"Non mi fido direttamente di lui.
Io ripongo in lui la mia fiducia in me e in questo modo nutro la fiducia in lui.
E' una dichiarazione anche dell'assunzione del rischio che lui mi possa fare del male.
E potrebbe succedere.
Anzi, se non ci fosse la possibilità che accada - farsi male l'un l'altro intendo - non staremmo insieme come stiamo insieme.
Riporre in lui la mia fiducia in me significa fidarmi delle mie valutazioni su di lui.
Anche nel caso mi facesse male.
Quello che posso fare è guardarmi, essere attenta a me. Aver cura di me.
Posso costruire fiducia in me.
Non nel fatto che faccio tutto giusto, ma nel fatto che AMO me stessa.
E offrire questo all'altro.
Assumendomi il rischio che mi ferisca, anche che possa approfittarsi di me.
Assumendo il rischio di stare in relazione.
E mettendo la mia attenzione. A NOI. Proteggendoci.
Più di questo non posso."
Ho scritto quello che ho copiato qui sopra.
Ossia che mi fido delle mie valutazioni su di lui.
Lui non entra in questo processo.
Ne è l'oggetto.
Il soggetto sono io.
(allo stesso modo in cui io sono l'oggetto del suo processo a riguardo).
Ritorna soggetto (e lo ritorno io) nel momento in cui offro il risultato
momentaneo del processo...e ne assume come soggetto la responsabilità della cura. E io anche.
SE mi dovessi fidare di noi e soprattutto di me a partire dalla sue valutazioni, secondo il mio sistema mi starei consegnando mani e piedi al nemico


(e fra l'altro sarebbe una cosa che tradirebbe la nostra costituzione emotiva. Quindi lo starei pure tradendo, e viceversa)
Dov'è che avrei scritto un tale abominio?????