Suicidi di ragazzi

Piperita

Sognatrice
Nel video si evidenziano 4 punti chiave che si ritengono le cause delle problematiche sempre maggiori dei ragazzi:

-genitori( Strategie fallimentari di educazione familiare)
-tecnologia( Crea dipendenza e i ragazzi non riescono a creare relazioni profonde con gli altri)
-impazienza(Tutto e subito- gratificazioni istantanee)
-ambiente(Il mondo del lavoro interessato esclusivamente a vantaggi economici immediati)
 

Brunetta

Utente di lunga data
Io sono d'accordo con te

La mia mamma mi ha insegnato a suo tempo (a suo modo) che deprimersi richiede tempo e spazio, in poche parole è un lusso che c'è chi può permettersi e chi no.

E ad esempio io non me lo potevo permettere, punto.

Se hai un progetto da conseguire, tuo o imposto dalle situazioni, per veder più luce, non hai spazio x la depressione

Quella spesso arriva dopo, quando quel progetto lo hai conseguito , e scopri che tutto sommato è un'inculata, a livello di soddisfazione e appagamento

Chi vive senza progetto è quindi, secondo me, molto ma molto più esposto alla depressione
Questa posizione la trovo molto offensiva nei confronti di chi soffre di depressione.
C'è un giudizio di fondo che nessuno oserebbe esprimere nei confronti di un malato di cancro ai polmoni che avesse fumato 60 sigarette al giorno per trent'anni.
Chi cade in depressione non è un nullafacente, è una persona che si ammala.
 

Skorpio

Utente di lunga data
...

Questa posizione la trovo molto offensiva nei confronti di chi soffre di depressione.
C'è un giudizio di fondo che nessuno oserebbe esprimere nei confronti di un malato di cancro ai polmoni che avesse fumato 60 sigarette al giorno per trent'anni.
Chi cade in depressione non è un nullafacente, è una persona che si ammala.
Ma io non volevo offendere nessuno, eh..

È quello che penso

E se qualcuno si sentisse offeso, credo che dovrebbe riflettere sul suo sentirsi offeso, e magari sfruttare questo x darsi una mossa.

Devo Confermare quello che penso, la depressione si impadronisce di chi non ha progetti motivanti x se stesso in ottica futura

E non è un reato non avere progetti motivanti, nel corso di una intera vita ci possono esser per tutti periodi cosi
 

Brunetta

Utente di lunga data
Ma io non volevo offendere nessuno, eh..

È quello che penso

E se qualcuno si sentisse offeso, credo che dovrebbe riflettere sul suo sentirsi offeso, e magari sfruttare questo x darsi una mossa.

Devo Confermare quello che penso, la depressione si impadronisce di chi non ha progetti motivanti x se stesso in ottica futura

E non è un reato non avere progetti motivanti, nel corso di una intera vita ci possono esser per tutti periodi cosi
Pensi una cazzata.
Confondi una malattia con cattiva volontà.
 

Skorpio

Utente di lunga data
..

Pensi una cazzata.
Confondi una malattia con cattiva volontà.
No

La cazzata la pensi tu, perché nelle mie righe ci leggi una cosa che non ho scritto ne penso , e cioe che chi è depresso è sostanzialmente un coglione

Io non ho detto questo

Ho detto che chi è depresso non ha progetti motivanti
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Più che altro io trovo molto, troppo, semplificante il discorso.

Siamo profondamente ignoranti sul funzionamento complessivo del nostro organismo.

La depressione, stando ai dati oggi disponibili, e che si sono evoluti nel tempo, è il frutto della combinazione di cause genetiche e biologiche con cause ambientali e psicologiche.

Io penso ci sia da distinguere nettamente fra i sintomi, che segnalano il disturbo, e anche qui ci sarebbe poi da fare tutta una serie di distinzioni, e le conseguenze che i sintomi portano con sè.

Se non dormo per una settimana, per due settimana, per dire, col cazzo che la mattina mi alzo felice e contento e progetto il mio lavoro.

Chi ha provato, io fortunatamente mai, a non dormire può ben raccontare lo stato in cui si entra.

Questo è un esempio piuttosto scemo...ma anche significativo.

Non dormo perchè non ho progetti? non ho progetti perchè non dormo? Loop in cui una situazione appesantisce l'altra in una discesa verso il basso che, come il fiocco di neve, diventa valanga?

Insomma...io volerei bassa :)

Pensare di poter osservare e analizzare un fenomeno complesso con una prospettiva semplice non penso sia molto funzionale...

Quanto al "mal di vivere", mica è una novità moderna...Kierkegaard, Shopenauer, Sartre, Leopardi...o se vogliamo possiamo anche farci un giretto nei pre-esistenzialisti, Lucrezio Caro, Montagne, Pascal...anche De Sade:D

Ed è semplicemente l'espressione di "crisi", nelle sue diverse declinazioni...durante una crisi si soffre.
Che poi la crisi porti a cambiamenti, è un altro discorso. Quando si è in crisi si soffre.

I ragazzi soffrono. Hanno sempre sofferto. Si sono sempre uccisi. Sono stati mandati a morire pure.

Voglio dire...a volte mi sembra che ci sia una sorta di egocentrismo storico che riporta tutto all'oggi...la Morte, autoinflitta o eteroinflitta, fa parte della vita. Della Natura dei Viventi.

Parte delle libertà che si sono acquisite nel tempo riguarda anche il darsi la morte.
Scelta che sta entrando sempre di più nella quotidianità.

Una differenza, che secondo è particolare dell'oggi, è questa sacralità della Vita sconnessa dalla Sacralità della Morte. Ed è una Conoscenza che è sempre stata tramandata. Anche attraverso le favole. Cosa che avviene sempre meno...e si vive sempre di più in un mondo che promette l'eterno, che sia bellezza, salute, giovinezza senza confrontarsi con la Morte...che poveri giovanetti...mai siano esposti alle brutture e alla fatica del vivere..alla morte! Si traumatizzano. :rolleyes:

Tornando a bomba...nella depressione reattiva uno degli episodi scatenanti può essere un lutto...che sia emotivo o fisico...e di nuovo, quindi, il confronto con la morte...

La crisi, in fondo, che sia sociale o individuale poco conta se non in termini di grandezze, è esattamente il morire a se stessi e sapersi rinascere...
 

Brunetta

Utente di lunga data
No

La cazzata la pensi tu, perché nelle mie righe ci leggi una cosa che non ho scritto ne penso , e cioe che chi è depresso è sostanzialmente un coglione

Io non ho detto questo

Ho detto che chi è depresso non ha progetti motivanti
Continui a ripetere la stessa cosa che non oseresti dire neanche del raffreddore.
Nessun progetto è motivante per chi è depresso perché è malato.
È una condizione che non ha nulla a che vedere con la volontà.
È come se dicessi che un malato Alzheimer non ha memoria perché non ha nulla che gli interessi ricordare.
 

Foglia

utente viva e vegeta
Continui a ripetere la stessa cosa che non oseresti dire neanche del raffreddore.
Nessun progetto è motivante per chi è depresso perché è malato.
È una condizione che non ha nulla a che vedere con la volontà.
È come se dicessi che un malato Alzheimer non ha memoria perché non ha nulla che gli interessi ricordare.
Brava.
 

Foglia

utente viva e vegeta
No

La cazzata la pensi tu, perché nelle mie righe ci leggi una cosa che non ho scritto ne penso , e cioe che chi è depresso è sostanzialmente un coglione

Io non ho detto questo

Ho detto che chi è depresso non ha progetti motivanti
Parlare di progetti motivanti di fronte a una malattia che colpisce proprio la volontà e' veramente come dire a un malato di cuore che non sarebbe tale se il suo sistema cardiocircolatorio funzionasse. Bella scoperta. Chissà perché però chi non ha vissuto la depressione tende sempre a vederne una componente responsabile, e colpevole.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Parlare di progetti motivanti di fronte a una malattia che colpisce proprio la volontà e' veramente come dire a un malato di cuore che non sarebbe tale se il suo sistema cardiocircolatorio funzionasse. Bella scoperta. Chissà perché però chi non ha vissuto la depressione tende sempre a vederne una componente responsabile, e colpevole.
Una parte di responsabilità c'è.
Solo che non è nelle cause.

Ma nel dirsi la verità su se stessi e quindi nella Cura.
Nell'umiltà e nella grandezza del saper non solo chiedere ma anche accettare l'aiuto.

Io sono figlia di una madre che quella responsabilità non se l'è mai voluta assumere.
E quella sua mancanza l'abbiamo pagata, e la paghiamo tutti. Caramente. Molto.
 

Foglia

utente viva e vegeta
Una parte di responsabilità c'è.
Solo che non è nelle cause.

Ma nel dirsi la verità su se stessi e quindi nella Cura.
Nell'umiltà e nella grandezza del saper non solo chiedere ma anche accettare l'aiuto.

Io sono figlia di una madre che quella responsabilità non se l'è mai voluta assumere.
E quella sua mancanza l'abbiamo pagata, e la paghiamo tutti. Caramente. Molto.
Non era quello che intendevo. Chiaro che chi non si cura dalla depressione ha responsabilità verso se stesso e verso gli altri. Esattamente come un malato di cuore. E' un po' diverso però dal dire " io la depressione non me la sono potuta permettere". Quasi fosse una scelta, il fatto di finirci dentro. Quasi bastasse un po' di volontà per evitarla. Non è così.
 

Skorpio

Utente di lunga data
...

Non era quello che intendevo. Chiaro che chi non si cura dalla depressione ha responsabilità verso se stesso e verso gli altri. Esattamente come un malato di cuore. E' un po' diverso però dal dire " io la depressione non me la sono potuta permettere". Quasi fosse una scelta, il fatto di finirci dentro. Quasi bastasse un po' di volontà per evitarla. Non è così.
Ferma li :)

Stai completamente travisando il senso del post in cui faccio accenno a questa affermazione

Che se rileggi, io personalmente non ho mai fatto
 

Brunetta

Utente di lunga data
Una parte di responsabilità c'è.
Solo che non è nelle cause.

Ma nel dirsi la verità su se stessi e quindi nella Cura.
Nell'umiltà e nella grandezza del saper non solo chiedere ma anche accettare l'aiuto.

Io sono figlia di una madre che quella responsabilità non se l'è mai voluta assumere.
E quella sua mancanza l'abbiamo pagata, e la paghiamo tutti. Caramente. Molto.
Evidentemente non era in grado di farlo.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Non era quello che intendevo. Chiaro che chi non si cura dalla depressione ha responsabilità verso se stesso e verso gli altri. Esattamente come un malato di cuore. E' un po' diverso però dal dire " io la depressione non me la sono potuta permettere". Quasi fosse una scelta, il fatto di finirci dentro. Quasi bastasse un po' di volontà per evitarla. Non è così.
Sembra una precisazione superflua, forse, quella che ho fatto.

Ma, per come la vedo io, è necessaria.

E' vero che la depressione, come tutte le patologie non misurabili e quindi fisicamente rilevabili (positivismo docet..e questo accade in tantissimi ambiti, quasi che la divisione corpo mente non fosse del tutto risolta), viene alternativamente negata oppure imputata al malato (che imputarla sia parlare di "te la sei cercata" oppure "povero malatino mio").

Altrettanto vero che i malati sono poco responsabilizzati. Fino a non molto tempo fa addirittura ai malati di tumore non si diceva la verità...caso mai si preoccupassero eh...:facepalm:
Come se l'idea prevalente fosse che la qualità della vita riguardasse il non sapere e non, invece, il sapere.

Questo sto sottolineando.
Una malattia è una malattia. Non è una punizione. Non è una mancanza. Non è una scelta.
Ed è un qualcosa che riguarda il malato. Il malato da solo.
Gli altri arrivano dopo. Come sostegni. O come curanti. Ma dopo il malato.

La parte decisionale arriva appena arriva la malattia. E sta nell'ascolto costante di sè e nell'umiltà di saper chiedere aiuto e nella grandezza di accettarlo.
Tutto questo è sottoposto al dirsi la verità su se stessi.
E all'accettazione del dolore. Abbracciandolo. E non sfuggendolo in mille e mille modi.

Questo tipo di discorso passa spesso in sordina...e si finisce per direttissima nel dibattito sulle colpe che riguardano le cause.
Secondo, fra l'altro, un'ottica della ricerca del colpevole a tutti i costi che permea il pensiero sociale e che io ritengo incivile e figlio di una cultura cattolicheggiante che oscilla fra la colpa e il perdono, della vittima.

Raramente ci si interroga invece sul protagonismo della vittima.
Vittima di malattia. Vittima di abusi. Vittima...in tutti i modi in cui si può essere vittima in una vita.
E il protagonismo è responsabilità. Delle proprie Azioni. E non reazioni.

Non so se mi spiego...:)
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Evidentemente non era in grado di farlo.
Evidentemente. Sì.

Quando si nega la realtà dei fatti, CI SI mette nella impossibilità di fare una qualunque azione verso se stessi.

E' una decisione, quella di cercare fuori invece che dentro. Quella di subire i condizionamenti. Quella di arrendersi.

Poi si può fare tutto il discorso sui condizionamenti, ed entra in gioco la corresponsabilità sociale nella costruzione della percezione di sè, si può discutere sui condizionamenti familiari, e anche qui entra in gioco la corresponsabilità...ma. Ognuno risponde a se stesso.

E, per dignità, io questa responsabilità non la tolgo.
Come non la tolgo al tossico che, rimanendo schiavo dei condizionamenti sociali e familiari, decide di continuare a farsi le pere anzichè appropriarsi della propria vita e decidere. O a tutte le altre "categorie" che si lasciano fluire nel vittimismo anzichè nell'essere vittima.
Accogliendo il dolore che comporta. Finire in quella posizione.

Non tolgo la responsabilità alla vittima. Che sia vittima di se stess* o del mondo, spesso di entrambi.
Togliere questa responsabilità significa togliere la speranza. A tutte le vittime.

E sia chiaro, io parlo di responsabilità.
Quindi assunzione di sè. Nel bene e nel male. Nella gioia e nel dolore. Fino a che morte non ci separi. (ricorda qualcosa?...:))

Non sto parlando di colpe. E nemmeno di perdono.
Che non portano da nessuna parte se non ad aggiustamenti momentanei, parziali....e comunque loro stessi schiavi di altri condizionamenti ancora. Come criceti su una ruota nella gabbia.
 
Ultima modifica:

Brunetta

Utente di lunga data
Evidentemente. Sì.

Quando si nega la realtà dei fatti, CI SI mette nella impossibilità di fare una qualunque azione verso se stessi.

E' una decisione, quella di cercare fuori invece che dentro. Quella di subire i condizionamenti. Quella di arrendersi.

Poi si può fare tutto il discorso sui condizionamenti, ed entra in gioco la corresponsabilità sociale nella costruzione della percezione di sè, si può discutere sui condizionamenti familiari, e anche qui entra in gioco la corresponsabilità...ma. Ognuno risponde a se stesso.

E, per dignità, io questa responsabilità non la tolgo.
Come non la tolgo al tossico che, rimanendo schiavo dei condizionamenti sociali e familiari, decide di continuare a farsi le pere anzichè appropriarsi della propria vita e decidere. O a tutte le altre "categorie" che si lasciano fluire nel vittimismo anzichè nell'essere vittima.
Accogliendo il dolore che comporta. Finire in quella posizione.

Non tolgo la responsabilità alla vittima. Che sia vittima di se stess* o del mondo, spesso di entrambi.
Togliere questa responsabilità significa togliere la speranza. A tutte le vittime.

E sia chiaro, io parlo di responsabilità.
Quindi assunzione di sè. Nel bene e nel male. Nella gioia e nel dolore. Fino a che morte non ci separi. (ricorda qualcosa?...:))

Non sto parlando di colpe. E nemmeno di perdono.
Che non portano da nessuna parte se non ad aggiustamenti momentanei, parziali....e comunque loro stessi schiavi di altri condizionamenti ancora. Come criceti su una ruota nella gabbia.
Sono profondamente contraria a questa posizione.

Comunque anche chi vive con chi non è in grado di assumersi responsabilità è ugualmente non in grado di farlo.
 

Skorpio

Utente di lunga data
...

Continui a ripetere la stessa cosa che non oseresti dire neanche del raffreddore.
Nessun progetto è motivante per chi è depresso perché è malato.
È una condizione che non ha nulla a che vedere con la volontà.
È come se dicessi che un malato Alzheimer non ha memoria perché non ha nulla che gli interessi ricordare.
Io continuo a dire quello che ho detto nel primo post, e cioè che la presenza di forti motivazioni "toglie spazio" all'insorgere della depressione, cosi come la forte presenza di amticotpi toglie spazio al raffreddore.

E non voglio fare né il dottore ne il consulente di nessuno, parlo x me e di quel che penso io.

Per me e di me
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Sono profondamente contraria a questa posizione.

Comunque anche chi vive con chi non è in grado di assumersi responsabilità è ugualmente non in grado di farlo.
La seconda non mi è chiara

Io sono contraria alla posizione per cui la vittima, di malattia in questo caso, non può che subire ciò che da fuori arriva. Che non abbia altra scelta. Nell'immaginario comune. E quindi pure in quello del malato.
E non è che sono cotraria per principio eh...è che il malato non è semplicemente una vittima della malattia. MA è molto di più. Anche da malato.

Il malato non è la sua malattia.


fino a che si oscilla semplicemente fra "stronzo" oppure "poverino", rifacendosi a categorie che poco hanno a che vedere con il funzionamento, non perfetto ma perfettibile, fino a quando si esclude la riduzione del danno dalla percezione di certe patologie (e per riduzione del danno intendo non ridurre il malato a semplice fruitore di cure, come fosse un povero burattino nelle mani di dio o chi per lui) io dubito ci possa essere una evoluzione della percezione del malato stesso.

Un malato combatte.
Ogni malato la sua malattia. Con gli strumenti che discendono da quella malattia. E che contengono quella malattia. Alcuni modi del combattere sono disfunzionali...e questo è particolarmente vero per le patologie psichiatriche.
Che rapportato al corpo, sarebbe come un malato di cuore che non solo nega di essere malato di cuore, ma pure non prende i farmaci, abusa di alcol e fumo, etc etc. perchè tanto non si può fare niente.

Un malato di cuore impara a convivere con la sua patologia in modo equilibrato per se stesso e per chi lo circonda. E questo è socialmente non solo accettato ma richiesto.

Togliergli questa opzione, anche soltanto nel pensiero, io lo vedo come un affronto. Al malato stesso. Alla sua dignità di essere umano. E ne consegue l'esclusione poi dal mondo sociale tutto in quella distinzione farlocca fra sani e malati.
Fortunatamente si sta iniziando a parlare di funzionamenti negli ambiti accademici, purtroppo prevalentemente solo accademici purtroppo.

Penso ci sia ancora una forte confusione fra responsabilità (e quindi appropriazione di sè e libertà di determinazione) e colpa/perdono ( affidamento più o meno alto alle divinità, ognuno la sua).
 

Foglia

utente viva e vegeta
Sembra una precisazione superflua, forse, quella che ho fatto.

Ma, per come la vedo io, è necessaria.

E' vero che la depressione, come tutte le patologie non misurabili e quindi fisicamente rilevabili (positivismo docet..e questo accade in tantissimi ambiti, quasi che la divisione corpo mente non fosse del tutto risolta), viene alternativamente negata oppure imputata al malato (che imputarla sia parlare di "te la sei cercata" oppure "povero malatino mio").

Altrettanto vero che i malati sono poco responsabilizzati. Fino a non molto tempo fa addirittura ai malati di tumore non si diceva la verità...caso mai si preoccupassero eh...:facepalm:
Come se l'idea prevalente fosse che la qualità della vita riguardasse il non sapere e non, invece, il sapere.

Questo sto sottolineando.
Una malattia è una malattia. Non è una punizione. Non è una mancanza. Non è una scelta.
Ed è un qualcosa che riguarda il malato. Il malato da solo.
Gli altri arrivano dopo. Come sostegni. O come curanti. Ma dopo il malato.

La parte decisionale arriva appena arriva la malattia. E sta nell'ascolto costante di sè e nell'umiltà di saper chiedere aiuto e nella grandezza di accettarlo.
Tutto questo è sottoposto al dirsi la verità su se stessi.
E all'accettazione del dolore. Abbracciandolo. E non sfuggendolo in mille e mille modi.

Questo tipo di discorso passa spesso in sordina...e si finisce per direttissima nel dibattito sulle colpe che riguardano le cause.
Secondo, fra l'altro, un'ottica della ricerca del colpevole a tutti i costi che permea il pensiero sociale e che io ritengo incivile e figlio di una cultura cattolicheggiante che oscilla fra la colpa e il perdono, della vittima.

Raramente ci si interroga invece sul protagonismo della vittima.
Vittima di malattia. Vittima di abusi. Vittima...in tutti i modi in cui si può essere vittima in una vita.
E il protagonismo è responsabilità. Delle proprie Azioni. E non reazioni.

Non so se mi spiego...:)
Lo sapevi che una parte delle componenti scatenanti la depressione è genetica? E che la responsabilità e' visibile a posteriori, vale a dire quando oramai la frittata e' fatta? Ecco.... Fatte queste due premesse concordo nel dire che siamo responsabili per la cura. Per la prevenzione, non so bene in che misura. Ci sono infartuati che hanno condotto sempre una vita sana. Eppure a loro e' toccata una malattia. Altri che hanno fumato come turchi, hanno mangiato come porci e sono campati cent'anni. E altri che avendo avuto una condotta di vita non sana ne pagano le conseguenze. C'è, in qualsiasi malattia, tutta una casistica riassumibile nella tua vita. E certo che dobbiamo averne cura. Ma questo non toglie nulla al fatto che di malattie stiamo a parlare. Certamente non cercate apposta, certamente non volute. E in questo contesto se devo parlare di responsabilità... Beh. La vedo soprattutto a posteriori, nella cura, che significa imparare ad averne. Col tempo e con l'esperienza. E con la paura. Perché quando vieni segnato da una malattia hai paura eccome di ricaderci. Peraltro e' stato dimostrato che la depressione lascia segni "fisici" sul cervello. Al pari di ogni malattia. Quindi non è sufficiente "darsi una mossa" anche solo per evitare ricadute. Il lato positivo? C'è, come c'è per ogni altra malattia. Si è più deboli in quanto provati e maggiormente predisposti. Si è più forti dall'esperienza. Nella mia non sono mancati coloro che mi dicevano "fatti forza". Forse sono stati più inutili di quelli a cui si leggeva in faccia che pensavano fosse una colpa portata dalla sostanziale assenza di problemi. Che erano tanti, invece.
 

Brunetta

Utente di lunga data
Spero che non cadiate mai in depressione.
 
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