Mi provochi?

Il metodo del recupero, apparentemente a favore degli alunni, non mette in discussione l’insegnamento. Distingue tra che apprende nei “modi e tempi giusti” (che non sono giusti, ma quelli dati) e chi no. Mentre la cosa più difficile da verificare è l’apprendimento.
Ad esempio, è nota la richiesta di riferire “con parole proprie”. Ma cosa significa? Ci si aspetta che lo scolaro/alunno/studente sia in grado di usare correttamente i sinonimi? Ci si aspetta che esponga facendo una rielaborazione sintattica? Quindi si sta verificando l’acquisizione di contenuti o le abilità linguistiche? Del resto esistono termini specifici di ogni disciplina che possono essere sostituiti con dei sinonimi solo diminuendo la precisione. A questa richiesta si aggiunge spesso “non studiare a memoria“, come se si potesse acquisire qualcosa senza memorizzarlo oppure si aggiunge “non ripetere a pappagallo“ con una sfumatura di disprezzo per chi memorizza facilmente.
Adattare l’insegnamento a ogni modalità di apprendimento non significa fare insegnamento individuale, ma di utilizzare per tutti tutti i mezzi possibili. Questo è utile per tutti e non è una perdita di tempo per chi è “bravo”, perché tutti usiamo tutti i mezzi per apprendere. È noto il detto “Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco” che invece deve diventare “ascoltare, vedere, leggere, sperimentare, verbalizzare…” insomma l’apprendimento deriva da una serie di esperienze che coinvolgono tutti i sensi e tutte le parti del cervello.
Vedo sempre più “influencer“ che danno consigli di studio di una banalità sconcertante che ricordano ciò che dicevano anche i nonni e i portinai, pure se persone poco scolarizzate, cose tipo “stai attento in classe”, “prendi appunti“, “ripassa il giorno stesso”.
Come se stare attenti non fosse una competenza complessa, così come prendere appunti e rivedere i contenuti di una lezione, cogliendo l’essenziale fosse facilissimo.
Evidentemente o ci sono studenti abbandonati a loro stessi o ci sono genitori e nonni che cercano conferme alla loro “saggezza”.
Il tempo dello studio non ha nulla a che vedere con il mondo del lavoro.