Se posso un consiglio: non continuare a fare la "spugna".
Ritorna quel "resto" pure indietro.
Ciò che ti è mancato - per mancanza e ricerca - lo hai avuto. Nel tuo sentire.
Sei e resti figlia: con la responsabilità e la libertà di poterti permettere anche di chiudere, certi cassetti.
A cosa ti serve continuare a "confermare" quello che è il loro contenuto? Non penso che con il progredire della età tu ti aspettassi davvero di trovare quella madre accudente (non nei bisogni primari) che non hai avuto.
Molla.
Ma senza che questo ti trasformi in madre di tua madre. Non lo sei. Sei figlia di una madre mancante. E punto. Prima ancora di parlare di perdono. Non è che se proietto su di te tutti i mali di questo mondo, io mi rendo immune da giudizio. O da perdono. Perché tu perdoni te stessa. E quanto a tua madre, dici che "è così, ed in quanto tale è come un portatore di handicap". Prova un po' a dire che a te "è capitato", e a vedere dove ti puoi spingere con il perdono. Ciò che ti è possibile. La chiusura del cassetto. Ti darà lo stesso risultato, forse, di un amore un poco monco, di un perdono che forse è più un dono che fai a te stessa. Non lo so. Io proverei.
Che G. faccia "esperienza" mi sembra cosa buona e giusta, comunque
La speranza (anche mia) è che ti rialzi il prima possibile.
Uh, non faccio la spugna, fidati
Quel resto, è incancellabile in me. L'unica scelta che io vedo, proprio per spezzare le catene e non trasformarle in fantasmi che governano in remoto la mia modalità relazionale, è decidere cosa farne.
E io ho deciso di renderlo patrimonio di cambiamento mio. Percorso di individuazione. Che altro non è che dialettica fra identificazione e differenziazione.
I genitori ce li porta dentro fino alla morte.
Non solo in termini affettivi. Ma proprio come "marchio". E' ineludibile. E' eredità e patrimonio.
Anche chi prova, prova, a rimuoverli, allontanandosi fisicamente e tentando di chiudere il legame, può solo chiudere il rapporto. Ma non il legame.
Io penso che riprendersi sia accettare che quello è stato.
Quelli si era.
E che ora non è sempre e neppure mai.
Mi sono spiegata male...vedo lei come una bambina...non perchè io le sia madre. Io sono figlia.
Ma perchè ora sono madre di me.
E questo è il punto.
Non c'è dolore perchè il passato è nel passato.
C'è opportunità perchè il genitore interiore, che può essere maledizione o ricchezza o demone nascosto o dio irraggiungibile, è carne. Semplicemente.
come dicevo a [MENTION=4075]Lostris[/MENTION], chi perdonerei?
La madre che avrei voluto e non c'è?
Dovrei perdonare mia madre per essere quella che è?
Lei è uguale a se stessa, perdonerei un fantasma. Perdonerei una donna che è esistita solo nella mia cameretta mentale in cui cercavo protezione e abbraccio.
Si può perdonare chi dimostra comprensione e desiderio di riparazione.
E in mia madre non esiste nè la comprensione nè il desiderio di riparazione di un qualcosa che per lei non esiste e non è mai esistito.
Creerei l'ennesimo autoinganno. L'ennesima camera degli specchi in cui poter distrarre lo sguardo
da chi sono io che discendo da chi è lei.
E per me è l'unica via per non averla in remoto nelle mie relazioni.
E riconoscerla quando si palesa. E si palesa.
Il perdono io lo rivolgo a me.
Per aver creato illusioni in cui mi sono anche persa.
Nella consapevolezza che se non l'avessi fatto, avrei dato di matto.
E quindi è un perdono che viene dalla gratitudine anche per gli errori.
Ma è separazione.
Oggi la posso gestire, anche ridendone, perchè lei è fuori di me.
E' altro.
E quel che è dentro è mio.
E quel che le do, anche in termini di affetto, ha valore per me.
Non per debito non per rabbia o speranza.
se così non fosse, il genitore fantasmatico starebbe ancora imperversando
i cassetti chiusi sono la distanza per cui diventa evidente che essere madre non garantisce nulla per il solo fatto di esserlo.
Non è il ruolo a fare la differenza.
E' la cura.
E' questo il cassetto importante.
Riconoscere la persona. Anche quando il suo ruolo è stato vitale.