Non lo so
Provare a rispondere a quella domanda sarebbe un po' come guardare dentro la sfera di cristallo e indovinare il futuro. Da esterna fra l'altro.
E poi, rispondendoti, ti toglierei il gusto di imparare te stesso da te e da quel che la Vita ti sta offrendo.
Credo però che in quel che hai scritto, nel sottolineato ci siano tutte le risposte che cerchi.
Le Tue risposte al Vostro rapporto che si sta concludendo.
In fondo quel che state facendo è partecipare al vostro funerale. Celebrare la vostra morte.
E ognuno di voi lo farà a suo modo. E non può che essere così.
Io Credo che tanto quanto si celebri la Vita, tanto quanto si debba celebrare la Morte.
Con lo stesso rispetto e con lo stesso affetto.
E quindi riconoscendo che è Morte. E non Vita.
Con quello che la Morte porta con sè.
E non dimenticando che la Morte porta Vita.
E Vita è anche Dolore e Disperazione.
La misura della nostra pochezza di fronte agli avvenimenti.
Un bagno di umiltà di fronte all'immagine glorificata che abbiamo ognuno costruito di noi stessi.
Individualmente e socialmente.
Noi, nella nostra società, ci dimentichiamo spesso di celebrare il Dolore, la Disperazione.
Vorremmo che non esistessero.
Ci siamo inventati di tutto per tentare di eliminarli dal vissuto.
Ho mal di testa. Pastiglia.
Mal di pancia. Pastiglia.
Vogliamo subito la soluzione per stare bene.
E spesso e volentieri ci troviamo a maneggiare un bene effimero. Volatile. Palliativo.
Tendiamo a dimenticare che il mal di pancia non è la malattia.
Ma un messaggio che il nostro corpo ci sta lanciando per segnalarci cose. Che meritano attenzione.
L'ansia è un messaggio delle nostre emozioni. Segna cose. A ognuno le sue.
La si vorrebbe evitare (e tendenzialmente si finisce nell'ansia di avere l'ansia, aggrovigliando anzichè sciogliendo i nodi). Oppure si sceglie la via del farmaco per sedare.
E non sono per niente contro la sedazione. Anzi.
Credo serva in certe situazioni. Per prendere una pausa. Per riposare. Il dolore stanca. Moltissimo.
Anche perchè non siamo abituati a considerarlo come semplice parte del vivere. E quindi siamo veramente inesperti nel maneggiarlo.
Il nostro e quello altrui.
E vorremmo evitarlo. A noi stessi. E a chi vogliamo bene.
Come se fosse il male. Una sorta di punizione.
Come se non riuscissimo ad accettare che anche il Dolore è parte del Vivere.
La realtà però, è che siamo composti anche di Dolore.
E per fortuna...il Dolore è un modo per vivificarci. Per ricordarci che siamo ancora pieni di Vita.
Ci sono volte in cui a tenerci vivi è solo il dolore del vivere.
MA siamo vivi. Anche in quel modo lì.
Celebrare il dolore è riconoscergli la sua dignità. La sua necessarietà. La sua funzione.
Fargli posto. E riconoscerlo. Appropriarcene. E anche, per certi versi, accettare la sua carezza.
Su noi stessi...ed è relativamente facile.
Su chi a cui vogliamo bene...ecco...la cosa si complica. Perchè l'altro, il dolore dell'altro, ci ricorda del nostro.
Quindi...non so rispondere alla tua domanda. Darti consigli concreti. Anche perchè la concretezza non è anticipabile e la si svolge mentre accade.
Te ne sei andato quando hai visto che l'escalation era fuori gestione. Quindi sai già come fare.
E lo farai volta per volta.
Prova a pensare cosa ti ha spinto ad andartene. A stoppare la dinamica. Perchè tu hai istintivamente riconosciuto che quello era il momento per andare. Non penso che tu ci abbia pensato più di tanto. Probabilmente hai pensato al COME fare. Ma il COSA ti è stato subito chiaro.
Questo significa che tu sai cosa fare. Il come lo vedrai di volta in volta.
E ti faccio notare che in quella situazione, pensando al tuo benessere hai creato le condizioni per fare posto al suo.
Certo, il suo benessere adesso riguarda lo spazio presente per vivere il dolore.
E certo, che se il dolore viene interpretato come una sorta di punizione, castigo...non lo si riesce a vedere come parte del benessere.
Eppure...è una parte. Che non piace. MA evitarla porta a conseguenze ben peggiori.
Quel che tu puoi fare, lo puoi fare con te stesso.
Rimanendo presente a te. Non guardandola con pena e compassione.
Non volendo toglierle il suo Dolore.
Che è Suo. E soltanto suo.
SE tu glielo togliessi...le toglieresti una parte importante di sè.
In questo senso dicevo che a volte aiutare è saper dare il dolore.
Non è infliggere dolore. Che sarebbe sadismo. (ma un masochista per esempio desidera esattamente quello...quindi, come vedi, le declinazioni sono infinite e a volte inaspettate).
Dare il dolore è riconoscere il Dolore dell'altro all'altro.
E per poterlo fare è necessario riconoscere altrettanto a se stessi.
Cura il Tuo dolore. Celebra la vostra Morte.
Non appropriarti di parti di lei. Con l'intenzione di sollevarla dal malessere.
Che l'intenzione è apparentemente "buona". Anche se in realtà è un voler distogliere il tuo sguardo dalla sua sofferenza. Collocandola nel desiderio di vederla serena.
Ma nei fatti non lo è.
La sua realtà, adesso, è che soffrirà. Che le mancherai. Che farà i conti col fallimento. Con la tua assenza. Con le sue mancanze. Con i suoi bisogni. Con i suoi demoni e i suoi fantasmi.
Se per aiuto intendi "proteggerla" da se stessa...io non penso sia aiuto.
Se per aiuto intendi lasciarle spazio libero per stare con se stessa e incontrarsi...e forse, se sarà capace, partecipare al Vostro funerale...ecco, allora aiutarla è non avere pena di lei.
Ma riconoscere la dignità del suo dolore. E lasciarglielo.
Riconoscerglielo. Ma non fartene carico.
Riconoscerle la capacità di farsene carico. Senza di te.
E' adulta. Ed è una sua responsabilità.
Riconoscerle stima e affetto è fidarti della sua capacità di farsene carico.
Non attraversarla per sollevare te stesso dal dolore di essere corresponsabile del suo dolore.
MA fartene carico anche tu. Della tua parte.
Abbi cura del tuo dolore. Accettalo. Accoglilo.
Vai al tuo funerale. E al Vostro.
E non avere fretta che il dolore passi.
Nè il tuo nè il suo.
Non legare il Tuo stare bene ora, con il Suo stare male ora.
Sono solo facce della stessa medaglia, lo stare bene e lo stare male. E la medaglia a cui appartengono è quella del benessere.
Concretamente...bisogna vedere come si comporterà lei.
Se stopperà l'escalation. O se ci si avviterà dentro.
Il mio ex ci si è avvitato dentro.
Talmente tanto che ad un certo punto ho deciso di far entrare un mediatore nelle interazioni che riguardavano la fine della nostra relazione. Per tutelarmi. E di conseguenza per tutelarci. Perchè lui non riusciva a prendersi il suo dolore e io faticavo immensamente a tirarmene fuori e lasciarglielo. Per prendermi cura del mio.
Riconoscermi di non essere in grado di "gestire" quel che stava facendo, e riconoscere che sarebbe potuto essere pericoloso per lui e anche per me è stato il modo per aiutarlo.
Ho aiutato me. E di conseguenza ho aiutato anche lui.
E non credere che stessi pensando di fare tutto giusto...ero terrorizzata dallo sbagliare.
Adesso, a distanza di quasi tre anni...dopo aver fatto pace con le mie responsabilità, con le sue.
Dopo averle separate e collocate...so di aver fatto quel che andava fatto.
E ho imparato che la paura di sbagliare è una buona compagnia, se non diventa un bloccarsi per la paura dell'errore.
Se dovessi riassumere il motore del movimento, su cui sono stata aiutata, perchè ero terrorizzata, e ogni tanto perdevo la strada, accecata dall'affetto che nonostante tutto ancora sentivo e sento per lui..ecco, il motore è stato non proteggerlo dalle conseguenze delle sue azioni. Dal suo dolore. Dalla sua disperazione.
MA ridarglieli in mano ogni volta. Anche duramente. Senza sconti.
Separando e segnando il confine fra me e lui.
Non confondendomi con lui. E tenendo il punto su di me.
E riconoscendogli il diritto naturale alla sofferenza. La Sua.
Senza lasciargli lo spazio di spostarla su di me.
Senza appropriarmene.
Per non doverla vedere. E per non sentire le onde che provocava in me.
Aiutarlo è stato dare la Morte a Noi.
E accettare che al funerale di Noi ci dovevo andare da sola.
Sono pensieri sparsi...usali come ti può tornar più comodo.