Mi spiego meglio, perché mi sono accorta di avere fatto un po' di casino con i tempi, chiedo scusa.
Intendevo dire che se avessi avuto bisogno di uno psichiatra negli anni sessanta (ma anche settanta) probabilmente sarei incappata in un sistema che non avrebbe quasi percepito la depressione come una malattia, ma come una "cosa dei matti". A quel punto scegliere di farsi curare all'esterno del nucleo familiare avrebbe in molti casi significato finire in manicomio. Era questo che volevo dire. Chiaro che oggi una donna di quarant'anni e una di settanta hanno la stessa scelta. Anche se magari quella di settanta rimane più vincolata alla mentalità di un tempo.
Pensavo agli anni sessanta (settanta dai... Ipazia se non erro e' mia coetanea) perché.... Non so il perché, ma dalle parole di @
ipazia ho percepito il discorso su sua mamma come il discorso fatto da una ex bambina
Non lo so se sia vero, o se il problema sia più recente. Di qui che dicevo che un tempo neppure troppo lontano curarsi era più difficile.
Ho capito quello che intendi...ed è il motivo per cui ho battuto sulla "mentalità". Chiamiamola così.
Mentalità di una volta (in cui il malato veniva rinchiuso ed emarginato) che si riflette allegramente sull'oggi in cui il malato viene alternativamente colpevolizzato o "idolatrato" nella sua impossibilità di fronte alla malattia. Ovviamente mi riferisco alla malattia mentale. Al disturbo, anche.
Quando parlo di responsabilità del malato verso se stesso parlo dell'oggi. Non di ieri. Ieri è andato eh.
Siamo a oggi. Decidere di vivere nel passato, è una decisione individuale. Poi si possono comprendere le motivazioni, i percorsi...ma comprendere non è giustificare. E' comprendere. Punto.
Ed è per questo che mi oppongo al pensiero per cui la responsabilità della cura viene "tolta". E non proporzionata.
Un tempo al malato veniva tolta la responsabilità di se stesso attraverso il manicomio.
Adesso è un'operazione del pensiero.
Ma il meccanismo è lo stesso.
Sei malato. Ergo non sei responsabile di te. Pensiero paternalista per cui "Io, chiunque sia, mi prenderò cura di te". Pensiero delegante del malato "qualcuno si prenderà cura di me" (e sfido un qualunque tipo di guarigione se non si inizia a smantellare esattamente da quel nodo).
Un malato mentale che non è protagonista della sua malattia è semplicemente spacciato. Finisce anche oggi in istituto. E se non ci finisce fa talmente tanti danni che forse rinchiuderlo sarebbe pure un bene.
Un malato mentale a cui non vengono dati in mano gli strumenti per prendersi cura di se stesso, è spacciato. E sono strumenti che discendono dal contesto socio-culturale, anche.
Un malato mentale che non si prende in mano gli strumenti per aver cura di se stesso, o davvero non può, ma allora lo rinchiudo, oppure svicola riguardo alla Cura di sè.
Che è la prima responsabilità di ogni Essere Vivente.
In Natura un vivente che non si Cura di sè muore. Senza tante discussioni. E' Natura. E' vita e morte.
Girare lo sguardo non cambia questo stato di cose.
Noi umani abbiamo costruito strutture di contenimento e riduzione, ma pure nella nostra società se non ti sai prendere cura di te sei un peso economico che va distribuito su tutti, sei un peso familiare, e se fai casini tutti pagano per te, sei un peso individuale per te stesso, che vivi di merda sentendoti inadatto a sopravvivere nel mondo.
Ed è una scelta.
Se stai nella quotidianità...allora te ne assumi la responsabilità. Se no, il non posso è una scusa. Motivata fin che vogliamo, ma è una scusa.
Se hai il mal di schiena vai e ti curi. (tranne quelli tipo mia madre che manco il mal di schiena si fanno curare, salvo poi rompere i coglioni che lei non ce la fa, le fa male la schiena e nessuno la capisce:facepalm

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Se non ci vai la responsabilità resta tua. Tutte le motivazioni di questo mondo, ma non sei sollvetat* dalla responsabilità di aver cura di te. E se ti prendi pure dei vaffanculo, te li sei pure guadagnat*. Che non è che il mondo è obbligato a farsi carico dei tuoi mali. Può benissimo sfancularti.
Essere sostenuto non è un diritto. Ma una decisione di chi lo fa. E ha un prezzo.
Altro che amore.
E un bagno di umiltà a questo livello farebbe bene. A un botto di persone.
In primis a quelle che decidono di crogiolarsi nella malattia.
Che se sei per strada, e non hai da mangiare o ti industri o crepi. Questa è la realtà. Brutta? cruda? orribile?
Ma realtà.
Una delle cose che non riesco, da sempre a tollerare nei depressi, sono i grazie. Che sono da un lato striscianti e dall'altro recriminatori. E' un lato veramente schifoso dell'aver a che fare con loro. Che diventa costante tentivo di manipolazione del mondo per ridurlo ai propri termini.
Parte del pensiero corrente, che non condivido minimamente, è il malato innocentizzato a causa della sua patologia. Compreso ci sta. Comprendo il meccanismo. Ma innocentizzato no.
Perchè di danni ne fanno pure da malati. E non pochi.
Non so se mi sto spiegando.
Posso sembrare cattiva. Forse lo sono pure. Non mi interessa moltissimo.
Parlo da ex-bambina, ma anche da ex-adolescente, anche da ex-giovane adulta, da adulta, e probabilmente parlo anche per il futuro, quando sarò una donna di mezza età che dovrà farsi carico di una donna che rifiuta ogni genere di cure salvo poi lamentarsi e scaricare addosso al mondo le cause dei suoi malesseri, utilizzando tecniche manipolatorie che definire raffinate è poco.
Il mio sguardo è condizionato dall'essere cresciuta e vissuta con una madre disturbata? Certo che sì.
Sarei patologica pure io se fossi diventata tanto impermeabile da non sentirne addosso le conseguenze.
Ed è pure condizionato dalla preoccupazione strisciante per il futuro. Che mia madre morirà.
Molto probabilmente prima si ammalerà...e sarà veramente un delirio prendersi cura di lei.
Ho sicuramente uno sguardo disincantato e poco pietistico.
Perchè la malattia io la comprendo in termini tecnici. Ma l'ho sperimentata non soltanto come tecnica.
Quindi sono dura, sì. Perchè un malato ha ricadute su tutto il sistema famiglia. E da lì anche sul sociale.