Sì, vedo anche io una immagine simile a come la descrivi.
E hai ragione a specificare profondità. Alla profondità io ci lego l'intensità.
Più si scende, più è intenso, nella mia percezione, e più è intenso più mi chiama a scendere ancora di più.
Parto dal drago, o bestia antica che dir si voglia. Ci ho dovuto pensare, e inizio ringraziando per lo spunto te e @
Skorpio. E' una immagine molto bella.
Io mi sento al sicuro nella bocca del drago.
Per paradosso, è l'unico posto che io conosca in cui mi sento al sicuro.
Con @
spleen si diceva del dormire nel ventre del drago, e sognare.
Ecco,. Al ventre nel mio immaginario non ci si arriva gratis, si passa dalle fauci, e c'è dolore, per entrambi in quel passaggio.
Ma penso sia l'unico modo per cui il drago possa diventare proprio.
In un gioco di specchi in cui ognuno è drago e ognuno è donna/uomo nel suo ventre.
A sognare. E dormire.
E' il posto in cui sogno, lì dentro.
Non sempre sono bei sogni. Spesso sono (stati) incubi.
MA la sensazione di "sicuro" da che ho ricordi, l'ho trovata lì.
La violenza, che citi, sicuramente mi influenza.
Ma penso che la cosa risalga a ben prima della violenza. E' la bambina, che ancora sa vederli i draghi.
Che a sua volta, ed è qui ho imparato sta il riposo e la consolazione, è insieme alla donna che ci si abbandona e alla vecchia che conosce l'antico linguaggio per comprendere e attraversare.
Un tempo entravo disarmata nelle fauci. Come un'esca.
Non avevo bisogno di armi. Perchè l'arma ero io.
Un boccone saporito e stuzzicante, di quelli che poi se ne vuole ancora e ancora.
E il mio gioco era levare esattamente quello.
E godere di quel che sarebbe successo dopo.
Quando il drago era mio, perchè l'illusione era che io fossi nel suo ventre, masticata, ma in realtà ero fuori a guardarlo azzannare il vuoto. Cercando fuori quello che era dentro.
L'ego distrugge più dell'incantesimo...e io ero abile a creare l'incantesimo nutrendo l'ego.
E poi guardavo il drago morire. E un po', mi ricordo morivo anche io, perchè il drago, alla fine ho scoperto sono anche io, in quel gioco di specchi.
Ho vagato parecchio per anche solo avvicinarmi al meccanismo.
Adesso, il drago è il mio posto sicuro. E desidero sia mio. come io desidero essere sua.
La violenza, per quanto mi riguarda, non può essere esclusa.
La mia e quella dell'altro.
Ma nel consenso, smette di essere violenza e diventa accoglienza degli estremi che la compongono.
D'altro canto, non sono mai riuscita a trovare appagamento se non ne vedevo almeno l'ombra.
Ho imparato negli anni che quello che per me fa la differenza, per sentirmi davvero al sicuro, è che il drago lo sappia della sua violenza ( e della mia, che qui scattano altri specchi).
Che non provi a baciarmi senza sapere che potrebbe carbonizzarmi con un sospiro.
Che non pensi di star per masticare un bocconcino soltanto morbido e appetibile.
E credo che sia questa l'eredità più grossa della violenza che ho subito.
Riconoscerla. In me e nell'altro.
Se l'altro non lo sa fare, giro largo.
Perchè allora sarei come la donna che descrivi tu nelle fauci, ossia in reggicalze ma con un coltello infilato fra il velo e la pelle. Pronta ad attaccare e squarciare al minimo accenno.
Ho imparato anche questo a mie (e altrui) spese.
In questi frangenti, non provo pietà e nemmeno rimorso.
E la bestia antica divento io. E decade l'empatia.
Il lasciarmi sfiorare, è una delle abilità che allora utilizzavo per essere un'esca appetibile.
Ma la usavo per essere esca. Non per lasciarmi sfiorare.
Era un sacrificio, nel senso di lasciare qualcosa di sacro, per qualcosa di più sacro ancora. E al tempo per me, anche se non lo sapevo, l'unica cosa veramente sacra era la mia vendetta. Che sovrapponevo alla riappropriazione di me.
Lavare un'onta, come hai scritto.
I riflessi sono ancora lì...li sento a volte che premono. E il desiderio dell'onta per poterla lavare punge. Ma sono le volte in cui io vado a rifugiarmi nel ventre e chiudo gli occhi. E dormo. E sogno.
Ho scoperto che per me, lavare l'onta, è arrendermi all'onta e accoglierla in me. Pienamente.
E' una abilità che ho ancora anche adesso. Anche se adesso è a rovescio rispetto ad allora, o forse adesso è dritta e allora era a rovescio

(che mi sembra la cosa più probabile, anche se non ne sono certa).
Ogni tanto ricasco nelle vecchie abitudini, e mi lascio sfiorare in quell'altro modo.
Poi me ne accorgo e ritorno alle sensazioni di quello sfiorare. A volte faticosamente. A volte spinta da un morso, a volte mordendo
Ma, a differenza di allora, adesso ha un prezzo alto. E non è per tutti.
Perchè è prima di tutto per me.
Per tornare IT, io comprendo quel marito, e lo comprendo da sposa, solo se riesco a sentirmi nella posizione di colei che può concedersi l'accoglienza dell'offerta.
Mi è più semplice chiedere, che accettare le offerte. E mi è più semplice offrire, anche se non è esattamente completezza per me, non l'ho ancora capito, anche se più guardo più mi sembra una scorciatoia per evitare altro che ancora non riesco a guardare se non con la coda dell'occhio.
Guidare piuttosto che lasciarmi guidare.
MA so anche che sono retaggi di rigidità mia. Quando temevo che il mollare la posizione, non essere la guardiana di me stessa avrebbe significato perdermi e perdere la posizione.
Quando ritenevo che le posizioni fossero rigidamente stabilite, quasi a costo della vita.
Quando ancora mi ancoravo ai ruoli, qualunque essi fossero.
Sono brava ad accettare le offerte da sconosciuti. Invece.
Quello mi vien spontaneo.
Ma so anche che è facile, per me.
E non so se è esattamente lo sconosciuto...è una componente, unita al fatto che l'offerta di uno sconosciuto non ha implicazioni in termini di attese. Di compiacimento. E la mia distanza mi permette una visione lucida e pragmatica.
E posso accettare o rifiutare ogni cosa, dal bellissima al puttana, con lo stesso sorriso leggero che avrei mentre mi bevo il caffè.
Da vicino, è come dici tu...si potrebbero creare tempeste e ischemie.
O creare alchimie.
Ma credo questo per me dipenda proprio dal tao con cui hai aperto il tuo post.
EDIT: lo intravedo dove finisce...per me finisce in quei territori dove non c'è pace e nemmeno consolazione...le terre di mezzo, quelle dove ci si perde. Hai mai visto la storia infinita? In quel film c'è la palude della tristezza...ecco. Quei territori lì.