, qui dentro, siamo capaci tutti per nascita.

Non illudetevi di proteggere i vostri figli nascondendoli, e nascondendo loro come sono nati, umani. Insegnate loro, piuttosto, a riconoscere ogni riflesso dello specchio.


PS - Credo, a naso, che la serie fosse "Game of Thrones".
 
Ultima modifica:

Nicka

Capra Espiatrice
Sarò ottimista ma penso che chi ha dato il "like" non avesse inteso che l'aveva uccisa realmente, ma uccisa nel senso di cancellata dalla sua vita definitivamente.
Sì l'ho pensato anche io...ma mi ha dato estremamente fastidio che abbiano messo il punto su questo lato della faccenda. Lo dico a livello meramente mediatico.
 

Scaredheart

Romantica sotto copertura
Sì l'ho pensato anche io...ma mi ha dato estremamente fastidio che abbiano messo il punto su questo lato della faccenda. Lo dico a livello meramente mediatico.
È per questo che per le notizie italiane le fonti le seleziono con cura...evito accuratamente la tv, e non leggo spazzatura...

però, anche leggere qui,le notizie per come le passano certi media mi getta maggiore ribrezzo sulla nostra società.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Barbarie ce n'è sempre stata a strafottere, in ogni tempo e in ogni dove. Al contrario, direi che in un modo o nell'altro il benessere per la nostra specie sia enormemente cresciuto. Ma. Se ci chiediamo perchè i valori cui ci siamo ispirati per costruire la comunità entro la quale volevamo crescere e invecchiare siano venuti meno, è perchè ci siamo dimenticati che in altri tempi (brevi e discontinui) i summenzionati non erano "valori", erano la realtà di ogni giorno. Non erano nozioni astratte, erano quello che praticavamo e insegnavamo a praticare a chi faceva o chiedeva di far parte della comunità. Poi ci siamo lasciati ingoiare dalla necessità di astrarre, delegare, istituzionalizzare; le persone sono diventate statistica, utenti, consumatori. Forse, improvvisamente, eravamo diventati troppi. E controllarci diventava sempre più difficile, eppure sempre più necessario. Noi stessi chiedevamo di essere dimensionati, normalizzati, moralizzati in nome di quei principi, vecchi e nuovi, che noi stessi abbiamo via via svuotato di una controparte reale. Così abbiamo trasformato la comunità in ghetto, abbiamo smesso di comunicare, scambiare, crescere. Ci siamo lasciati convincere che la soluzione fosse erigere nuovi muri, costruire strutture autosufficienti e senza volto per monitorare sempre più a fondo il nulla e contenere, mortificare, sezionare, demandare codici e regole sempre più lontane dalle esigenze che dovevano tutelare. Siamo arrivati a decidere per interposta persona (persona?) chi siano gli amici, chi i nemici. E a non combattere comunque. Abbiamo (avete) figli sempre più freneticamente uguali, più esposti, più dolorosamente vulnerabili. Ci siamo genuflessi, coi nostri credo, i nostri ideali, le nostre ispirazioni, al valore astratto di numeri, proiezioni, indici e tendenze. Viviamo assenti, finchè i nostri corpi - animali - scoprono, sempre più rovinosamente, la forza incontrollata di reagire a questa finta compunzione, all'imbarazzo del desiderio, alla nostalgia della vergogna. E come sempre è accaduto uccidono, dilaniano, straziano. E ogni volta, noi, ci guardiamo allo specchio atterriti: che l'assassino era nostro padre, sorella, figlio, amante, e in quegli occhi non ci vogliamo più riconoscere, che la paura ci manda a terra. E la paura genera paura, e siamo ormai incapaci anche di giudicare e sradicare il male ch'è davanti agli occhi ogni giorno, che non vogliamo correre il rischio di esserne neppure sfiorati. E chi uccide cammina tra gli altri, come gli altri, calpestando gli stessi passi.
E in cambio di quale sollievo e ricompensa? Sentirsi diversi, sentirsi migliori? Non sono in alcun modo credente, ma trovo il messaggio cristiano estremamente umano, vero, sempre concreto: eppure, i più tra voi sono stati educati a provare disgusto quando carità, giustizia e compassione li sfiorano con mani rovinate e volti sfigurati. Voi che parlate, avete finalmente e nuovamente appeso a una croce chi stava parlando di voi. E nemmeno ve ne siete resi conto. Voi provate schifo dell'atrocità che non sapete punire, che non volete capire, di cui pensate di non fare parte dall'inizio del tempo.

Ho ritrovato me stesso, ancora e finalmente, grazie al dolore e alla vergogna. Sono arrivato a uccidermi dentro, per sentirmi finalmente degno di respirare ancora. E non dimentico una vita passata ad annullarmi, ad imparare a sentirmi sbagliato, diverso. E l'avevo imparato bene, come Nausicaa, a farmi schifo quando mi scoprivo fuori dalla recita dei buoni, dei giusti e dei beati. Poi mi sono reso conto che ero come voi, ed eravate come me. Che la verità non è qualcosa che si può delegare, astrarre, misconoscere. Anche se ti paralizza dal terrore.

Credo nella pace tra gli uomini, che non è proclama, cerimonia, voto. Che è sporcarsi le mani, l'anima e il cuore come quei volti che avete smesso di prendere per uomini. E avete indicato come reietti, creature di un odio che non vi riguarda.

Quegli assassini siete voi, e sono io, quando viviamo soli, taciuti, umiliati, feriti e ignorati. Sacrificati. Che nessuno ha voluto o saputo intervenire finchè non fosse versato il sangue, piangendo quel sangue. Così ignoranti d'essere vivi da lasciarci sterminare. Non ho una soluzione, non sono più capace di voi. Ma ho smesso di vergognarmi, di nascondermi che quel male nasce anche in questa casa, e che quel che mi disgusta è assieme a me riflesso nello specchio. Ed è nel tacere e voltare lo sguardo altrove che cresce e prospera quell'odio, finchè scoppia di una ferocia e di una follia di cui, qui dentro, siamo capaci tutti per nascita.

Non illudetevi di proteggere i vostri figli nascondendoli, e nascondendo loro come sono nati, umani. Insegnate loro, piuttosto, a riconoscere ogni riflesso dello specchio.


PS - Credo, a naso, che la serie fosse "Game of Thrones".
ciao:)

hai aperto un sacco di porte.

Chissà perchè parlare di Violenza è così difficile.

Quest'estate, estate densa qui, l'ho incontrata un sacco di volte. Fra presente e passato

Come se i muri che io avevo eretto per girarle a largo, e avvicinarmici in teoria solo attraverso la spiegazione razionale e fredda, crollassero in sequenza.

Sono andata a prendere la mia amica una mattina. Era gelida e ghiacciata quando sono arrivata. Me la ricordo benissimo quella sensazione di rigidità quando l'ho abbracciata.
Notte d'inferno per lei. Coltelli e forbici. minacce. Paura. Ricatto. Speranza. Sollievo. Gratitudine al coltello abbassato poi.

Quando sono arrivata da lei, lei non era lì. E' tornata dopo qualche ora. Mentre tornavamo dall'ospedale.
A dire il vero non ero lì neanche io. Che accompagnare lei aveva in un qualche modo significato accompagnare la me che non avevo mai portato.

Ci siamo rese conto che in ospedale ci hanno dato precedenza assoluta.

E ha stupito entrambe la cosa.

Non che non la sapessimo. Due donne e un bambino. Un pronto soccorso. Violenza. Avanti a tutti. Funziona così anche sulle navi che affondano. Prima le donne e i bambini.

Ma ci siamo stupite lo stesso. Bocche tese, trattenute, monosillabi, occhi leggermente sbarrati.
E ci siamo stupite della gentilezza. Dell'accoglienza. Di una qualche forma di vicinanza imbarazzata celata dietro la professionalità.

Ci siamo stupite. Che roba.

Due idiote. Lo sappiamo entrambe che è così che funziona. Entrambe conosciamo benissimo i meccanismi della vergogna. Dello schifo. Dell'imbarazzo. Dello sguardo che vuol essere compassionevole e passa pena, perchè è pena quella che stai provando per te stessa. E la passi negli occhi altrui che tentano imbarazzati di passare vicinanza.
Del tremolio nei muscoli. E delle parole che escono spezzate.

E si tiene la schiena dritta. O almeno ci si prova.

Che non è Violenza, non lei da sola. A far tremare.

Lei aveva bisogno di abbracci. Io avrei avuto bisogno di uccidere qualcuno con le mie mani.
Lei tremava per la paura e il senso di non riconoscimento in quello che stava facendo.

Quel referto che ti porta ad avere il diritto di dire "signori e signore, è proprio vero eh. Ho i segni". Adesso posso denunciare. Consapevolezza che quello è un rito di iniziazione. Che è lì che cominica tutto. Mica è la fine. Quell'ambulatorio. E' un forse inizio. Forse.

Io tremavo di rabbia inespressa. Per lei. Per me. Per quel rito iniziatico che è entrare in pronto soccorso, presentarsi ad uno sportello e dire. E guardare gli occhi che cambiano lo sguardo. E le mani che si muovono più veloci sulla tastiera del pc dell'accettazione. E la mano che si allunga al telefono per segnalare la cosa. E la voce professionale che dice "si accomodi oltre la porta. La chiamiamo subito". E chiamano davvero subito.

Quell'essere chiamate subito. Mi ha sconvolta. Profondamente.
Ancora non riesco a capire se è un gesto di umanità e cura, e sicuramente lo è. E per fortuna c'è. Che anche aspettare...anche solo arrivare a quell'ospedale era sembrata una strada lunghissima.

Ma nella mia distorsione mi è sembrato quasi un tentativo di assoluzione. Una riparazione ad un'aberrazione.
Probabilmente sono distorta io. E sicuramente quella mattina lo ero. Che portare lei, una sorella acquisita in Violenza, ha significato portare quella me che non avevo portato quando avrei dovuto.

La sensazione imperante...sole. Aggrappate. Una all'altra. Che lo sai razionalmente che devi soltanto muovere i passi giusti per attivare la macchina difensiva e pubblica. Sperando che non ci vogliano troppi tentativi per farla partire.
Che ti ripeti che va bene. Che partirà e tutto seguirà il suo corso. Si può respirare adesso? (te lo chiedi eh, quando ti rendi conto che eri in apnea).

E intanto pensi a dove hai lasciato l'altra macchina, quella vera, che ti ha portata lì. E ti chiedi se quel parcheggio andava bene. E ti rispondi che sì, va bene. E' giorno. E si fa l'elenco delle cose in valigia. Le cose fondamentali. Che si spera di non dover star via troppo a lungo. Ma non si sa mai. E si studiano posti sicuri in cui rifugiarsi per pensare. Respirare. Riposare.

Si attiva la rete. E la rete per fortuna risponde.
Pranzo in casa sicura. Nè la mia nè la sua. Che sono conosciute.

La riflessione che ne abbiamo tratto, da quella mattina è che serve un'alleanza per uscire di casa così, ghiacciata. Qualcuno che dopo averti abbracciato ti prenda e ti porti via. Senza concedersi troppi fronzoli. Troppe consolazioni.
La consolazione ha i suoi tempi e i suoi spazi.

Combattere dicevi giorgio. Disabituati. Disabituate. E' vero. E non fa buon gioco quando lo si deve fare. E lo si deve reimparare. Che quella sensazione di sicurezza, una volta squarciato il velo, prende la consistenza che ha. Nulla.

E guardavo quella quasi sorella che cercava di ricomporre la frattura. Spiegare. Comprendere.
Tacevo mentre guidavo. Che lei ne aveva bisogno. E io dovevo tacere.
Che quei suoi tentativi di spiegare e giustificare e normalizzare una cosa straordinaria come un coltello al collo nella banalità di una discussione sfuggita di mano, mi facevano guardare nel mio personale specchio i riflessi di cui hai parlato. Canini scoperti. Di nuovo violenza. La mia. Di reazione.

Nella mia storia lo schifo me lo sono spalmata addosso. E l'ho usato come corazza. Mentre mi vendicavo. E usavo Violenza a mia volta. Provandone anche grande piacere. Per dire con chiarezza.
Che vedere il dolore negli occhi dell'altro mi rinfrancava del mio. E lo volevo vedere salire lentamente. Inaspettato. E non mi bastava neanche un po'. Mi piaceva lasciarlo scemare per riattivarlo. E poi ancora.

Non fisico. Ho sempre pensato che il fisico è il segno. Semplicemente.
Io volevo vedere l'altro. Di dolore. Quello che lascia spaesati. Quando meno te lo aspetti. Quello che disorienta improvviso e imprevisto.

Ho subito violenza e l'ho ricambiata. Giocando al giochetto di vittima carnefice come in un role plaiyng. La rabbia a farla da padrona.

Quei riflessi che non si vogliono vedere. Che li si guarda sottecchi. E hanno anche il loro fascino. E il loro potere.
Prima di prendere possesso di te e annichilirti e annullarti. Dentro a quello specchio. Che è rotto. Ed è facile perdercisi.

Di questa mappa. Nello specchio spezzato non si parla. C'è la mappa. Ma pare nascosta molto bene.

E allora. mentre la cerchi. annulli. Te.

Che annullarsi è annullare il riflesso. Diventa quasi necessario a volte. Salvifico. Aria. Non pura. Ma respirabile almeno. Dentro nella distorsione. E nell'isolamento.
Vergogna. E rabbia.
Io almeno l'ho provata. In segreto. E nel segreto.

E vai a cercar rifugio da quella rabbia annichilente e mortifera nell'annullamento e nello schifo. Proprio nella vergogna.


Che poi...Violenza è sensibilissima. Roba da rimanerci meravigliate.

Si innesta in maniera precissima su una storia di vita. Non inizia nel momento in cui inizia.

Affonda i tentacoli nei vissuti, li avvolge. Li adegua. E ci si adegua. In un gioco di distorsioni infinito. Paradossalmente piacevole.

Passa i veli del tempo. Si innesta con precisione millesimale. Fra passato presente e futuro.
Che provi a spiegartela nel momento in cui vedi l'inizio. Ma non è lì l'inizio.
E non è neanche prima.
E' contemporaneamente ovunque nel tempo.

Pervasione. La parola che meglio descrive a mio parere e nella mia esperienza. Si diffonde ovunque.
Nello spazio e nel tempo.
Talmente bene, da sparire. Normalizzata. Addomesticata. Apparentemente.

Agli occhi di chi la vive. E agli occhi di chi la vede.

Per fortuna esiste il corpo. Con i segni che sa portare. A rendere reale un qualcosa che lo è talmente tanto da sembrare normalità. (per fortuna:unhappy:)

Parli di comunità trasformate in ghetti.
Io traduco con reti interrotte. Non curate e non cucite.
Lasciate sulla riva a prender sole, acqua e salsedine. Aria e pioggia.

Che sembrano lì. Ma a volte, provare a prenderle in mano, significa sentirle sgretolare fra le dita. E ritrovarsi stupite a guardare quello che si era visto fino a pochi istanti prima. E non c'è. Stralci. Restano a volte. E ci si aggrappa.

Con la mia quasi sorella...abbiamo riflettuto tanto su come se non fossimo state quasi sorelle da quella casa non sarebbe uscita. Ci vuole poco a normalizzare. Hai ragione. Siamo abituati a farlo.

E di fronte ad una male tanto banale come la violenza che arriva da uno sguardo conosciuto, e ogni sguardo umano lo è prima di trasformarsi, è ancora più semplice farlo.

Che è facile trasformare quel momentaneo sconosciuto e straniero, in ciò che si conosce e rassicura.
Si. Rassicura. Forse perchè l'uso del combattere non è più in uso.
Che più spaventoso di subire violenza, è nominarla. Darle il nome. Dirlo ad alta voce. Renderla vera.

Appropriarsene. Nelle sue sfaccettature.

E' un percorso. Nominare. Urlare il proprio schifo. Assumerselo. Renderlo parte di sè da non usare nè come corazza nè come strumento di annichilimento.

Che in effetti non è molto d'uso in questo momento storico essere malati, non prestanti, non forti. Non furbi in particolare.

Che di solito la prima domanda che viene posta è "ma perchè non te ne vai?"
Bella domanda. Simpatica.

Una bella deviazione in effetti.

Che di fronte a violenza, in chi la guarda disgustato, emergono quelle reazioni di sollevamento del labbro...desiderio di azzannare. Provocare dolore. Come minimo tanto quanto. Ancora violenza. Riflessi.

(e l'abbraccio consolatorio...dio che male che fa, è l'esorcismo di quella violenza evocata da violenza).

E guardare quel riflesso di me, mi da il segno di come violenza permei il mio essere. Nonostante io l'abbia subita. Ancora il riflesso dei canini brilla nello specchio quando la incontro. Anche se non mi riguarda direttamente.
E mi rendo conto che sono anche io un riflesso. Violenza l'ho subita. E violenza è in me. Mi fa ribollire il sangue.
Istintivamente.

Non sono capace di rifugiarmi nella consolazione. Per mia struttura ed esperienza. Mi piacerebbe saperlo fare, a dire il vero. Forse la consolazione diventa una specie di uscita di sicurezza da quei canini che sbrilluccicano nello specchio.

Ma io non sono capace. Desidero katane. Ben affilate. E devo mettere all'opera l'osservazione di me e del circolo attivato per reinfoderare la lama. operazione razionale comunque. Che non sono pratica dell'altra via. Di ricomposizione.

Poi entra al lavoro la razionalità e il pensiero. E lo schifo che ho provato per me, si riversa sull'altro.
Quasi liberatorio. Non sentirlo addosso a me, anche se è stato per anni una piacevole corazza, quello schifo.

Ma vedo il circolo vizioso. Di violenza che nutre violenza.
E oltre che vederlo lo sento.

E penso a come si può. Ricucire la rete. Il parlare apertamente dei riflessi. Rendendoli amici. In condivisione. E non solo fantasmi da esorcizzare.

Non vergogna. In chi subisce, in chi agisce, in chi vorrebe vendicare e consolare.

E penso a come si potrebbe costruire una mappa dentro agli specchi di quei riflessi. Che lo specchio io l'ho visto negli occhi di chi vuole bene a me quando si è piegato come avessi tirato un diretto in pancia.

(la mia reazione ovviamente è stata consolare.)

E chi mi circonda adesso, chi è nella rete, li scopre i canini. E si specchia nei canini scoperti dell'altro. E ci si spaventa a vicenda. Che Violenza è anche lì. E noi siamo convenuti al suo tavolo.

Ma forse lì è la dalla parte giusta. (?)

Io non so.

Sono sempre più convinta che spiare quei riflessi, non può che generare violenza e violenza e violenza.

Guardarli, dargli un volto più umano...forse...

Sono sempre più convinta che i demoni debbano essere amici. E non debbano essere eliminati con un colpo in testa ma resi alleati. Che eliminarli è eliminare una parte di noi. Mentendo. Io penso. Che non ci si può eliminare se non annullandosi. E se non ci si annulla, i demoni riemergono. E riemergono, a volte, anche dall'annullamento.

Non sempre razionalità li sa gestire.

Ho fatto un gran minestrone...spero che qualcosa si capisca. :eek:
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
ah...dimenticavo. Quel referto non è stato sufficiente. Troppo poco profondi i segni. Per parlare di violenza. Vera.
Solo un po' di maltrattamenti...e che è...insomma.

Quella con la V maiuscola. Di violenza intendo.

Servono lividi veri. Ematomi. Sangue. Segni veri insomma.

O la morte.

Pare che la morte dia il segno per ora. Con i like. E la censura dei like.

(è provocazione questa. lo so.)
 

feather

Utente tardo
Che di fronte a violenza, in chi la guarda disgustato, emergono quelle reazioni di sollevamento del labbro...desiderio di azzannare. Provocare dolore. Come minimo tanto quanto. Ancora violenza. Riflessi.
A proposito di violenza c'è un film che mi è rimasto impresso per le sensazioni che mi ha risvegliato.
http://www.imdb.com/title/tt3153634/
Però il rischio è appunto quello di reagire invece di agire, e perdere il controllo di sé, della situazione e di perdersi...
Quasi tutte le arti marziali insegnano da millenni questo:
Fist rise.jpg
un motivo c'è.
In ultima analisi la rabbia nasce sempre dalla paura, e quando è lei al volante il rischio di schiantarsi da qualche parte è alto.
Oltre a essere umiliante. Abdicare se stessi e la propria vita a qualcun o qualcos'altro.

E non era meglio una volta, anzi. Meno cultura e introspezione c'è e meno si agisce e più si reagisce, e nel 1600 il 95% viveva in maniera non molto distante da un cane randagio. Altro che alti valori morali.
Si sta meglio adesso, e di gran lunga.
E ha ragione Giorgio che i figli non vanno protetti da questa cosa, ma anzi esposti e vanno forniti gli strumenti per riconoscerne i segni, in se stessi prima e negli altri come conseguenza.
La violenza non è sempre un male e il perdono e la comprensione non è sempre un bene.
Non è così semplice.
Io sono convinto che per una società armoniosa bisogna avere individui che si conoscono, armoniosi in se stessi. Che sappiano leggere se stessi. Leggere e comprendere il prossimo è una conseguenza.
Altrimenti si finisce come i paesi mussulmani "moderati", dove il "moderato" e moderato con una dittatura e tanto manganello.
Io vivo in uno stato dove non c'è violenza e razzismo. Guarda i dati, è virtualmente assente. Ma nel cuore delle persone è mille volte più presente e violento di quello che c'è in Italia. Perché a nascondere le sensazioni sotto il tappeto non spariscono. Maturano in silenzio fino all'esplosione.

Queste notizie sono il frutto di un educazione in cui ti insegnano ad essere un bravo robottino, utile per le aziende, a non fare e farti domande. Mai.
L'esatto contrario di come dovrebbe essere. Il frutto di scarsa lungimiranza. E dato che mi piacciono le citazioni, chiudo la divagazione con:
"If every 8 year old in the world is taught meditation,
we will eliminate violence from the world within one generation."
~Dalai Lama
Mi sa che sono andato ampiamente fuori tema, scusate.
 

sienne

lucida-confusa
ciao:)

hai aperto un sacco di porte.

Chissà perchè parlare di Violenza è così difficile.

Quest'estate, estate densa qui, l'ho incontrata un sacco di volte. Fra presente e passato

Come se i muri che io avevo eretto per girarle a largo, e avvicinarmici in teoria solo attraverso la spiegazione razionale e fredda, crollassero in sequenza.

Sono andata a prendere la mia amica una mattina. Era gelida e ghiacciata quando sono arrivata. Me la ricordo benissimo quella sensazione di rigidità quando l'ho abbracciata.
Notte d'inferno per lei. Coltelli e forbici. minacce. Paura. Ricatto. Speranza. Sollievo. Gratitudine al coltello abbassato poi.

Quando sono arrivata da lei, lei non era lì. E' tornata dopo qualche ora. Mentre tornavamo dall'ospedale.
A dire il vero non ero lì neanche io. Che accompagnare lei aveva in un qualche modo significato accompagnare la me che non avevo mai portato.

Ci siamo rese conto che in ospedale ci hanno dato precedenza assoluta.

E ha stupito entrambe la cosa.

Non che non la sapessimo. Due donne e un bambino. Un pronto soccorso. Violenza. Avanti a tutti. Funziona così anche sulle navi che affondano. Prima le donne e i bambini.

Ma ci siamo stupite lo stesso. Bocche tese, trattenute, monosillabi, occhi leggermente sbarrati.
E ci siamo stupite della gentilezza. Dell'accoglienza. Di una qualche forma di vicinanza imbarazzata celata dietro la professionalità.

Ci siamo stupite. Che roba.

Due idiote. Lo sappiamo entrambe che è così che funziona. Entrambe conosciamo benissimo i meccanismi della vergogna. Dello schifo. Dell'imbarazzo. Dello sguardo che vuol essere compassionevole e passa pena, perchè è pena quella che stai provando per te stessa. E la passi negli occhi altrui che tentano imbarazzati di passare vicinanza.
Del tremolio nei muscoli. E delle parole che escono spezzate.

E si tiene la schiena dritta. O almeno ci si prova.

Che non è Violenza, non lei da sola. A far tremare.

Lei aveva bisogno di abbracci. Io avrei avuto bisogno di uccidere qualcuno con le mie mani.
Lei tremava per la paura e il senso di non riconoscimento in quello che stava facendo.

Quel referto che ti porta ad avere il diritto di dire "signori e signore, è proprio vero eh. Ho i segni". Adesso posso denunciare. Consapevolezza che quello è un rito di iniziazione. Che è lì che cominica tutto. Mica è la fine. Quell'ambulatorio. E' un forse inizio. Forse.

Io tremavo di rabbia inespressa. Per lei. Per me. Per quel rito iniziatico che è entrare in pronto soccorso, presentarsi ad uno sportello e dire. E guardare gli occhi che cambiano lo sguardo. E le mani che si muovono più veloci sulla tastiera del pc dell'accettazione. E la mano che si allunga al telefono per segnalare la cosa. E la voce professionale che dice "si accomodi oltre la porta. La chiamiamo subito". E chiamano davvero subito.

Quell'essere chiamate subito. Mi ha sconvolta. Profondamente.
Ancora non riesco a capire se è un gesto di umanità e cura, e sicuramente lo è. E per fortuna c'è. Che anche aspettare...anche solo arrivare a quell'ospedale era sembrata una strada lunghissima.

Ma nella mia distorsione mi è sembrato quasi un tentativo di assoluzione. Una riparazione ad un'aberrazione.
Probabilmente sono distorta io. E sicuramente quella mattina lo ero. Che portare lei, una sorella acquisita in Violenza, ha significato portare quella me che non avevo portato quando avrei dovuto.

La sensazione imperante...sole. Aggrappate. Una all'altra. Che lo sai razionalmente che devi soltanto muovere i passi giusti per attivare la macchina difensiva e pubblica. Sperando che non ci vogliano troppi tentativi per farla partire.
Che ti ripeti che va bene. Che partirà e tutto seguirà il suo corso. Si può respirare adesso? (te lo chiedi eh, quando ti rendi conto che eri in apnea).

E intanto pensi a dove hai lasciato l'altra macchina, quella vera, che ti ha portata lì. E ti chiedi se quel parcheggio andava bene. E ti rispondi che sì, va bene. E' giorno. E si fa l'elenco delle cose in valigia. Le cose fondamentali. Che si spera di non dover star via troppo a lungo. Ma non si sa mai. E si studiano posti sicuri in cui rifugiarsi per pensare. Respirare. Riposare.

Si attiva la rete. E la rete per fortuna risponde.
Pranzo in casa sicura. Nè la mia nè la sua. Che sono conosciute.

La riflessione che ne abbiamo tratto, da quella mattina è che serve un'alleanza per uscire di casa così, ghiacciata. Qualcuno che dopo averti abbracciato ti prenda e ti porti via. Senza concedersi troppi fronzoli. Troppe consolazioni.
La consolazione ha i suoi tempi e i suoi spazi.

Combattere dicevi giorgio. Disabituati. Disabituate. E' vero. E non fa buon gioco quando lo si deve fare. E lo si deve reimparare. Che quella sensazione di sicurezza, una volta squarciato il velo, prende la consistenza che ha. Nulla.

E guardavo quella quasi sorella che cercava di ricomporre la frattura. Spiegare. Comprendere.
Tacevo mentre guidavo. Che lei ne aveva bisogno. E io dovevo tacere.
Che quei suoi tentativi di spiegare e giustificare e normalizzare una cosa straordinaria come un coltello al collo nella banalità di una discussione sfuggita di mano, mi facevano guardare nel mio personale specchio i riflessi di cui hai parlato. Canini scoperti. Di nuovo violenza. La mia. Di reazione.

Nella mia storia lo schifo me lo sono spalmata addosso. E l'ho usato come corazza. Mentre mi vendicavo. E usavo Violenza a mia volta. Provandone anche grande piacere. Per dire con chiarezza.
Che vedere il dolore negli occhi dell'altro mi rinfrancava del mio. E lo volevo vedere salire lentamente. Inaspettato. E non mi bastava neanche un po'. Mi piaceva lasciarlo scemare per riattivarlo. E poi ancora.

Non fisico. Ho sempre pensato che il fisico è il segno. Semplicemente.
Io volevo vedere l'altro. Di dolore. Quello che lascia spaesati. Quando meno te lo aspetti. Quello che disorienta improvviso e imprevisto.

Ho subito violenza e l'ho ricambiata. Giocando al giochetto di vittima carnefice come in un role plaiyng. La rabbia a farla da padrona.

Quei riflessi che non si vogliono vedere. Che li si guarda sottecchi. E hanno anche il loro fascino. E il loro potere.
Prima di prendere possesso di te e annichilirti e annullarti. Dentro a quello specchio. Che è rotto. Ed è facile perdercisi.

Di questa mappa. Nello specchio spezzato non si parla. C'è la mappa. Ma pare nascosta molto bene.

E allora. mentre la cerchi. annulli. Te.

Che annullarsi è annullare il riflesso. Diventa quasi necessario a volte. Salvifico. Aria. Non pura. Ma respirabile almeno. Dentro nella distorsione. E nell'isolamento.
Vergogna. E rabbia.
Io almeno l'ho provata. In segreto. E nel segreto.

E vai a cercar rifugio da quella rabbia annichilente e mortifera nell'annullamento e nello schifo. Proprio nella vergogna.


Che poi...Violenza è sensibilissima. Roba da rimanerci meravigliate.

Si innesta in maniera precissima su una storia di vita. Non inizia nel momento in cui inizia.

Affonda i tentacoli nei vissuti, li avvolge. Li adegua. E ci si adegua. In un gioco di distorsioni infinito. Paradossalmente piacevole.

Passa i veli del tempo. Si innesta con precisione millesimale. Fra passato presente e futuro.
Che provi a spiegartela nel momento in cui vedi l'inizio. Ma non è lì l'inizio.
E non è neanche prima.
E' contemporaneamente ovunque nel tempo.

Pervasione. La parola che meglio descrive a mio parere e nella mia esperienza. Si diffonde ovunque.
Nello spazio e nel tempo.
Talmente bene, da sparire. Normalizzata. Addomesticata. Apparentemente.

Agli occhi di chi la vive. E agli occhi di chi la vede.

Per fortuna esiste il corpo. Con i segni che sa portare. A rendere reale un qualcosa che lo è talmente tanto da sembrare normalità. (per fortuna:unhappy:)

Parli di comunità trasformate in ghetti.
Io traduco con reti interrotte. Non curate e non cucite.
Lasciate sulla riva a prender sole, acqua e salsedine. Aria e pioggia.

Che sembrano lì. Ma a volte, provare a prenderle in mano, significa sentirle sgretolare fra le dita. E ritrovarsi stupite a guardare quello che si era visto fino a pochi istanti prima. E non c'è. Stralci. Restano a volte. E ci si aggrappa.

Con la mia quasi sorella...abbiamo riflettuto tanto su come se non fossimo state quasi sorelle da quella casa non sarebbe uscita. Ci vuole poco a normalizzare. Hai ragione. Siamo abituati a farlo.

E di fronte ad una male tanto banale come la violenza che arriva da uno sguardo conosciuto, e ogni sguardo umano lo è prima di trasformarsi, è ancora più semplice farlo.

Che è facile trasformare quel momentaneo sconosciuto e straniero, in ciò che si conosce e rassicura.
Si. Rassicura. Forse perchè l'uso del combattere non è più in uso.
Che più spaventoso di subire violenza, è nominarla. Darle il nome. Dirlo ad alta voce. Renderla vera.

Appropriarsene. Nelle sue sfaccettature.

E' un percorso. Nominare. Urlare il proprio schifo. Assumerselo. Renderlo parte di sè da non usare nè come corazza nè come strumento di annichilimento.

Che in effetti non è molto d'uso in questo momento storico essere malati, non prestanti, non forti. Non furbi in particolare.

Che di solito la prima domanda che viene posta è "ma perchè non te ne vai?"
Bella domanda. Simpatica.

Una bella deviazione in effetti.

Che di fronte a violenza, in chi la guarda disgustato, emergono quelle reazioni di sollevamento del labbro...desiderio di azzannare. Provocare dolore. Come minimo tanto quanto. Ancora violenza. Riflessi.

(e l'abbraccio consolatorio...dio che male che fa, è l'esorcismo di quella violenza evocata da violenza).

E guardare quel riflesso di me, mi da il segno di come violenza permei il mio essere. Nonostante io l'abbia subita. Ancora il riflesso dei canini brilla nello specchio quando la incontro. Anche se non mi riguarda direttamente.
E mi rendo conto che sono anche io un riflesso. Violenza l'ho subita. E violenza è in me. Mi fa ribollire il sangue.
Istintivamente.

Non sono capace di rifugiarmi nella consolazione. Per mia struttura ed esperienza. Mi piacerebbe saperlo fare, a dire il vero. Forse la consolazione diventa una specie di uscita di sicurezza da quei canini che sbrilluccicano nello specchio.

Ma io non sono capace. Desidero katane. Ben affilate. E devo mettere all'opera l'osservazione di me e del circolo attivato per reinfoderare la lama. operazione razionale comunque. Che non sono pratica dell'altra via. Di ricomposizione.

Poi entra al lavoro la razionalità e il pensiero. E lo schifo che ho provato per me, si riversa sull'altro.
Quasi liberatorio. Non sentirlo addosso a me, anche se è stato per anni una piacevole corazza, quello schifo.

Ma vedo il circolo vizioso. Di violenza che nutre violenza.
E oltre che vederlo lo sento.

E penso a come si può. Ricucire la rete. Il parlare apertamente dei riflessi. Rendendoli amici. In condivisione. E non solo fantasmi da esorcizzare.

Non vergogna. In chi subisce, in chi agisce, in chi vorrebe vendicare e consolare.

E penso a come si potrebbe costruire una mappa dentro agli specchi di quei riflessi. Che lo specchio io l'ho visto negli occhi di chi vuole bene a me quando si è piegato come avessi tirato un diretto in pancia.

(la mia reazione ovviamente è stata consolare.)

E chi mi circonda adesso, chi è nella rete, li scopre i canini. E si specchia nei canini scoperti dell'altro. E ci si spaventa a vicenda. Che Violenza è anche lì. E noi siamo convenuti al suo tavolo.

Ma forse lì è la dalla parte giusta. (?)

Io non so.

Sono sempre più convinta che spiare quei riflessi, non può che generare violenza e violenza e violenza.

Guardarli, dargli un volto più umano...forse...

Sono sempre più convinta che i demoni debbano essere amici. E non debbano essere eliminati con un colpo in testa ma resi alleati. Che eliminarli è eliminare una parte di noi. Mentendo. Io penso. Che non ci si può eliminare se non annullandosi. E se non ci si annulla, i demoni riemergono. E riemergono, a volte, anche dall'annullamento.

Non sempre razionalità li sa gestire.

Ho fatto un gran minestrone...spero che qualcosa si capisca. :eek:

Ciao

nessun minestrone.
Grazie per il tuo coraggio di parlare ...

È veramente importante dare un volto ai nostri demoni ... a farceli alleati ...


Un abbraccio forte forte ...


sienne
 

Sbriciolata

Escluso
ciao:)

hai aperto un sacco di porte.

Chissà perchè parlare di Violenza è così difficile.

Quest'estate, estate densa qui, l'ho incontrata un sacco di volte. Fra presente e passato

Come se i muri che io avevo eretto per girarle a largo, e avvicinarmici in teoria solo attraverso la spiegazione razionale e fredda, crollassero in sequenza.

Sono andata a prendere la mia amica una mattina. Era gelida e ghiacciata quando sono arrivata. Me la ricordo benissimo quella sensazione di rigidità quando l'ho abbracciata.
Notte d'inferno per lei. Coltelli e forbici. minacce. Paura. Ricatto. Speranza. Sollievo. Gratitudine al coltello abbassato poi.

Quando sono arrivata da lei, lei non era lì. E' tornata dopo qualche ora. Mentre tornavamo dall'ospedale.
A dire il vero non ero lì neanche io. Che accompagnare lei aveva in un qualche modo significato accompagnare la me che non avevo mai portato.

Ci siamo rese conto che in ospedale ci hanno dato precedenza assoluta.

E ha stupito entrambe la cosa.

Non che non la sapessimo. Due donne e un bambino. Un pronto soccorso. Violenza. Avanti a tutti. Funziona così anche sulle navi che affondano. Prima le donne e i bambini.

Ma ci siamo stupite lo stesso. Bocche tese, trattenute, monosillabi, occhi leggermente sbarrati.
E ci siamo stupite della gentilezza. Dell'accoglienza. Di una qualche forma di vicinanza imbarazzata celata dietro la professionalità.

Ci siamo stupite. Che roba.

Due idiote. Lo sappiamo entrambe che è così che funziona. Entrambe conosciamo benissimo i meccanismi della vergogna. Dello schifo. Dell'imbarazzo. Dello sguardo che vuol essere compassionevole e passa pena, perchè è pena quella che stai provando per te stessa. E la passi negli occhi altrui che tentano imbarazzati di passare vicinanza.
Del tremolio nei muscoli. E delle parole che escono spezzate.

E si tiene la schiena dritta. O almeno ci si prova.

Che non è Violenza, non lei da sola. A far tremare.

Lei aveva bisogno di abbracci. Io avrei avuto bisogno di uccidere qualcuno con le mie mani.
Lei tremava per la paura e il senso di non riconoscimento in quello che stava facendo.

Quel referto che ti porta ad avere il diritto di dire "signori e signore, è proprio vero eh. Ho i segni". Adesso posso denunciare. Consapevolezza che quello è un rito di iniziazione. Che è lì che cominica tutto. Mica è la fine. Quell'ambulatorio. E' un forse inizio. Forse.

Io tremavo di rabbia inespressa. Per lei. Per me. Per quel rito iniziatico che è entrare in pronto soccorso, presentarsi ad uno sportello e dire. E guardare gli occhi che cambiano lo sguardo. E le mani che si muovono più veloci sulla tastiera del pc dell'accettazione. E la mano che si allunga al telefono per segnalare la cosa. E la voce professionale che dice "si accomodi oltre la porta. La chiamiamo subito". E chiamano davvero subito.

Quell'essere chiamate subito. Mi ha sconvolta. Profondamente.
Ancora non riesco a capire se è un gesto di umanità e cura, e sicuramente lo è. E per fortuna c'è. Che anche aspettare...anche solo arrivare a quell'ospedale era sembrata una strada lunghissima.

Ma nella mia distorsione mi è sembrato quasi un tentativo di assoluzione. Una riparazione ad un'aberrazione.
Probabilmente sono distorta io. E sicuramente quella mattina lo ero. Che portare lei, una sorella acquisita in Violenza, ha significato portare quella me che non avevo portato quando avrei dovuto.

La sensazione imperante...sole. Aggrappate. Una all'altra. Che lo sai razionalmente che devi soltanto muovere i passi giusti per attivare la macchina difensiva e pubblica. Sperando che non ci vogliano troppi tentativi per farla partire.
Che ti ripeti che va bene. Che partirà e tutto seguirà il suo corso. Si può respirare adesso? (te lo chiedi eh, quando ti rendi conto che eri in apnea).

E intanto pensi a dove hai lasciato l'altra macchina, quella vera, che ti ha portata lì. E ti chiedi se quel parcheggio andava bene. E ti rispondi che sì, va bene. E' giorno. E si fa l'elenco delle cose in valigia. Le cose fondamentali. Che si spera di non dover star via troppo a lungo. Ma non si sa mai. E si studiano posti sicuri in cui rifugiarsi per pensare. Respirare. Riposare.

Si attiva la rete. E la rete per fortuna risponde.
Pranzo in casa sicura. Nè la mia nè la sua. Che sono conosciute.

La riflessione che ne abbiamo tratto, da quella mattina è che serve un'alleanza per uscire di casa così, ghiacciata. Qualcuno che dopo averti abbracciato ti prenda e ti porti via. Senza concedersi troppi fronzoli. Troppe consolazioni.
La consolazione ha i suoi tempi e i suoi spazi.

Combattere dicevi giorgio. Disabituati. Disabituate. E' vero. E non fa buon gioco quando lo si deve fare. E lo si deve reimparare. Che quella sensazione di sicurezza, una volta squarciato il velo, prende la consistenza che ha. Nulla.

E guardavo quella quasi sorella che cercava di ricomporre la frattura. Spiegare. Comprendere.
Tacevo mentre guidavo. Che lei ne aveva bisogno. E io dovevo tacere.
Che quei suoi tentativi di spiegare e giustificare e normalizzare una cosa straordinaria come un coltello al collo nella banalità di una discussione sfuggita di mano, mi facevano guardare nel mio personale specchio i riflessi di cui hai parlato. Canini scoperti. Di nuovo violenza. La mia. Di reazione.

Nella mia storia lo schifo me lo sono spalmata addosso. E l'ho usato come corazza. Mentre mi vendicavo. E usavo Violenza a mia volta. Provandone anche grande piacere. Per dire con chiarezza.
Che vedere il dolore negli occhi dell'altro mi rinfrancava del mio. E lo volevo vedere salire lentamente. Inaspettato. E non mi bastava neanche un po'. Mi piaceva lasciarlo scemare per riattivarlo. E poi ancora.

Non fisico. Ho sempre pensato che il fisico è il segno. Semplicemente.
Io volevo vedere l'altro. Di dolore. Quello che lascia spaesati. Quando meno te lo aspetti. Quello che disorienta improvviso e imprevisto.

Ho subito violenza e l'ho ricambiata. Giocando al giochetto di vittima carnefice come in un role plaiyng. La rabbia a farla da padrona.

Quei riflessi che non si vogliono vedere. Che li si guarda sottecchi. E hanno anche il loro fascino. E il loro potere.
Prima di prendere possesso di te e annichilirti e annullarti. Dentro a quello specchio. Che è rotto. Ed è facile perdercisi.

Di questa mappa. Nello specchio spezzato non si parla. C'è la mappa. Ma pare nascosta molto bene.

E allora. mentre la cerchi. annulli. Te.

Che annullarsi è annullare il riflesso. Diventa quasi necessario a volte. Salvifico. Aria. Non pura. Ma respirabile almeno. Dentro nella distorsione. E nell'isolamento.
Vergogna. E rabbia.
Io almeno l'ho provata. In segreto. E nel segreto.

E vai a cercar rifugio da quella rabbia annichilente e mortifera nell'annullamento e nello schifo. Proprio nella vergogna.


Che poi...Violenza è sensibilissima. Roba da rimanerci meravigliate.

Si innesta in maniera precissima su una storia di vita. Non inizia nel momento in cui inizia.

Affonda i tentacoli nei vissuti, li avvolge. Li adegua. E ci si adegua. In un gioco di distorsioni infinito. Paradossalmente piacevole.

Passa i veli del tempo. Si innesta con precisione millesimale. Fra passato presente e futuro.
Che provi a spiegartela nel momento in cui vedi l'inizio. Ma non è lì l'inizio.
E non è neanche prima.
E' contemporaneamente ovunque nel tempo.

Pervasione. La parola che meglio descrive a mio parere e nella mia esperienza. Si diffonde ovunque.
Nello spazio e nel tempo.
Talmente bene, da sparire. Normalizzata. Addomesticata. Apparentemente.

Agli occhi di chi la vive. E agli occhi di chi la vede.

Per fortuna esiste il corpo. Con i segni che sa portare. A rendere reale un qualcosa che lo è talmente tanto da sembrare normalità. (per fortuna:unhappy:)

Parli di comunità trasformate in ghetti.
Io traduco con reti interrotte. Non curate e non cucite.
Lasciate sulla riva a prender sole, acqua e salsedine. Aria e pioggia.

Che sembrano lì. Ma a volte, provare a prenderle in mano, significa sentirle sgretolare fra le dita. E ritrovarsi stupite a guardare quello che si era visto fino a pochi istanti prima. E non c'è. Stralci. Restano a volte. E ci si aggrappa.

Con la mia quasi sorella...abbiamo riflettuto tanto su come se non fossimo state quasi sorelle da quella casa non sarebbe uscita. Ci vuole poco a normalizzare. Hai ragione. Siamo abituati a farlo.

E di fronte ad una male tanto banale come la violenza che arriva da uno sguardo conosciuto, e ogni sguardo umano lo è prima di trasformarsi, è ancora più semplice farlo.

Che è facile trasformare quel momentaneo sconosciuto e straniero, in ciò che si conosce e rassicura.
Si. Rassicura. Forse perchè l'uso del combattere non è più in uso.
Che più spaventoso di subire violenza, è nominarla. Darle il nome. Dirlo ad alta voce. Renderla vera.

Appropriarsene. Nelle sue sfaccettature.

E' un percorso. Nominare. Urlare il proprio schifo. Assumerselo. Renderlo parte di sè da non usare nè come corazza nè come strumento di annichilimento.

Che in effetti non è molto d'uso in questo momento storico essere malati, non prestanti, non forti. Non furbi in particolare.

Che di solito la prima domanda che viene posta è "ma perchè non te ne vai?"
Bella domanda. Simpatica.

Una bella deviazione in effetti.

Che di fronte a violenza, in chi la guarda disgustato, emergono quelle reazioni di sollevamento del labbro...desiderio di azzannare. Provocare dolore. Come minimo tanto quanto. Ancora violenza. Riflessi.

(e l'abbraccio consolatorio...dio che male che fa, è l'esorcismo di quella violenza evocata da violenza).

E guardare quel riflesso di me, mi da il segno di come violenza permei il mio essere. Nonostante io l'abbia subita. Ancora il riflesso dei canini brilla nello specchio quando la incontro. Anche se non mi riguarda direttamente.
E mi rendo conto che sono anche io un riflesso. Violenza l'ho subita. E violenza è in me. Mi fa ribollire il sangue.
Istintivamente.

Non sono capace di rifugiarmi nella consolazione. Per mia struttura ed esperienza. Mi piacerebbe saperlo fare, a dire il vero. Forse la consolazione diventa una specie di uscita di sicurezza da quei canini che sbrilluccicano nello specchio.

Ma io non sono capace. Desidero katane. Ben affilate. E devo mettere all'opera l'osservazione di me e del circolo attivato per reinfoderare la lama. operazione razionale comunque. Che non sono pratica dell'altra via. Di ricomposizione.

Poi entra al lavoro la razionalità e il pensiero. E lo schifo che ho provato per me, si riversa sull'altro.
Quasi liberatorio. Non sentirlo addosso a me, anche se è stato per anni una piacevole corazza, quello schifo.

Ma vedo il circolo vizioso. Di violenza che nutre violenza.
E oltre che vederlo lo sento.

E penso a come si può. Ricucire la rete. Il parlare apertamente dei riflessi. Rendendoli amici. In condivisione. E non solo fantasmi da esorcizzare.

Non vergogna. In chi subisce, in chi agisce, in chi vorrebe vendicare e consolare.

E penso a come si potrebbe costruire una mappa dentro agli specchi di quei riflessi. Che lo specchio io l'ho visto negli occhi di chi vuole bene a me quando si è piegato come avessi tirato un diretto in pancia.

(la mia reazione ovviamente è stata consolare.)

E chi mi circonda adesso, chi è nella rete, li scopre i canini. E si specchia nei canini scoperti dell'altro. E ci si spaventa a vicenda. Che Violenza è anche lì. E noi siamo convenuti al suo tavolo.

Ma forse lì è la dalla parte giusta. (?)

Io non so.

Sono sempre più convinta che spiare quei riflessi, non può che generare violenza e violenza e violenza.

Guardarli, dargli un volto più umano...forse...

Sono sempre più convinta che i demoni debbano essere amici. E non debbano essere eliminati con un colpo in testa ma resi alleati. Che eliminarli è eliminare una parte di noi. Mentendo. Io penso. Che non ci si può eliminare se non annullandosi. E se non ci si annulla, i demoni riemergono. E riemergono, a volte, anche dall'annullamento.

Non sempre razionalità li sa gestire.

Ho fatto un gran minestrone...spero che qualcosa si capisca. :eek:
non hai fatto un minestrone. Quello che hai scritto è terribile, perchè fa paura per quanto è vero, secondo me.
 

giorgiocan

Utente prolisso
Ringrazio tantissimo ipazia, e ringrazio feather. E mi fa piacere che sienne abbia colto che di questi scambi abbiamo materialmente bisogno, individualmente e come comunità (e parlo anche semplicemente di Tradi, mica di grandi sistemi). Capisco che trovare un muro di testo spesso indisponga o faccia persino paura. Che magari non vengono in mente più di due righe di risposta e ci si sente inadeguati o semplicemente si teme di aprire di schianto una diga e dover gestire un'onda travolgente di esperienze, percezioni, sospesi.

Non abbiate paura dei grafomani, hanno la vostra stessa faccia anche loro. :D

Personalmente, mi godo le ripercussioni di queste conversazioni abbandonandomi alle risposte sinaptiche e abbracciando senza indugio immagini e sensazioni. Parole verità.

Se dovessi assegnare un sottofondo musicale a questo stato di coscienza, proporrei questa:

[video=youtube;bD45pZjmQCE]https://www.youtube.com/watch?v=bD45pZjmQCE[/video]
 
Ultima modifica:

perplesso

Administrator
Staff Forum
ah...dimenticavo. Quel referto non è stato sufficiente. Troppo poco profondi i segni. Per parlare di violenza. Vera.
Solo un po' di maltrattamenti...e che è...insomma.

Quella con la V maiuscola. Di violenza intendo.

Servono lividi veri. Ematomi. Sangue. Segni veri insomma.

O la morte.

Pare che la morte dia il segno per ora. Con i like. E la censura dei like.

(è provocazione questa. lo so.)
quel referto non è stato sufficiente,ma occorre vedere per cosa. doveva servire per provare un reato piuttosto che un altro,nulla di più. lì era un avvocato che avrebbe dovuto dire come utilizzarlo al meglio.

sull'altro post, sembra il racconto della notte prima della battaglia.
 
Stato
Discussione chiusa ad ulteriori risposte.
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