ipazia
Utente disorientante (ma anche disorientata)
....sì....... non fare niente, dormi, riposa nel grembo del drago, sogna!
ciao
ciao
....sì....... non fare niente, dormi, riposa nel grembo del drago, sogna!
ciao
Un pensiero in merito a come si potrebbe intendere l'abbandono........e non solo a te, anche a me a volte
La guardia non è perentorietà. E neanche assoluto. Però.
La guardia è presenza attiva. E' posizionamento nello spazio e nel tempo. Innanzitutto in quelli interiori.
E non è fissità. Ma anzi. E' attenzione al movimento. E' tensione. Positiva nella mia percezione.
Ed è non-abbandono.
Una buona guardia, sto imparando, riguarda il lasciar fluire distanza e vicinanza ed anche l'abbandono a sè.
Sono novizia in questo.
Ma l'abbandono, per ora, per me, è cosa riservata. Intima e confidente. E lo concedo quasi mai.
L'accoglienza riguarda l'abbandono. Non penso si possa accogliere un non-abbandono.
Un non-abbandono, lo si può solo accettare e incontrare se si vuole.
Ma non ho le idee molto chiare a riguardo a dire la verità![]()
...sto sperimentando diverse modalità di abbandono...o almeno tentativi.Un pensiero in merito a come si potrebbe intendere l'abbandono.....
- non è obbligatoria la presenza di un'altra persona, se non come eventuale "guida" momentanea nel senso che ci si può abbandonare in presenza di "un altro" ma non "a un altro " ;
- l'abbandonarsi non è un'attività volontaria: una persona non può scegliere di abbandonarsi, si possono creare condizioni che facilitano l'abbandono, ma non si può fare in modo che avvenga con certezza;
- la direzione ultima dell'abbandonarsi è la scoperta della propria identità,del proprio senso di sè,della propria interezza;
- nell'abbandonarsi c'è assenza di dominio e di controllo;
- l'esperienza di abbandonarsi può facilitare le esperienza della trascendenza e dell' accettazione.
-
Ho pensato di vedere/considerare l'abbandono come punto di arrivo,e non di partenza. Nel senso di "preparare il terreno" affinchè possa succedere. Ed alla base affinchè questo possa succedere ci deve essere - a mio avviso - un buon equilibrio interiore....sto sperimentando diverse modalità di abbandono...o almeno tentativi.
Che assenza di dominio e controllo è roba ostica per me ancora.
e non ne so ancora scrivere bene di questa cosa dell'abbandono. Sono novizia.
..continua a scrivere. Mi piace il tuo approccio!
Però nei miei miti c'è una sufficiente presenza da potermi abbandonare all'altro (intenso nel senso più ampio del termine, altro da me. Che sia persona o vita) in presenza di me, senza esercitare dominio e controllo. presenza che non ha bisogno di se stessa..o forse del'affermazione di sè...ma è un mito per ora![]()
"Dai la cera, togli la cera"Ho pensato di vedere/considerare l'abbandono come punto di arrivo,e non di partenza. Nel senso di "preparare il terreno" affinchè possa succedere. Ed alla base affinchè questo possa succedere ci deve essere - a mio avviso - un buon equilibrio interiore.
Lasciando per un attimo da parte Heidegger,vorrei provare a fare un mix tra oriente ed occidente,nel senso di culture od aspetti culturali legati allo specifico tema. I giapponesi,ma potrei citare gli indiani od i cinesi,vedono la "pazienza" come equilibrio interiore. Per loro essa è molto importante. Chi è paziente è forte. Pazienza vuol dire trattenere le tendenze alle 7 emozioni: odio,adorazione,gioia,angoscia,collera,dolore,paura. Se non si lascia via libera - secondo loro - a queste sette, sarete "pazienti" e presto si capirà la sostanza delle cose e si potrà essere in armonia con chi e cosa ci circonda,per l'eternità. Per semplificare cito alcuni brani tratti da un libro di Vimala Thakar :
" Bisogna imparare che cos'è l'osservazione. Se io sono colui che esperisce, allora verrò coinvolto nel processo di esperire, e non sarò capace di osservare il movimento della mente. [...]
Mentre sedevamo per qualche minuto in silenzio, dovete aver notato il pianto di un bambino. La mente faceva resistenza? Se la mente resiste allora c'è una frizione, e la frizione sfocia nella noia e nell'irritazione, e lo stato di osservazione va perduto. Ogni reazione nasce dalla resistenza. [...] Non resistete [...]. Avete mai notato le resistenze agli eventi della vita? [...] L'emozione crea una resistenza, una divisione. Voi volete interpretare l'evento, identificarlo, riconoscerlo, valutarlo, dargli un'etichetta e collocarlo nella memoria sotto qualche categoria, in modo che tale esperienza vi sia utile per un'ulteriore interpretazione degli eventi. Desideriamo avere una difesa, e le esperienze sono parte del meccanismo di difesa, così come lo è la conoscenza. Abbiamo paura di essere esposti alla vita, di vivere in uno stato di innocenza, di assoluta, incondizionata vulnerabilità al nudo tocco della vita così com'è [...]. Vogliamo coltivare le resistenze, acquisire risposte sotto forma di esperienza, immagazzinarle nella memoria, cosicché si possa aprire il cassetto o lo schedario della memoria, riferirsi a esso ogni qualvolta ci sia una sfida e tirar fuori la risposta condizionata. [...]
Avete notato quanto è monca, sbilanciata la crescita dell'uomo? Egli ha raffinato il cervello perdendo l'eleganza della semplicità; ha perso la capacità di guardare le cose senza nessun movente, con innocenza, senza trasformare l'atto e l'oggetto di osservazione in un mezzo volto a un fine. L'eleganza, la bellezza della semplicità e dell'innocenza sono perse per l'uomo. Occorre crescere verso la vulnerabilità, la tenerezza, la duttilità della meditazione e allora soltanto l'uomo sarà degno del proprio nome.
[...] L'uomo vive in uno stato più o meno nevrotico. Le nostre risposte sono inibite, le nostre percezioni condizionate. Non c'è alcuna spontaneità nella vita. Soltanto un processo meccanico di reazione in conformità con il condizionamento, la tradizione, le ambizioni, i movimenti personali e così via. [...]
Occorre stare quietamente con se stessi per un po' di tempo a osservare il movimento del pensiero, nello stato di osservazione. Bisogna impararlo, perché, non appena vi ponete nello stato di osservazione, riemerge la vecchia abitudine dell'introspezione, della valutazione. In una frazione di secondo lo stato di osservazione può andar perduto: allora diventate il giudice, colui che fa, colui che esperisce. Bisogna educarsi di giorno in giorno. [...] Non è facile quello stato di osservazione in cui non fate qualcosa, in cui non siete attivi, né inattivi, in cui non state oziando e nemmeno non facendo; in cui l'attività mentale dualistica è tenuta in acquiescenza e resta attiva soltanto l'osservazione, né colui che fa, né colui che esperisce" .
Karate kid....."Dai la cera, togli la cera"
Scusa mi è venuta questa sintesi :mexican:
Karate kid.....
Bellissimo questo passo!! Grazie.Ho pensato di vedere/considerare l'abbandono come punto di arrivo,e non di partenza. Nel senso di "preparare il terreno" affinchè possa succedere. Ed alla base affinchè questo possa succedere ci deve essere - a mio avviso - un buon equilibrio interiore.
Lasciando per un attimo da parte Heidegger,vorrei provare a fare un mix tra oriente ed occidente,nel senso di culture od aspetti culturali legati allo specifico tema. I giapponesi,ma potrei citare gli indiani od i cinesi,vedono la "pazienza" come equilibrio interiore. Per loro essa è molto importante. Chi è paziente è forte. Pazienza vuol dire trattenere le tendenze alle 7 emozioni: odio,adorazione,gioia,angoscia,collera,dolore,paura. Se non si lascia via libera - secondo loro - a queste sette, sarete "pazienti" e presto si capirà la sostanza delle cose e si potrà essere in armonia con chi e cosa ci circonda,per l'eternità. Per semplificare cito alcuni brani tratti da un libro di Vimala Thakar :
" Bisogna imparare che cos'è l'osservazione. Se io sono colui che esperisce, allora verrò coinvolto nel processo di esperire, e non sarò capace di osservare il movimento della mente. [...]
Mentre sedevamo per qualche minuto in silenzio, dovete aver notato il pianto di un bambino. La mente faceva resistenza? Se la mente resiste allora c'è una frizione, e la frizione sfocia nella noia e nell'irritazione, e lo stato di osservazione va perduto. Ogni reazione nasce dalla resistenza. [...] Non resistete [...]. Avete mai notato le resistenze agli eventi della vita? [...] L'emozione crea una resistenza, una divisione. Voi volete interpretare l'evento, identificarlo, riconoscerlo, valutarlo, dargli un'etichetta e collocarlo nella memoria sotto qualche categoria, in modo che tale esperienza vi sia utile per un'ulteriore interpretazione degli eventi. Desideriamo avere una difesa, e le esperienze sono parte del meccanismo di difesa, così come lo è la conoscenza. Abbiamo paura di essere esposti alla vita, di vivere in uno stato di innocenza, di assoluta, incondizionata vulnerabilità al nudo tocco della vita così com'è [...]. Vogliamo coltivare le resistenze, acquisire risposte sotto forma di esperienza, immagazzinarle nella memoria, cosicché si possa aprire il cassetto o lo schedario della memoria, riferirsi a esso ogni qualvolta ci sia una sfida e tirar fuori la risposta condizionata. [...]
Avete notato quanto è monca, sbilanciata la crescita dell'uomo? Egli ha raffinato il cervello perdendo l'eleganza della semplicità; ha perso la capacità di guardare le cose senza nessun movente, con innocenza, senza trasformare l'atto e l'oggetto di osservazione in un mezzo volto a un fine. L'eleganza, la bellezza della semplicità e dell'innocenza sono perse per l'uomo. Occorre crescere verso la vulnerabilità, la tenerezza, la duttilità della meditazione e allora soltanto l'uomo sarà degno del proprio nome.
[...] L'uomo vive in uno stato più o meno nevrotico. Le nostre risposte sono inibite, le nostre percezioni condizionate. Non c'è alcuna spontaneità nella vita. Soltanto un processo meccanico di reazione in conformità con il condizionamento, la tradizione, le ambizioni, i movimenti personali e così via. [...]
Occorre stare quietamente con se stessi per un po' di tempo a osservare il movimento del pensiero, nello stato di osservazione. Bisogna impararlo, perché, non appena vi ponete nello stato di osservazione, riemerge la vecchia abitudine dell'introspezione, della valutazione. In una frazione di secondo lo stato di osservazione può andar perduto: allora diventate il giudice, colui che fa, colui che esperisce. Bisogna educarsi di giorno in giorno. [...] Non è facile quello stato di osservazione in cui non fate qualcosa, in cui non siete attivi, né inattivi, in cui non state oziando e nemmeno non facendo; in cui l'attività mentale dualistica è tenuta in acquiescenza e resta attiva soltanto l'osservazione, né colui che fa, né colui che esperisce" .
Del abbandono no? O non ho capito un tubo...novizia de che
Esatto!!! :up:Del abbandono no? O non ho capito un tubo...
novizia de che