Senso di colpa

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Brunetta

Utente di lunga data
Ok..adesso ho capito.

E' su quel "attenuerà" "trasformerà" che non ci sono totalmente.

Tenendo fermo l'esempio della presunzione, che è uno dei tanti che si può usare, io non penso che si attenuerà.
E' una parte che mi costituisce. E definisce in interscambio anche con tutto il resto.

Un ingrediente fondante.

Tu usi l'esempio della cattedrale, (bello!), io penso ad una torta (ultimamente sto scoprendo i dolci!!).
Meglio sono bilanciati gli ingredienti fra loro più gustosa è la torta.

Certo posso decidere di togliere alcuni ingredienti, ma cambio la torta a quel punto.

E siccome noi non siamo semplici torte e non possiamo togliere o mettere a piacimento ingredienti al nostro essere, io penso che cercare nello squilibrio un equilibrio fra le varie parti possa portare ad un'interezza che permette benessere sempre maggiore, in relazione con me stessa e poi nel mondo.

Ecco perchè non penso che smetterò di essere presuntuosa. Lo sono.

Saperlo e riconoscermelo mi permette di lasciar spazio all'umiltà, che è un altro ingrediente che mi riconosco. Anzichè usare le mie energie a cercare di non essere quella che sono.
La presunzione potrà sembrare attenuata, ma semplicemente io credo sia migliormente bilanciata.

Ricordi l'assunto per cui "il tutto è molto più della somma delle sue parti"?

Ecco, io penso che quel "di più" riguardi non tanto le parti, quanto il modo in cui le parti vengono lasciate in interazione fra di loro.

Un po' un giocare con se stessi tendendo alla formazione migliore possibile.

Poi ecco, il primo assunto che io sento di avere nei confronti del mondo e che voglio dal mondo nei miei confronti, è l'autenticità. L'essere vera e che sia vero.

E il mio senso di giustizia riguarda fondamentalmente il dire la verità. E tendere alla chiarezza e alla trasparenza.

Il senso di colpa è un velo esattamente alla verità e alla chiarezza.

"Ho tradito. Chi io?????
Nooooo. Io non lo farei mai. Io non sono così."

E giù di sensi di colpa. Che vengono scaricati sull'altro alla ricerca di una fantomatica assoluzione che non cambia in nessun modo i fatti e il dolore. E più che altro non cambia ciò che si è.

E quel giochetto secondo me non permette assunzione del proprio essere come è.
Anche se è molto diverso da ciò che ci si era prefigurati nell'immaginario di sè.
E da ciò che ho fatto credere di essere. E magari non volutamente.
Ma semplicemente perchè se non mi dico la verità su me stesso non posso neanche dirla all'altro.

Ecco perchè io credo che tante persone non si assumano la responsabilità di certe azioni. Semplicemente non ci si riconoscono dentro.
Specialmente quando l'immagine di sè, dichiarata a sè e al mondo, è molto distante dalla realtà.

E più è ampio quello spazio, meno c'è riconoscimento.
E a quel punto anche il senso di colpa decade fino a scomparire.
Nella non assunzione di responsabilità di tanti che fanno e poi sembra non sia successo nulla.

E la mia non è giustificazione.

Credo che il non ricercare consapevolezza di sè e del proprio modo di porsi nel mondo sia una delle maggiori lacune che si possano avere.
Raccontarsela, per dirla male.

E raccontarsela, usando i diversi stratagemmi, resta un non dire la verità. E neanche un ricercarla.

Le torte vengono buone a volte diminuendo lo zucchero o il burro o aggiungendo un po' di limone. E restano la stessa torta. Per quanto riguarda la presunzione nel tempo si trasforma per l'azione della consapevolezza e dell'esperienza che ridimensiona tutto.
 

Brunetta

Utente di lunga data

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Le torte vengono buone a volte diminuendo lo zucchero o il burro o aggiungendo un po' di limone. E restano la stessa torta. Per quanto riguarda la presunzione nel tempo si trasforma per l'azione della consapevolezza e dell'esperienza che ridimensiona tutto.
Esatto. Bilanciamento attraverso il riconoscimento del fatto che quegli ingredienti non possono essere tolti o ignorati, ma dosati. e il dosaggio di uno riguarda il dosaggio del'altro.

In interazione.

Ma senza riconoscere quegli ingredienti separatamente e in interazione fra di loro, non si può dosare e neanche bilanciare.

L'esperienza e l'assunzione di responsabilità della propria presenza "molteplice" in quella esperienza, secondo me riguarda esattamente il bilanciare. il ridimensionamento è conseguenza, ed è dinamico fra l'altro.

In certe situazioni, il mio essere presuntuosa per esempio, si rivela una risorsa. Se io la negassi in toto non potrei "usarla" e neanche governarla aprendo il rubinetto di altre caratteristiche, per esempio mescolandola all'umiltà e cercando la miscela più adatta fra le due. (sempre semplificando di molto eh).

Negarmela, sentendomici in colpa, fra l'altro, mi espone ad esserne schiava.

Un po' come chi credeva che non avrebbe mai tradito e tradisce...e di botto si ritrova catapultato in una situazione di cui non si sa spiegare nulla. E la subisce. Cercando nel fuori risposte e accomodamenti.
E togliendosi così la possibilità di conoscere anche parti che si credeva impossibili.
E facendo anche danni nel mondo. E nelle persone.
 

spleen

utente ?
Ciao:)

sono d'accordo sul fatto che migliorare se stessi presupponga un'immagine differente di sè.
Io sono nel passaggio prima. (che poi prima non è corretto, che le cose secondo me viaggiano in circolarità, ma serve per individuare sequenze)

E cioè che un'autentica immagine differente di sè, presuppone una effettiva conoscenza di sè e dell'immagine che si ha e che di conseguenza si espone nel mondo.

Se mi racconto storie su di me, usando anche il senso di colpa come mezzo per non avvicinarmi a ciò che sono anche in quelle parti che mi rendono non piacevole e distante dalle attese valoriali, io la vedo difficile tendere ad un reale miglioramento.

Migliorerò un'immagine che non corrisponde a ciò che sono.

E a me sembra una maschera a quel punto.

Il senso di colpa io credo sia uno stimolo a togliere la maschera.
Navigarci dentro serve a tenersela ben vicina al viso quella maschera.

L'onestà io credo che riguardi il rispondere alla tensione di autenticità.

E poi c'è l'aspetto della speranza. Il riconoscimento della possibilità di un - meglio di così- che non strida con ciò che è dentro.

Questa speranza non è scontata. E non riguarda l'autostima.

Riguarda, per la mia esperienza, la rassegnazione al non potersi guardare interamente. Al non poter dire la verità.
Al dover mantenere il segreto di sè.
Sì, ecco perchè chi si è dannato da solo perde la speranza e smette di cercarsi.

Sai cosa dice la religione (reminescenza catechistica): L'unico peccato imperdonabile è quello contro lo spirito santo, cioè contro la speranza di essere perdonati, che è anche la speranza di redimersi.

Il -meglio di così- potremmo averlo dentro da sempre, potrebbe essere lì, a ricordarci quello che siamo e a richiamarci all' intima adesione a quello che dovremmo essere, perchè non solo non stride, ma è la vera interpretazione di noi stessi, forse.
Potremmo chiamarla coscienza?
 

disincantata

Utente di lunga data
Vi capita mai di pensare:
-Ma io sono meglio di così!-
Riferito al vostro comportamento con gli altri, al netto della stima sulle vostre capacità.

A me si, spesso, solo per la raccolta differenziata. Lavo tutto e divido tutto in modo maniacale. Raccolgo anche tutto quello che posso,buttato da altri, qui e' facilissimo, lavo e divido. Ancora non ho trovato chi lo fa meglio di me.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Sì, ecco perchè chi si è dannato da solo perde la speranza e smette di cercarsi.

Sai cosa dice la religione (reminescenza catechistica): L'unico peccato imperdonabile è quello contro lo spirito santo, cioè contro la speranza di essere perdonati, che è anche la speranza di redimersi.

Il -meglio di così- potremmo averlo dentro da sempre, potrebbe essere lì, a ricordarci quello che siamo e a richiamarci all' intima adesione a quello che dovremmo essere, perchè non solo non stride, ma è la vera interpretazione di noi stessi, forse.
Potremmo chiamarla coscienza?
Io non penso che esista il perdono. Inteso come assoluzione. E liberazione. E non penso esista neanche la redenzione.

Ma penso, sento, che accettare l'imperdonabilità e la non possibilità di redenzione è pace.

Che l'intima adesione passa anche dalle brutture.

O perlomeno per me così è stato. Ed è. Io passo principalmente per le brutture di me. Innanzitutto.
Ma è il mio imprinting e non posso prescindere. Non penso sia per tutti così.

Anche se penso che non possa esistere intima adesione senza la consapevolezza che la speranza di quel meglio deriva dall'accoglimento di tutto il proprio sè.

Il vuoto interiore in cui si sente lo stridere si tenta di riempirlo in molti modi. Il senso di colpa è uno di quei modi secondo me.

Attraversare quel vuoto. Sedercisi dentro. Senza cercare di velarlo ai propri occhi. Lasciandolo vuoto.
E accettare la bellezza, nella sua pienezza, che è bruttura e orrore e anche meraviglia e stupore.
Io credo sia questa la soglia per l'intima adesione di cui parli.

Poi non so se è coscienza.
Io penso sia un qualcosa di più profondo e innato della coscienza, che è comunque manipolata fin dalla nascita dal contesto.

Non lo so...penso riguardi il moto istintivo alla Vita. E il rispetto istintivo per certi assunti che riguardano la Vita e la Morte.

Per usare un esempio lampante. Io mi sentirei colpevole di aver abusato se usassi aggressività gratuitamente, e per gratuitamente intendo senza un motivo che riguardi il mio Vivere.
So per certo che non sentirei di aver abusato di alcunchè usando aggressività e anche violenza nel caso in cui il mio Vivere fosse messo in pericolo. E dico di più, mi riconoscerei senza difficoltà in quella me feroce.

E il riconoscimento verrebbe dal fatto che quegli agiti sono intimamente aderenti al mio essere profondo.
Quello che appartiene alla Vita. Per quanto si provi a discostarsene.

La parte complessa è quando il sè profondo è velato da attese, aspettative, immagini di dover essere che vengono dall'esterno.
Sollevare quei veli, anche rivedendo la morale e non assumendola come cosa data e indiscutibile, è un lavoro di ricerca che credo duri per tutta la vita.

Il senso di giustizia, di cui si è accennato, per esempio, è spesso condizionato dall'interesse e dalla tutela del potere.
Non mettere in discussione questo porta a compiere azioni che esternamente sono aderenti alla giustizia, ma che in realtà riguardano il mantenimento di potere, di pochi o tanti.

E tutto questo ha poco a che vedere con l'intima adesione di cui si parlava.
E il senso di colpa diventa un alibi per mascherare lo stridere fra il fuori e il dentro.
Fino a sparire del tutto quando il riconoscimento è in qualcosa di molto lontano dal proprio essere profondo.

Un po' come i tedeschi che erano vicini ai campi e tacevano e non agivano. Non giudico. Ma credo che sia scattato qualcosa in loro che li ha portati a non riconoscere intimamente che quello che vedevano era un qualcosa di cui erano partecipi e responsabili. E credo avessero scisso ciò che ritenevano giusto intimamente da ciò che accettavano fuori nella non azione.

Qualcuno infatti non è riuscito a rimanere nella non azione. E si è riconosciuto nello stridere. E quello stridere ha seguito cercando altro che non fosse adesione ad un senso di colpa più o meno strisciante e nascosto.

Non so se sono riuscita a spiegare....
 

spleen

utente ?
Io non penso che esista il perdono. Inteso come assoluzione. E liberazione. E non penso esista neanche la redenzione.

Ma penso, sento, che accettare l'imperdonabilità e la non possibilità di redenzione è pace.

Che l'intima adesione passa anche dalle brutture.

O perlomeno per me così è stato. Ed è. Io passo principalmente per le brutture di me. Innanzitutto.
Ma è il mio imprinting e non posso prescindere. Non penso sia per tutti così.

Anche se penso che non possa esistere intima adesione senza la consapevolezza che la speranza di quel meglio deriva dall'accoglimento di tutto il proprio sè.

Il vuoto interiore in cui si sente lo stridere si tenta di riempirlo in molti modi. Il senso di colpa è uno di quei modi secondo me.

Attraversare quel vuoto. Sedercisi dentro. Senza cercare di velarlo ai propri occhi. Lasciandolo vuoto.
E accettare la bellezza, nella sua pienezza, che è bruttura e orrore e anche meraviglia e stupore.
Io credo sia questa la soglia per l'intima adesione di cui parli.

Poi non so se è coscienza.
Io penso sia un qualcosa di più profondo e innato della coscienza, che è comunque manipolata fin dalla nascita dal contesto.

Non lo so...penso riguardi il moto istintivo alla Vita. E il rispetto istintivo per certi assunti che riguardano la Vita e la Morte.

Per usare un esempio lampante. Io mi sentirei colpevole di aver abusato se usassi aggressività gratuitamente, e per gratuitamente intendo senza un motivo che riguardi il mio Vivere.
So per certo che non sentirei di aver abusato di alcunchè usando aggressività e anche violenza nel caso in cui il mio Vivere fosse messo in pericolo. E dico di più, mi riconoscerei senza difficoltà in quella me feroce.

E il riconoscimento verrebbe dal fatto che quegli agiti sono intimamente aderenti al mio essere profondo.
Quello che appartiene alla Vita. Per quanto si provi a discostarsene.

La parte complessa è quando il sè profondo è velato da attese, aspettative, immagini di dover essere che vengono dall'esterno.
Sollevare quei veli, anche rivedendo la morale e non assumendola come cosa data e indiscutibile, è un lavoro di ricerca che credo duri per tutta la vita.

Il senso di giustizia, di cui si è accennato, per esempio, è spesso condizionato dall'interesse e dalla tutela del potere.
Non mettere in discussione questo porta a compiere azioni che esternamente sono aderenti alla giustizia, ma che in realtà riguardano il mantenimento di potere, di pochi o tanti.

E tutto questo ha poco a che vedere con l'intima adesione di cui si parlava.
E il senso di colpa diventa un alibi per mascherare lo stridere fra il fuori e il dentro.
Fino a sparire del tutto quando il riconoscimento è in qualcosa di molto lontano dal proprio essere profondo.

Un po' come i tedeschi che erano vicini ai campi e tacevano e non agivano. Non giudico. Ma credo che sia scattato qualcosa in loro che li ha portati a non riconoscere intimamente che quello che vedevano era un qualcosa di cui erano partecipi e responsabili. E credo avessero scisso ciò che ritenevano giusto intimamente da ciò che accettavano fuori nella non azione.

Qualcuno infatti non è riuscito a rimanere nella non azione. E si è riconosciuto nello stridere. E quello stridere ha seguito cercando altro che non fosse adesione ad un senso di colpa più o meno strisciante e nascosto.

Non so se sono riuscita a spiegare....
Siamo finiti dentro una cosa complessa, bisognerebbe raccontare di noi. Del mio senso di colpa verso quella persona posso solo dire che la cosa che più mi dava a pensare era il senso di irreparabilità del danno inferto. Anche se poi con il tempo ho capito che non era solo mia rsponsabilità, e che la mia, di responsabilità, non era del tutto cosciente.
Non è stato un pensiero comodo, e fugo ogni dubbio sul fatto che sia stato un rifuglio per non agire, anzi devo dire che è servito per prendere coscienza di me, che potevo anche essere -peggio di così -. :D Rispetto ad un me che mi giustificava e perdonava sempre. E devo anche dire che mi ha spalancato gli occhi su una realtà di persone che erano come attori su di un palcoscenico, che recitano un comodo ruolo, e che non lo mettevano mai in discusssione.
L' unica persona che lo ha fatto è diventato uno dei miei più cari amici.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Siamo finiti dentro una cosa complessa, bisognerebbe raccontare di noi. Del mio senso di colpa verso quella persona posso solo dire che la cosa che più mi dava a pensare era il senso di irreparabilità del danno inferto. Anche se poi con il tempo ho capito che non era solo mia rsponsabilità, e che la mia, di responsabilità, non era del tutto cosciente.
Non è stato un pensiero comodo, e fugo ogni dubbio sul fatto che sia stato un rifuglio per non agire, anzi devo dire che è servito per prendere coscienza di me, che potevo anche essere -peggio di così -. :D Rispetto ad un me che mi giustificava e perdonava sempre. E devo anche dire che mi ha spalancato gli occhi su una realtà di persone che erano come attori su di un palcoscenico, che recitano un comodo ruolo, e che non lo mettevano mai in discusssione.
L' unica persona che lo ha fatto è diventato uno dei miei più cari amici.
Sì. Infatti credo sia la doppia faccia del senso di colpa.

Quello che dicevo qualche post fa. Ossia può essere un segnale e uno stimolo. Se lo si assume come tale. E ci si guarda dentro non ricercando semplicemente assoluzione o redenzione.

Se invece diventa un limbo in cui ci si accomoda per non guardare, allora è altro. Diventa alibi comodo per non guardare le proprie responsabilità e anche quelle dell'altro.

A volte è molto più comodo assumersi ogni colpa che ammettere la propria impotenza e la propria inadeguatezza in alcune situazioni.
E il senso di colpa si presta a questo giochetto.

Se penso a parti del mio vissuto, io mi riconosco di aver usato il senso di colpa per rimanere nella non azione.
Non mi piace. Ma l'ho fatto.
E l'essermi sentita in colpa non mi giustifica ai miei occhi del mio non decidere. Che è in fondo non assumermi me e le mie azioni.

In altre situazioni sono stata più pronta e ho trasformato il senso di colpa in responsabilità. E ho toccato con mano la differenza. Mi sono piaciuta di più in queste situazioni.

Ma queste non mi sollevano dalle altre. E non sono redenta e neanche perdonata.

La tensione alla chiarezza che sento è lo scegliere, al bivio, l'assunzione di responsabilità invece del senso di colpa e fare la fatica di prendere una posizione anche scomoda con me stessa e agire. In connessione con me.

Anche se la connessione con me a volte significa disconnessione da quello che mi circonda. Con quello che comporta.
 

spleen

utente ?
Sì. Infatti credo sia la doppia faccia del senso di colpa.

Quello che dicevo qualche post fa. Ossia può essere un segnale e uno stimolo. Se lo si assume come tale. E ci si guarda dentro non ricercando semplicemente assoluzione o redenzione.

Se invece diventa un limbo in cui ci si accomoda per non guardare, allora è altro. Diventa alibi comodo per non guardare le proprie responsabilità e anche quelle dell'altro.

A volte è molto più comodo assumersi ogni colpa che ammettere la propria impotenza e la propria inadeguatezza in alcune situazioni.
E il senso di colpa si presta a questo giochetto.

Se penso a parti del mio vissuto, io mi riconosco di aver usato il senso di colpa per rimanere nella non azione.
Non mi piace. Ma l'ho fatto.
E l'essermi sentita in colpa non mi giustifica ai miei occhi del mio non decidere. Che è in fondo non assumermi me e le mie azioni.

In altre situazioni sono stata più pronta e ho trasformato il senso di colpa in responsabilità. E ho toccato con mano la differenza. Mi sono piaciuta di più in queste situazioni.

Ma queste non mi sollevano dalle altre. E non sono redenta e neanche perdonata.

La tensione alla chiarezza che sento è lo scegliere, al bivio, l'assunzione di responsabilità invece del senso di colpa e fare la fatica di prendere una posizione anche scomoda con me stessa e agire. In connessione con me.

Anche se la connessione con me a volte significa disconnessione da quello che mi circonda. Con quello che comporta.
Infatti sei Ipazia. :D

Scusami, non ho resistito. Trovo irresistibili in effetti certi nomi che una volta venivano dati persino alle persone.

Sul perdono in linea teorica sono d'accordo con te, sul concetto di redenzione in effetti avrei qualcosa da dire, ma non ora.
 
Ultima modifica:

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Infatti sei Ipazia. :D

Scusami, non ho resistito. Trovo irresistibili in effetti certi nomi che una volta venivano dati persino alle persone.
:D:D...in effetti...:D

Pensa che uno dei passaggi, riportati e quindi non certi che la riguardano, che mi ha affascinata mentre leggevo di lei era questo. E mi aveva innamorata.

"Si racconta che una volta un suo giovane discepolo, bello e gentile: «Ipazia! - le dicesse - Ipazia io muoio d'amore per te!». Ella non si commosse né lo cacciò ma, chiamata una domestica, le comandò di portare panni e filacce che prima aveva tenute su di una piaga, e fattele vedere al giovane, gli disse: «Vedi, la mia bellezza è soltanto apparente, disingannati, poiché anche io sono di carne, di materia vile, cioè, e di putredine!». "

I nomi e il loro uso...sono un argomento su cui si potrebbero fare lunghissimi OT. :)

edit: sul concetto di redenzione ci sarebbe molto da dire in effetti, ne uscirebbe una cosa lunghissima:D
 
Ultima modifica:

Nobody

Utente di lunga data
Per usare un esempio lampante. Io mi sentirei colpevole di aver abusato se usassi aggressività gratuitamente, e per gratuitamente intendo senza un motivo che riguardi il mio Vivere.
So per certo che non sentirei di aver abusato di alcunchè usando aggressività e anche violenza nel caso in cui il mio Vivere fosse messo in pericolo. E dico di più, mi riconoscerei senza difficoltà in quella me feroce.
ciao :)
De Andrè cantava:

"Ed ora imparo un sacco di cose in mezzo agli altri vestiti uguali, tranne quale il crimine giusto per non passare da criminali. Ci hanno insegnato la meraviglia verso la gente che ruba il pane, ora sappiamo che è un delitto il non rubare quando si ha fame."

Ogni azione va contestualizzata al momento e alla situazione presente. L'aggressività (e la violenza che può scaturirne) è presente in natura ed è stupido demonizzarla. Perchè in determinate situazioni è vitale e necessaria.
 

Nobody

Utente di lunga data
:D:D...in effetti...:D

Pensa che uno dei passaggi, riportati e quindi non certi che la riguardano, che mi ha affascinata mentre leggevo di lei era questo. E mi aveva innamorata.

"Si racconta che una volta un suo giovane discepolo, bello e gentile: «Ipazia! - le dicesse - Ipazia io muoio d'amore per te!». Ella non si commosse né lo cacciò ma, chiamata una domestica, le comandò di portare panni e filacce che prima aveva tenute su di una piaga, e fattele vedere al giovane, gli disse: «Vedi, la mia bellezza è soltanto apparente, disingannati, poiché anche io sono di carne, di materia vile, cioè, e di putredine!». "

I nomi e il loro uso...sono un argomento su cui si potrebbero fare lunghissimi OT. :)

edit: sul concetto di redenzione ci sarebbe molto da dire in effetti, ne uscirebbe una cosa lunghissima:D
Mi hai ricordato la storia Zen della monaca :)
In un monastero buddista un monaco si era innamorato perdutamente di una giovane monaca. Un giorno le scrisse un'appassionata lettera d'amore. Il giorno dopo, durante la preghiera comune, lei si alzo e la lesse davanti a tutti, e poi gli disse: se mi ami, amami pubblicamente, davanti al mondo. L'amore se è vero, non deve mai essere nascosto.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
ciao :)
De Andrè cantava:

"Ed ora imparo un sacco di cose in mezzo agli altri vestiti uguali, tranne quale il crimine giusto per non passare da criminali. Ci hanno insegnato la meraviglia verso la gente che ruba il pane, ora sappiamo che è un delitto il non rubare quando si ha fame."

Ogni azione va contestualizzata al momento e alla situazione presente. L'aggressività (e la violenza che può scaturirne) è presente in natura ed è stupido demonizzarla. Perchè in determinate situazioni è vitale e necessaria.
"...certo bisogna farne di strada da una ginnastica d'obbedienza fino ad un gesto molto più umano che ti dia il senso della violenza, però bisogna farne altrettanta per diventare così coglioni da non riuscire più a capire che non esistono poteri buoni.."

E ti quoto pienamente sulla contestualizzazione. Anche del senso di giustizia che spesso parla più di potere applicato e usa i condizionamenti, fra cui il senso di colpa, per gestire il potere stesso. In piccolo e in grande.

E ciao a te!:)
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Mi hai ricordato la storia Zen della monaca :)
In un monastero buddista un monaco si era innamorato perdutamente di una giovane monaca. Un giorno le scrisse un'appassionata lettera d'amore. Il giorno dopo, durante la preghiera comune, lei si alzo e la lesse davanti a tutti, e poi gli disse: se mi ami, amami pubblicamente, davanti al mondo. L'amore se è vero, non deve mai essere nascosto.
ogni cosa vera deve poter stare sotto al cielo. :)
 

Brunetta

Utente di lunga data
Mi hai ricordato la storia Zen della monaca :)
In un monastero buddista un monaco si era innamorato perdutamente di una giovane monaca. Un giorno le scrisse un'appassionata lettera d'amore. Il giorno dopo, durante la preghiera comune, lei si alzo e la lesse davanti a tutti, e poi gli disse: se mi ami, amami pubblicamente, davanti al mondo. L'amore se è vero, non deve mai essere nascosto.
Bellissimo.
Ci farei altre riflessioni.
Ma per oggi no.:up:
 

Nobody

Utente di lunga data
"...certo bisogna farne di strada da una ginnastica d'obbedienza fino ad un gesto molto più umano che ti dia il senso della violenza, però bisogna farne altrettanta per diventare così coglioni da non riuscire più a capire che non esistono poteri buoni.."

E ti quoto pienamente sulla contestualizzazione. Anche del senso di giustizia che spesso parla più di potere applicato e usa i condizionamenti, fra cui il senso di colpa, per gestire il potere stesso. In piccolo e in grande.

E ciao a te!:)
... per quanto voi vi sentiate assolti, siete per sempre coinvolti :)
Si, indurre il senso di colpa è una delle armi più usate da chi esercita il potere. Magari in piccolo, nel nucleo familiare... o in grande, come un governo verso i suoi cittadini.
E ne abbiamo un esempio lampante proprio in questi giorni. Chi comanda decide di bombardare, di saccheggiare, di creare il caos... poi i frutti avvelenati che nascono da questo agire criminale ci ricadono addosso, e loro ad arte dopo aver causato tutto questo ci fanno pure sentire in colpa.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
... per quanto voi vi sentiate assolti, siete per sempre coinvolti :)
Si, indurre il senso di colpa è una delle armi più usate da chi esercita il potere. Magari in piccolo, nel nucleo familiare... o in grande, come un governo verso i suoi cittadini.
E ne abbiamo un esempio lampante proprio in questi giorni. Chi comanda decide di bombardare, di saccheggiare, di creare il caos... poi i frutti avvelenati che nascono da questo agire criminale ci ricadono addosso, e loro ad arte dopo aver causato tutto questo ci fanno pure sentire in colpa.
"...Per strada tante facce non hanno un bel colore, qui chi non terrorizza si ammala di terrore, c'è chi aspetta la pioggia per non piangere da solo..." :)
Già.

E' un legaccio sociale dalle molteplici sfaccettature. Che fra l'altro mette in condizione di dover dipendere dall'esterno per una sua risoluzione. Che sia tramite la confessione, il sacrificio, l'espiazione, la redenzione.

Il tutto nella dicotomia giusto/sbagliato assunta come assioma.

Un buon terreno per la dipendenza. E per tutto ciò che ne consegue.
 

Nobody

Utente di lunga data
"...Per strada tante facce non hanno un bel colore, qui chi non terrorizza si ammala di terrore, c'è chi aspetta la pioggia per non piangere da solo..." :)
Già.

E' un legaccio sociale dalle molteplici sfaccettature. Che fra l'altro mette in condizione di dover dipendere dall'esterno per una sua risoluzione. Che sia tramite la confessione, il sacrificio, l'espiazione, la redenzione.

Il tutto nella dicotomia giusto/sbagliato assunta come assioma.

Un buon terreno per la dipendenza. E per tutto ciò che ne consegue.
"intellettuali d'oggi, idioti di domani, ridatemi il cervello che basta alle mie mani..." :)

Assolutamente si.
 

Brunetta

Utente di lunga data
Mi hai ricordato la storia Zen della monaca :)
In un monastero buddista un monaco si era innamorato perdutamente di una giovane monaca. Un giorno le scrisse un'appassionata lettera d'amore. Il giorno dopo, durante la preghiera comune, lei si alzo e la lesse davanti a tutti, e poi gli disse: se mi ami, amami pubblicamente, davanti al mondo. L'amore se è vero, non deve mai essere nascosto.
Su questa cosa ho riflettuto a lungo.
L'amore non solo non deve essere nascosto ma esige che sia pubblico, ufficiale e proclamato e riconosciuto.
Per me perché vuole essere creduto e chiede testimoni.
Tutto ciò in cui si crede e ci si vuole impegnare richiede la proclamazione che implica assunzione di responsabilità.
E da qui nasce il matrimonio, nelle sue varie forme storicamente e culturalmente definite, non è solo richiesta di tutela, è più desiderio di dare tutele, è prendersi cura.
 

Fantastica

Utente di lunga data
Su questa cosa ho riflettuto a lungo.
L'amore non solo non deve essere nascosto ma esige che sia pubblico, ufficiale e proclamato e riconosciuto.
Per me perché vuole essere creduto e chiede testimoni.
Tutto ciò in cui si crede e ci si vuole impegnare richiede la proclamazione che implica assunzione di responsabilità.
E da qui nasce il matrimonio, nelle sue varie forme storicamente e culturalmente definite, non è solo richiesta di tutela, è più desiderio di dare tutele, è prendersi cura.
Non non viviamo in un mondo zen. Anzi, viviamo in un mondo in cui ciò che sta in primo piano, ed è reso pubblico, è per lo più degradante e immiserente.
Lathe biosas!
 
Stato
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