Ma infatti a me quelli che si indignano per i crepa mi hanno sempre fatto ammazzare dalle risate. Mi spaventano solo quando arrivano ad avere un po' di poteretto in virtù del numero di ore investite invece che della qualità del prodotto. Praticamente come quando dai l'Oscar per la carriera a un cantante sfigato.Ma se vieni da me ti salutano con "ehy, inculato!" (in dialetto non ha neanche il genere), sempre se ti vogliono bene, ovviamente :carneval:
Yessss:rotfl::rotfl::rotfl:
Vero? :carneval:
Il riconoscimento sociale, secondo te, ci prende?Ma infatti a me quelli che si indignano per i crepa mi hanno sempre fatto ammazzare dalle risate. Mi spaventano solo quando arrivano ad avere un po' di poteretto in virtù del numero di ore investite invece che della qualità del prodotto. Praticamente come quando dai l'Oscar per la carriera a un cantante sfigato.
Ci prende relativamente a cosa? Definiamo bene il campo di indagine che qualunque cosa dico diventa leggenda in altri lidi per cui ultimamente posso giocare meno sulle espressioni ambigue.Il riconoscimento sociale, secondo te, ci prende?
E quanto, in percentuale?
Ok, definiamo.Ci prende relativamente a cosa? Definiamo bene il campo di indagine che qualunque cosa dico diventa leggenda in altri lidi per cui ultimamente posso giocare meno sulle espressioni ambigue.
Che termine grosso che è "importante".Ok, definiamo. Relativamente al riconoscimento di se stessi. Un sociale indistinto, fatto di maschere fondamentalmente, che tendenzialmente fanno massa, è importante? Io per esempio scelgo i sociali in cui stare. Anche a livello lavorativo. Ma a livello lavorativo è facile. Basta tenere il livello di relazione sulla competenza e sui risultati misurabili.
Esattamente.Che termine grosso che è "importante".E' importante nella misura in cui tu gli dai comunque un peso. Mi riferisco alla "massa".Sul lavoro e ' più facile tenere il livello, vero, vero però anche che dopo sta a te valutare il peso con più rigore.
Quello che tu chiami stare anche nelle situazioni in cui non si ha voglia di stare, talvolta quel cerchio lo ovalizza. Il cerchio è l'equilibrio perfetto. Difficile starci.Esattamente.
E a far la differenza è l'unità di misura. Per come la vedo io.
Conoscere i propri limiti e le proprie capacità di compromesso. E scegliere le situazioni più adeguate.
Sapendo comunque stare anche in quelle in cui non si ha voglia di stare, SE SERVE.
Esempio: io sono agnostica. Ma posso serenamente andare in chiesa, e non ho (più) il desiderio di prendermela con chi crede in dio.
Non tradisco nessuno, me per prima. Non perdo me stessa da nessuna parte.
E se sento di perdere, il problema lo cerco in me. Non fuori. Che significa che sono io traballante, se il fuori mi può mettere tanto in discussione. Io rispondo al mio sguardo nello specchio.
Questo significa che mi fido sia del mio sguardo nello specchio sia del mio percorso fino a quello sguardo sia del percorso che seguirà quello sguardo.
Ed è nel percorso che, in termini circolari, entrano gli altri...ma tenendo sempre presente che sono specchi attivi, e che si è in circolarità.
Mi spiego?
Sul lavoro è semplice.
Faccio un lavoro misurabile. E su quello mi peso.
Fare bene il mio lavoro non è una questione di principio. Lo faccio per trovare soddisfazione per me.
Se non ho voglia, posso farlo anche male. MA è comunque a me che rispondo. E alla stima di me.
Hai mai visto cerchi in natura?Quello che tu chiami stare anche nelle situazioni in cui non si ha voglia di stare, talvolta quel cerchio lo ovalizza. Il cerchio è l'equilibrio perfetto. Difficile starci.
Ah... Sul dinamismo non ci piove.E' solo che lo vivo più come una rincorsa, munita di martello e cucitrice, per dare continuità a quel mio cerchio sgangheratoHai mai visto cerchi in natura? Salvo (forse) quelli che si creano in uno stagno dopo averci lanciato dentro un sasso...Non esiste l'equilibrio perfetto, se non nella morte...a mio parere. L'equilibrio perfetto è un sistema chiuso e immobile. Ed è un'idea di assoluto, una forma di ideologia secondo me...come la perfezione. Io preferisco l'equilibrio dinamico...che è poi l'alternanza fra equilibrio e squilibrio...saper oscillare fra gli estremi senza caderci dentro![]()
Intanto, un buon inizio, sarebbe non giudicare il tuo cerchio...nè sgangherato nè non sgangherato e in nessun altro modo.Ah... Sul dinamismo non ci piove.E' solo che lo vivo più come una rincorsa, munita di martello e cucitrice, per dare continuità a quel mio cerchio sgangheratoTutto qui
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Ti ringrazio per esserti sbattuta a spiegare. Intanto secondo me maschera è un concetto piuttosto ambiguo. Chiaro che se hai vent'anni ed entri nel mondo del lavoro una serie di tensioni (in)sopportabili ti porteranno a pensare di avere addosso una maschera, ma dopo vent'anni che vivi un certo ambiente la maschera in qualche modo fa parte di te.Ok, definiamo.
Relativamente al riconoscimento di se stessi.
Un sociale indistinto, fatto di maschere fondamentalmente, che tendenzialmente fanno massa, è importante?
Io per esempio scelgo i sociali in cui stare.
Anche a livello lavorativo.
Ma a livello lavorativo è facile.
Basta tenere il livello di relazione sulla competenza e sui risultati misurabili.
Prego.Ti ringrazio per esserti sbattuta a spiegare. Intanto secondo me maschera è un concetto piuttosto ambiguo. Chiaro che se hai vent'anni ed entri nel mondo del lavoro una serie di tensioni (in)sopportabili ti porteranno a pensare di avere addosso una maschera, ma dopo vent'anni che vivi un certo ambiente la maschera in qualche modo fa parte di te.
Anche il discorso dei sociali che uno si sceglie, lo trovo piuttosto relativo. Le scelte che fai in qualche modo scelgono per te, comprese quelle che hai fatto in passato. Se hai investito 10 anni della tua carriera in un ambiente ad altissimo tasso di ipocrisia quale può essere che ne so quello dello spettacolo piuttosto che la Sacra Rota, non butti tutto al cesso e non indossi una maschera. Semplicemente in qualche modo ti amalgami all'ambiente creandoti delle isole felici per salvarti l'anima. Tipo scrivere su un forum, tanto per dire.
in questo contesto, pensare di prescindere dal l'immagine che ti rimandano gli altri, oppure scegliere gli altri in funzione dell'immagine che ci rimandano, e non dirmi che questo rischio non c'è, è una tentazione forte ma pericolosa.
L'immagine che ti rimandano agli altri per come la vedo io è qualcosa di estremamente semplificato rispetto a quella che tu chiami essenza. Semplificato anche e soprattutto perché l'immagine ritornata é vista attraverso una serie di filtri relativi alla loro esperienza di vita e/o a quello che gli serve di dare o di avere.Prego.
Hai ragione, chiariamo il concetto di maschera.
E' una metafora, con cui faccio riferimento ai comportamenti che i diversi ruoli (amica, lavoratrice, amante, etc etc) richiedono nei loro diversi contesti. Permette di mostrare un lato della personalità, ma non la esaurisce. Non siamo soltanto amici, o soltanto lavoratori, siamo l'essenza che interpreta i diversi ruoli.
A 20 anni, non si è ancora del tutto completato il processo di individuazione e le maschere possono pesare oppure essere fondamentali per sostenere l'ingresso nei diversi ambienti che mano a mano diventano sempre più complessi.
Una volta però completato, in teoria, l'essenza che sostiene i diversi ruoli dovrebbe essere definita. In evoluzione, ma strutturata.
Ed è quella l'isola felice. Sapere di essere in un ambiente, lavorativo o quel che si vuole, sapere perchè si è in quell'ambiente, avere degli obiettivi da raggiungere, aver ben chiaro il limite fra maschera ed essenza. E le possibilità di compromesso.
Per esempio, io dubito sarei in grado di fare la killer a pagamento. La maschera del mio ruolo lavorativo sarebbe insopportabile per la mia essenza.
L'immagine che ti rimandano gli altri è una cosa ben complessa e come starci in relazione altrettanto...come se la costruiscono quell'immagine gli altri secondo te?
Che ingredienti ci mettono dentro?
e grazie a te per lo sbattimento.
Più che altro mi chiedo il perché dell'esigenza di avere un "branco" da proteggereL'immagine che ti rimandano agli altri per come la vedo io è qualcosa di estremamente semplificato rispetto a quella che tu chiami essenza. Semplificato anche e soprattutto perché l'immagine ritornata é vista attraverso una serie di filtri relativi alla loro esperienza di vita e/o a quello che gli serve di dare o di avere.
Cionondimeno è utile.
Utile perché ti aiuta a dosare gli sforzi.
Ti racconto una storiella.
Arrivato a 41 anni, posso dirti di aver perso un sacco di tempo a scaccolare disagiati che non se lo meritavano. Tutto sommato, penso che sia il mio più grande rimpianto.
Invece di scegliere in base a requisiti oggettivi il mio branco, me lo sceglievo in base a logiche di appartenenza oppure di affetto. Proprio perché l'immagine che mi restituivano era quella di un patriarca (che a trent'anni è piuttosto ridicolo) che pensava a tutti. Estremamente utile come movens. Arrivi a montarci degli imperi se vuoi. Poi ti accorgi che esistono persone che sono arrivate ad essere meglio dei tuoi protetti in virtù dei loro propri meriti e quelle stesse persone, paradossalmente, ti rimandano un'immagine migliore di te stesso rispetto a quelli sui quali hai perso tempo e sapone (però ti sei fatto dei signori deltoidi). Come se risuonassero con te. Non è un processo lento, meticoloso e razionale. È più che altro istinto, certamente corroborato con l'esperienza, ma sicuramente istinto.
Spero di non essermi capito da solo.
Indole. E modelli familiari.Più che altro mi chiedo il perché dell'esigenza di avere un "branco" da proteggere![]()
Il rovescio della medaglia e' che non arrivi, con queste premesse, a considerarli tuoi pari. Logico che non rimandino una immagine di te che ti soddisfa.Indole. E modelli familiari.
Non è colpa delle premesse. A 30 anni nessuno è nessuno. Che normalmente con le persone con le quali sei cresciuto non hai problemi di parità. Io sono più bravo con le ragazze, tu mi fai il culo a strisce a pallone. E via andare. Il problema reale sta proprio nel fatto che pensavi che quelle persone e quei rapporti in cui uno comincia la frase e l'altro la finisce fossero possibili soltanto all'interno di situazioni di vecchia data. Ma, per dirla con Ipazia, è una maschera pure quella.Il rovescio della medaglia e' che non arrivi, con queste premesse, a considerarli tuoi pari. Logico che non rimandino una immagine di te che ti soddisfa.
Perchè raramente mi accontento delle mascherate![]()
Ecco...hai risposto tu alla questione delle mascherate, nel grassetto intendoL'immagine che ti rimandano agli altri per come la vedo io è qualcosa di estremamente semplificato rispetto a quella che tu chiami essenza. Semplificato anche e soprattutto perché l'immagine ritornata é vista attraverso una serie di filtri relativi alla loro esperienza di vita e/o a quello che gli serve di dare o di avere.
Cionondimeno è utile.
Utile perché ti aiuta a dosare gli sforzi.
Ti racconto una storiella.
Arrivato a 41 anni, posso dirti di aver perso un sacco di tempo a scaccolare disagiati che non se lo meritavano. Tutto sommato, penso che sia il mio più grande rimpianto.
Invece di scegliere in base a requisiti oggettivi il mio branco, me lo sceglievo in base a logiche di appartenenza oppure di affetto. Proprio perché l'immagine che mi restituivano era quella di un patriarca (che a trent'anni è piuttosto ridicolo) che pensava a tutti. Estremamente utile come movens. Arrivi a montarci degli imperi se vuoi. Poi ti accorgi che esistono persone che sono arrivate ad essere meglio dei tuoi protetti in virtù dei loro propri meriti e quelle stesse persone, paradossalmente, ti rimandano un'immagine migliore di te stesso rispetto a quelli sui quali hai perso tempo e sapone (però ti sei fatto dei signori deltoidi). Come se risuonassero con te. Non è un processo lento, meticoloso e razionale. È più che altro istinto, certamente corroborato con l'esperienza, ma sicuramente istinto.
Spero di non essermi capito da solo.