La tua non è una forma di difesa?
Se il tuo mondo diventi te stesso ...devi solo cercare di non farti del male...e fino a che sei convinto di riuscirci va tutto bene .
Ma non siamo nati per bastare a noi stessi ...
Basta una piccola crepa nella corazza ....e sono guai .
ciao, certo che è una forma di difesa.
Le difese sono costitutive. Fisiologiche.
Non sono un problema in sè.
Diventano un problema quando si cristallizza il meccanismo.
E' la cristallizzazione, fissazione, del meccanismo ad essere disfunzionale, non il meccanismo in sè.
Io di difese ne ho usate molte. Moltissime.
Ne ho parlato per mesi con lo psyco.
Sono state funzionale nel momento della loro attivazione.
La scissione mi ha permesso di allontanarmi dal contesto in cui ero, investire su di me, incontrare persone e mondi.
Ha preso la parte di me ferita e l'ha messa al riparo. E questo mi ha permesso di sviluppare altre strategie di espressione che mi han fatta entrare in relazione col mondo.
Incontrare quei padri e quelle madri di cui parla spesso @
spleen. Se non avessi incontrato quelle persone...boh.
Con loro ho sperimentato amorevolezza, fiducia, stima. Abbracci anche.
E questo ha permesso varchi nella corazza. Piccoli. Controllati. Ma pur sempre varchi che han lasciato entrare aria.
Dove sta il problema?
Nel fatto che la scissione è divenuta per un certo periodo di tempo habitus.
Che la parte ferita è rimasta chiusa come se non esistesse. Per certi versi mi sono dimenticata di quella me.
Cristallizzazione del meccanismo.
Ma quella me non si è dimenticata di me

E ogni tanto si faceva sentire.
Col tradimento che ho attuato spesso. Per esempio.
O con una forma di bontà verso alcuni generi di persone che ha rasentato anche la stupidità per certi versi.
Ma che ha tenuto in movimento la mia vita interiore.
Io esemplifico con la scissione.
Ma certe forme di amore, hanno la stessa funzione della difesa cristallizzata.
Il perdono stesso può divenire una forma di difesa da sè. Un tenersi lontani (da sè) attraverso l'altro.
La corazza se c'è, è funzionale a quel sistema.
E ci sono certi sistemi che senza la corazza semplicemente non stanno in piedi. Come fosse un esoscheletro.
Dove si punta lo sguardo?
Sulla teoria o sulla pratica nella valutazione di tutto questo?
A volte, spesso, la differenza la fa il sapere di indossare la corazza e accettare che appartiene al proprio vissuto.
E che questo permette una buona qualità di vita.
Sai quale è la differenza fra me e mia madre?
Che lei agisce senza consapevolezza, sull'onda di spinte che la governano e la conducono nella paura. Con quel che ne consegue. Compresa l'incapacità di prendersi cura di sè.
Io so della mia corazza. La conosco. L'ho accarezzata.
E me la sono pure strappata via. Doloroso. Come togliersi via la pelle, quella era la sensazione. Ho guardato quel che c'era sotto. Quel che c'è. Sono stata senza pelle, sotto controllo...ricordo il mio psyco che mi chiedeva di tener ascolto del mio dolore, e valutare i farmaci nel caso. Alla fine della terapia mi ha detto che era stato molto preoccupato. E che era stato pronto a indirizzarmi ad un altro tipo di percorso. Ho resistito...e le mie difese, minchia se mi sono state utili per prender pausa in quel periodo. Per rallentarmi e calmarmi quando mi sembrava di non avere non solo la corazza ma neanche più la pelle. Come una ustionata.
E mi ricordo lo specchio, fisico, davanti a cui mi ha mandato lo psyco in quel periodo...ho dormito una cosa come 20 ore filate (altra mia difesa, il sonno) dopo essermi vista.
Ecco...io ho respirato mia madre, riconosco le sue eredità in me. Riconosco i meccanismi che sono anche i suoi.
E la differenza è semplicemente questa. So. Vedo. E guardo. Con intenzionalità.
E la corazza, adesso, la indosso quando lo decido.
Tentenno ancora eh. Ma adesso la posso mettere e togliere.
Senza strapparmi la pelle, ma anzi, accomodandomici dentro facendo combaciare dove le cicatrici hanno indurito....
Le ferite passano. Se le si lascia all'aria. Questa è la variabile.
Lasciarle all'aria senza precorrere i tempi con la razionalizzazione o gli accomodamenti.
Restano le cicatrici. Di cui aver cura e che ogni tanto tirano. Fisiologico anche questo.
E funzionale. Significa non aver perso il filo del proprio vissuto.
Quanto al mondo...l'hai imparato pure tu.
Il tuo mondo sei tu.
Poi, puoi decidere a chi concedere l'accesso.
Sono d'accordo sul non bastare a se stessi.
Che è la differenza fra isolamento e solitudine.
L'isolamento è credere che fuori non ci sia nulla di interessante.
La solitudine è la buona compagnia con se stessi, una stanza come piace con un qualcosa di buono da gustare in pace e serenità. E le chiavi in mano. Lo spazio in cui coltivare e nutrire la propria creatività e la propria capacità di immaginare e costruire nuovi percorsi nel mondo.
Lo spazio che permette di incontrare l'altro senza doverlo etichettare, catalogare, collocare. (cosa rischiosa...etichettare l'altro è un modo per mantenere intatta l'immagine e le credenze di sè. Cristallizzandosi. Per poi sbattere il naso e scoprire che l'altro è uno sconosciuto...con sfaccettature che non erano viste nell'etichettatura).
Nella mia esperienza, le crepe nella corazza...sono state salvifiche (spesso i guai lo sono. Portano crisi. E le crisi servono. O almeno, servono se le si usa come motore di cambiamento e non come arroccamenti).
