molto lungo ma sconcertante...cose che non vediamo noi che stiamo bene...
La famiglia nel processo migratorio/Mamme a distanza e “orfani bianchi”: gli invisibili della immigrazione
Il 2 dicembre si è celebrata la Giornata mondiale per l’abolizione della schiavitù. Oggi, 21 milioni di donne, uomini e bambini sono vittime della cosiddetta schiavitù moderna: matrimoni e lavori forzati, lavoro minorile, tratta, sfruttamento sessuale, colf sfruttate e bimbi soldato.
Oltre 5 milioni gli stranieri oggi in Italia, in maggioranza regolari, riferisce la Fondazione Ismu. Tra questi:
Il 73,4% ha figli, per lo più rimasti nei paesi di origine
Il 73,3% non ha ricevuto una formazione specifica nella cura alla persona
Il 72,2% invia i risparmi nei paesi di origine, soprattutto per sostenere la famiglia, la crescita e lo studio dei figli
Il 66,5% si occupa della cura delle persone e il 63,2% delle faccende domestiche (per cui le due funzioni spesso si sovrappongono)
Il 33,6% non fruisce di un giorno e mezzo di riposo alla settimana (previsto dal contratto collettivo nazionale del comparto)
Il 76,9% pensa al rimpatrio, da effettuare a lungo o breve termine (specialmente tra i coniugati)
L’88,4% non partecipa a realtà associative (a carattere religioso, etnico, professionale o sportivo). – Dossier immigrazione
http://www.dossierimmigrazione.it/docnews/file/2013_Scheda_UniCredit Colf.pdf
l’11% del PIL lo producono i lavoratori di origine straniera. Quasi il 12% delle aziende hanno il titolare di origine straniera e danno lavoro ad altre persone senza distinzione di provenienze. Una parte importante delle pensioni degli anziani vengono pagate nella maggior parte grazie ai contributi dei lavoratori di origine straniera.
Circa 1.200.000 sono i romeni presenti in Italia, di cui 53% donne tra 25-45 anni, che sono state impegnate prevalentemente nel servizio della cura delle famiglie, permettendo alle donne italiane di entrare nel mercato di lavoro. Queste lavoratrici hanno contribuito al riassorbimento dei squilibri del sistema di welfare, lavorando accanto alle famiglie italiane e sostenendo insieme la spessa sanitaria italiana, rimasta invariata dal 2008 ad oggi.
Un milione 600mila sono i collaboratori famigliari in Italia che si occupano di assistenza agli anziani o persone non autosufficienti e di baby sitting. L’Italia è l’unico paese al mondo ad avere un così alto numero di collaboratori familiari: questo numero salirà a 2 milioni 151 mila nel 2030 (Censis e Ismu). Si tratta prevalentemente di stranieri (77,3%) e donne (82,4%), tra i 36 e 50 anni (56,8%), con livelli culturali e di istruzione molto vari e spesso livelli scolastici alti, che grazie a questi lavori in Italia sostengono anche le famiglie di origine.
Sono 893.000 le donne registrate all’INPS come assistenti familiari, di cui il 50% extra-comunitarie e il 35% neo-comunitarie (Romania e Polonia). Il 75% di queste donne ha figli nel Paese di Origine (fonte: Rapporto CISF 2014).
La migrazione economica ha indubbiamente effetti positivi, ma oggi vorrei fare riferimento agli orfani della migrazione, i cosi detti orfani bianchi e alle loro mamme lontane.
Gli “orfani bianchi”, chiamati anche orfani della globalizzazione, sono i bambini lasciati soli nel loro Paese di origine perché i genitori sono andati a lavorare all’estero. Si tratta di una categoria particolare, perché sono minori abbandonati a se stessi, ma che non rientrano nei piani dell’assistenza sociale finché non succede qualcosa di grave. In totale, se ne stimano 80mila, di cui 20mila hanno entrambi i genitori all’estero per lavoro. Il Ministero del Lavoro afferma che sono probabilmente 5 volte più (350.000 comunicati da UNICEF nel 2010), ma una statistica ufficiale ancora non esiste. “Hanno problemi psicologici, un alto tasso di abbandono scolastico Spesso vengono lasciati ai parenti, affidati ad altre famiglie, o, peggio ancora, rinchiusi in istituti e orfanotrofi, dove si stima, ce ne siano ben 60mila. Si deve evitare questi bambini diventino preda della delinquenza o del traffico di esseri umani perché non esistono misure studiate per proteggerli” (ha affermato Nils Muižnieks, commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa). L’80% dei bambini lasciati a casa si ammalano gravemente di nostalgia per i genitori con gravi conseguenze sulla loro personalità.
Gli “orfani bianchi” – un fenomeno globale
I bambini “Left Behind” (orfani bianchi) in Cina: 58 milioni di minori; in Philippine, quasi 9 milioni. In Repubblica Moldova, IOM ha estimato sui 177,000 minori (UNICEF Salah 2008).
http://icmhd.wordpress.com/2013/08/12/migration-displacement-and-children-left-behind-clbs/
Gli orfani della globalizzazione crescono lontani dalle madri, con sentimenti di ambivalenza, sicuramente provando a immaginare la vita della madre ma quasi sempre senza riuscire a farlo nei suoi termini reali. Perché tra chi rimane e chi parte si crea sempre questo equivoco: che lì, nel Paese ricco, la vita sia facile e comoda.
In Romania i mass media parlano di oltre 40 casi di bambini che si sono suicidati perché la madre era andata a lavorare a l’estero. Una statistica ufficiale non esiste. Anche i bambini che rimangono a vivere con il padre subiscono contraccolpi psicologici e viceversa, perché il padre rischia di perdere la propria identità.
Una soluzione potrebbe essere anche il facilitare la comunicazione audio-visiva gratuita, frequente e costante tra i bambini rimasti in Romania e i loro genitori che si trovano per ragioni di lavoro in Italia con lo scopo di prevenire e diminuire i casi di disaggio sociale.
Mettere in contatto la famiglia accorciando le distanze può anche migliorare la vita psico-affettiva dei bambini, delle loro mamme (genitori) e degli altri membri della famiglia rimasti a casa, sostenendo anche il ruolo della genitorialità e della famiglia a distanza. Servono anche in Italia politiche sociali che aiutino le madri lavoratrici a conciliare la vita lavorativa in Italia, per permettere a queste donne di poter portare i propri bambini con sé o di conciliare il proprio lavoro con le esigenze della famiglia lontana per ridurre l’abbandono scolastico, mantenere i legami con la madrelingua e la Patria e l’integrazione dei romeni e non solo nella vita socio-culturale del paese adottivo.
Dal 2005 nel gergo medico internazionale si usa la diagnosi “Sindrome d’Italia” – una forma di depressione profonda, insidiosa, che mette a rischio la salute, a volte anche la vita e indica un malessere composito, che riguarda madri (partite per l’Italia per fare le badanti o le baby sitter, comunque impegnarsi nel cosiddetto lavoro di cura) e figli (rimasti senza madre e senza cura). Si chiama italiana perché l’Italia è il paese con il maggior numero di assistenti famigliari in Europa. A nominarla, per la prima volta, fu un gruppo internazionale di medici (furono nel 2005 Andriy Kiselyov e Anatoliy Faifrych, due psichiatri di Ivano-Frankivs’k, nella zona occidentale dell’Ucraina). Disturbi identitari, profonda solitudine e l’affievolirsi del senso materno furono i sintomi riscontrati nelle donne che avevano lavorato in Italia, spesso con turni no stop di 24 ore, inserite in nuclei famigliari non propri e separate, oltre che dai propri cari, dall’ambiente circostante. Tra i motivi il orario quasi continuo di lavoro e la mancanza di spazi per socializzare.
Il fenomeno ovviamente non riguardava solo le donne ucraine, ma anche le romene, le moldave, le polacche, filippine, marocchine, le peruviane.
Quando si verifica un dramma, è la madre a essere messa sul banco degli imputati, a ricevere le accuse più aspre. Quelli che rimangono in Romania, che non hanno bisogno di partire per mantenere la propria famiglia, criticano la loro decisione, non la capiscono fino in fondo. Riusciamo a immaginare cosa significhi accudire un bambino di due anni mentre dall’altra parte del mondo c’è il nostro bambino, che ha la stessa età ed è accudito da qualcun altro? E’ una lacerazione incurabile: occuparsi dei figli o dei parenti degli altri invece che dei propri, della vita degli altri invece che della propria.
Questo malessere sociale delle madri migranti chiede di essere riconosciuto e fronteggiato a livello internazionale.
Fare la badante significa vivere nella stessa casa dell’anziano assistito, lavorare senza sosta, trascorrere notti in bianco. Portare con sé i bambini spesso è impossibile. In tante sviluppano forme di asma, stanno male, hanno sguardi vuoti e assenti. Non è normale che si faccia una vita del genere. E i bambini percepiscono il malessere delle mamme. Alcuni si suicidano proprio perché pensano che così le mamme tornano a casa e smettono di soffrire. Secondo un’indagine di Acli Colf, il 39,4% delle badanti dice di soffrire di insonnia, e il 33,9% di ansia o depressione. Una su tre, nell’ultimo anno, non è mai andata da un medico a controllare il proprio stato di salute, e tra le under 35 il dato sale al 44,2 per cento. Queste donne si sentono invecchiare insieme agli anziani che curano. Non hanno più 20 anni, ma 70.
La “sindrome italiana” è l’altra faccia della medaglia degli orfani bianchi, l’altra faccia dell’assenza di servizi pubblici che porta le donne italiane (su cui ricade ancora il 70% del tempo della cura della famiglia) che vogliono entrare nel mondo del lavoro a rivolgersi ad altre donne, più povere.
La situazione è ancora più grave in Moldavia: qui il numero dei suicidi tra i preadolescenti è altissimo, e il governo ha avviato una campagna di informazione e sostegno per le emigrate e le loro famiglie. Cosa che in Romania ancora non esiste. Sarebbe utile mettere le lavoratrici in condizioni di poter avere la loro vita privata, conciliare il lavoro con la vita privata. Manca la prevenzione, ma anche il supporto delle famiglie a distanza, sia lo Stato di partenza sia lo Stato di arrivo sono responsabili di questo disagio. È un fenomeno sottovalutato a livello europeo.
Facendo seguito al servizio televisivo andato in onda il 27 ottobre 2014 su “LA7″ (
http://www.la7.it/piazzapulita/video/i-nuovi-schiavi-27-10-2014-139473), che ha messo in luce una situazione diffusa di sfruttamento, prossima alla riduzione in stato di schiavitù ai danni di numerosi lavoratori di nazionalità romena, l’Associazione Donne Romene in Italia ha presentato un esposto-denuncia alla Procura della Repubblica di Ragusa affinché vengano accertati tutti i fatti di reato emersi nel servizio di “Piazza Pulita”. Come presidente dell’associazione A.D.R.I. ho ritenuto doveroso intraprendere questa iniziativa in quanto i fatti denunciati nel servizio televisivo sono di una estrema gravità. Fermo restando che l’Italia è un paese civile che assicura i diritti fondamentali delle persone, ciò che abbiamo appreso merita una risposta ferma e decisa: donne sfruttate, ricattate e violentate; uomini minacciati e sfruttati. Tutto ciò deve cessare. Confidiamo nelle indagini della magistratura e siamo certi che la verità verrà a galla e giustizia sarà fatta.
A volte, succede che, dopo un tot di anni, i bambini raggiungono le madri in Occidente. A volte il passaggio è felice. Molto spesso però segna l’inizio di un nuovo dramma. I figli arrivano senza avere affatto le idee chiare su cosa sia l’Occidente e coltivando comprensibili sogni di consumo. Trovano ad accoglierli una realtà diversa e in genere molto dura e la mamma o i genitori tutto il giorno fuori casa, un ambiente ostile. Questi ragazzi e le loro famiglie hanno bisogno di sostegno, di mediare i loro rapporti interrotti. Di recente è stato proposto un congedo dal lavoro per gli immigrati per motivi di ricongiungimento familiare, ad esempio, per poter permettere una migliore integrazione dei figli che raggiungono le madri.
Ne siamo tutti vittime
La società tutta è la vera vittima, non solo le madri e i bambini che stanno pagando il prezzo più alto, perché la sofferenza di una famiglia che vive distante e si disgrega si propaga è le conseguenze colpiscono tutti noi. Servono politiche di welfare transnazionale mirate a supporto e tutela delle famiglie migratorie, dell’unità familiare e dell’ricongiungimento familiare.
“La famiglia è la prima cellula di una società e la fondamentale comunità in cui sin dall’infanzia si forma la personalità degli individui.
La famiglia è il nucleo della società e precede la formazione dello Stato.”