Indi Gregory

ologramma

Utente di lunga data
ma ve ne accorgete che la politica italiana approfitta di tutto per farsi gli affari propri con tutti i casini che leggo sui giornali italiani pensassero a noi ,
 

Brunetta

Utente di lunga data

Qui c'è una versione ancora diversa: "...Il 6 novembre la premier Meloni ha convocato d’urgenza un Consiglio dei Ministri per conferirle la cittadinanza e permetterle di… far cosa, in effetti? Nulla. Trasferirsi a Roma per restare legata a tutti i sostegni vitali di cui già usufruiva a Londra, ma a tempo indeterminato e gratuitamente, come previsto dal nostro sistema sanitario. Non ci sarebbe stato nessun intervento o cura miracolosa.".. c'è un bel problema anche a livello di informazione che ostacola anche solo farsi un'idea..


Alla fine il punto più interessante che ho trovato è questo: "I medici spiegavano che, proprio a causa della malattia e di uno stato di attività cerebrale pressoché del tutto assente, la piccola Indi probabilmente si trovava in una condizione tale da non poter provare alcun dolore. Di fronte all'assenza di dolore, alla volontà della famiglia, alla disponibilità da parte di una struttura sanitaria di eccellenza di accoglierla per sottoporla a cure palliative, perché non aver lasciato ai genitori la decisione su come accompagnare la propria figlia verso il fine vita? Stabilire quali condizioni possano o non possano essere definite come "vita" è un terreno scivoloso sul quale ci si dovrebbe muovere con un'enorme cautela. Un tema, anche molto personale, sul quale non potrà di certo essere in alcun modo dirimente una sentenza di tribunale."
La concessione della cittadinanza per atto della Presidenza del Comsiglio è una cosa di cui non voglio parlare. La strumentalizzazione è evidente.
I giornali fanno pena e ho letto su altri argomenti cose prive di fondamento.
Io non ho le competenze né mediche, né giuridiche.
Ma se una Paese ha una legislazione non credo proprio che la voglia cambiare perché un altro Stato si vuole sostituire.
L’Italia, ad esempio, è contro la gpa (cosa che condivido) e finisce dentro a una contraddizione perché finisce per non riconoscere certificazioni di altri paesi.
Voglio dire che in casi come questi si intrecciano molte questioni.
Anche rispetto alla potestà genitoriale.
 

Marjanna

Utente di lunga data
Quelli che si chiamano "viaggi della speranza" avvengono di continuo, anche nella stessa Italia.
Alcuni medici operano casi che altri ritengono inoperabili, specialmente a fronte di patologie gravi, o condizioni del corpo gravi (come nel caso di chi ha già subito diverse operazioni).
Esiste una forma di eutanasia in Italia, e sono le cure palliative di fine vita (sedazione terminale). Nei confronti che potuto avere, con chi ha avuto parenti malati di tumore al pancreas, da entrata in hospice la media di giorni di vita è di 5 giorni. Se la persona è in grado di muoversi, dopo 2 giorni sarà allettata.
Tante cose, a livello logico, lette con distanza sono scontate, ma quando è presente un legame affettivo con la persona malata, specialmente se è presente un percorso in cui si è cercata una cura, non è di poco impatto sentire parlare di sospensione. Sospensione di farmaci o sospensione di esami. Ad esempio vi è un punto in cui non verranno eseguite più tac, per verificare metastasi, a fronte di una condizione che determinerà la morte della persona. Alcuni oncologi su dati clinici riescono veramente a dire quanto ha ancora davanti di vita una persona (margine di errore direi circa una settimana).
Nella stessa Italia vi è mancanza di collaborazione tra alcune aziende ospedaliere, e un paziente che vada da un luminare potrebbe trovare problemi a chiedere al proprio ospedale di riferimento, di applicare delle cure facendo riferimento ad una persona esterna. Questo per non troppo chiari contrasti e robe di potere.

Lo stato psicologico di questi genitori, il motore di ricerca di cura, mi pare evidente.
Notizia che ha fatto notizia, ma sono fatti più comuni di quanto si creda.
 

Nocciola

Super Moderatore
Staff Forum
Quelli che si chiamano "viaggi della speranza" avvengono di continuo, anche nella stessa Italia.
Alcuni medici operano casi che altri ritengono inoperabili, specialmente a fronte di patologie gravi, o condizioni del corpo gravi (come nel caso di chi ha già subito diverse operazioni).
Esiste una forma di eutanasia in Italia, e sono le cure palliative di fine vita (sedazione terminale). Nei confronti che potuto avere, con chi ha avuto parenti malati di tumore al pancreas, da entrata in hospice la media di giorni di vita è di 5 giorni. Se la persona è in grado di muoversi, dopo 2 giorni sarà allettata.
Tante cose, a livello logico, lette con distanza sono scontate, ma quando è presente un legame affettivo con la persona malata, specialmente se è presente un percorso in cui si è cercata una cura, non è di poco impatto sentire parlare di sospensione. Sospensione di farmaci o sospensione di esami. Ad esempio vi è un punto in cui non verranno eseguite più tac, per verificare metastasi, a fronte di una condizione che determinerà la morte della persona. Alcuni oncologi su dati clinici riescono veramente a dire quanto ha ancora davanti di vita una persona (margine di errore direi circa una settimana).
Nella stessa Italia vi è mancanza di collaborazione tra alcune aziende ospedaliere, e un paziente che vada da un luminare potrebbe trovare problemi a chiedere al proprio ospedale di riferimento, di applicare delle cure facendo riferimento ad una persona esterna. Questo per non troppo chiari contrasti e robe di potere.

Lo stato psicologico di questi genitori, il motore di ricerca di cura, mi pare evidente.
Notizia che ha fatto notizia, ma sono fatti più comuni di quanto si creda.
Sono volontaria in un hospice quindi vivo queste situazioni (malati terminali) ogni settimana
Sono diventata volontaria dopo che mio padre è mancato proprio in quel hospice (non era malato oncologico).
ringrazieró a vita chi ha pensato a creare queste strutture dove la gente ci lascia senza sofferenza e soprattutto senza rendersene conto
 

Marjanna

Utente di lunga data
Sono volontaria in un hospice quindi vivo queste situazioni (malati terminali) ogni settimana
Sono diventata volontaria dopo che mio padre è mancato proprio in quel hospice (non era malato oncologico).
ringrazieró a vita chi ha pensato a creare queste strutture dove la gente ci lascia senza sofferenza e soprattutto senza rendersene conto
Me lo ricordo bene, lo hai già scritto più volte.
Ma hai letto quello che ho scritto come critica agli hospice?
 

Nocciola

Super Moderatore
Staff Forum
Me lo ricordo bene, lo hai già scritto più volte.
Ma hai letto quello che ho scritto come critica agli hospice?
Si. Per te è un critica per me una benedizione
Aggiungo chr quando hanno deciso di iniziare la sedazione tutto il dolore e la preoccupazione per mio padre è scomparsa. Ho ritrovato ls serenità di vederlo sereno e spegnersi con me e mia mamma al suo fianco.
ancora oggi quando entro in hospice e passo davanti alla stanza dove era lui mi capita di sorridere
Non potevo volere per lui una fine migliore di quella non potendo sperare in una guarigione o in una vita degna
 

CIRCE74

Utente di lunga data
Si. Per te è un critica per me una benedizione
Aggiungo chr quando hanno deciso di iniziare la sedazione tutto il dolore e la preoccupazione per mio padre è scomparsa. Ho ritrovato ls serenità di vederlo sereno e spegnersi con me e mia mamma al suo fianco.
ancora oggi quando entro in hospice e passo davanti alla stanza dove era lui mi capita di sorridere
Non potevo volere per lui una fine migliore di quella non potendo sperare in una guarigione o in una vita degna
anche io ho vissuto una cosa simile per mio padre...un infarto se lo è portato via nel momento che il male iniziava a rendere la sua vita non più degna di essere vissuta...ho ringraziato Dio per questo...
 

Marjanna

Utente di lunga data
Si. Per te è un critica per me una benedizione
Aggiungo chr quando hanno deciso di iniziare la sedazione tutto il dolore e la preoccupazione per mio padre è scomparsa. Ho ritrovato ls serenità di vederlo sereno e spegnersi con me e mia mamma al suo fianco.
ancora oggi quando entro in hospice e passo davanti alla stanza dove era lui mi capita di sorridere
Non potevo volere per lui una fine migliore di quella non potendo sperare in una guarigione o in una vita degna
Grazie per avermi risposto.
Non lo davo per scontato.

Per te è una critica, non per me.
Esiste una forma di eutanasia in Italia, e sono le cure palliative di fine vita (sedazione terminale). Nei confronti che potuto avere, con chi ha avuto parenti malati di tumore al pancreas, da entrata in hospice la media di giorni di vita è di 5 giorni. Se la persona è in grado di muoversi, dopo 2 giorni sarà allettata.

Ho scritto un messaggio senza quotare nessuno, dopo aver letto una serie di messaggi.
Quando si parla di eutanasia e di "staccare macchine" o roba simile, pare quasi in Italia non ne esista alcuna forma, mentre invece è comune la sospensione delle terapie quando subentrano le cure palliative. Quindi per essere chiari, nel momento che entrano le cure palliative, viene levata o diventa inapplicabile una cura intesa come la consideriamo genericamente, in cui si tende ad un recupero verso la vita, intesa come la vita che la persona stessa poteva svolgere prima del conclamarsi di una patologia. Il termine stesso, palliazione, dice tutto.

Ho citato gli hospice ma come tu ben saprai, non è solo negli hospice che può avvenire un percorso di fine vita, ma è possibile farlo anche rimanendo a casa propria (qui si potrebbe aprire una divagazione su come funziona a livello sanitario a seconda della regione, ma non mi pare il caso di andare nello specifico).
So che nella letteratura scientifica le cure palliative vengono divise dal concetto di eutanasia (probabilmente è nell’uso del termine eutanasia che hai letto una critica agli hospice), intesa come morte intenzionale, effettuata da un medico, per mezzo della somministrazione di farmaci, assecondando la richiesta volontaria e consapevole della persona stessa.
Mentre la definizione di Sedazione Palliativa è la seguente: Riduzione, fino alla totale abolizione, della coscienza del paziente, indotta farmacologicamente, finalizzata al controllo di gravi sintomi refrattari in prossimità della morte (ore o pochi giorni).
Sintomo refrattario Sintomo che non può essere adeguatamente controllato nonostante ogni sforzo volto ad identificare una terapia adeguata che non comprometta lo stato di coscienza.

Ma di fatto non è infrequente che una persona con già gravi comprossioni fisiche arrivi alla morte con concomitanza di quanto può produrre l’uso di determinati farmaci (morfina, fentanyl, ossidocone, ect), ad esempio la depressione respiratoria conseguente da oppiacei, già "visibile" con un decremento della saturazione di ossigeno dopo la prima somministrazione di oppioidi.
Probabilmente per te, molte di queste cose, come si suol dire sono accademia, ma per molte persone non è lo stesso.
La decisione anche riguardo le cure palliative, prevede un consenso informato qualora il paziente venga definitivo "competente", o in altri casi un giudizio sostitutivo. La prassi prevederebbe che laddove siano facilmente prevedibili complicanze terminali andrebbero preparati in anticipo e con gradualità, paziente e familiari.

In questo non vi è critica, ne giusto o sbagliato, ne buono o cattivo, è quanto noi abbiamo stabilito, perlomeno in Italia.
In altri luoghi del nostro pianeta, o in passato, quanto stabilito era diverso.

Fuori da quello che può essere un ambito accademico, si tende più ad andare alla sostanza, e di fatto quindi ho usato scrivere che esiste una forma di eutanasia.

Se devo rivolgere una critica, ma critica in senso lato, nel senso che non so che critica possa essere scritta nel nulla, è che tutto ciò che è perfetto in letteratura scientifica, talvolta non è esattamente uguale quando viene applicato, magari nel reparto di un ospedale.

E’ vero, non siamo abituati a vedere i nostri simili morire, e la perdita di una persona cara è qualcosa che spesso viene vissuto come evento sconvolgente, per quanto razionalmente si possa tutti concordare che la morte fa parte della natura.

Anche se ci sono percorsi diversi, il mio, quello di Giulia, il tuo (nel neretto tu non mi parli di tuo padre, di qualcosa di clinico, ma di te, della tua condizione, non della sua) il dolore lo abbiamo provato. Leggendo Giulia (messaggi passati, non recenti), che ha descritto qualcosa quasi in antitesi rispetto a quanto ho vissuto io, ho capito quanto entrambe più ancora a fronte dell’antitesi parlassimo di uno stesso dolore.
Non so se questo si capirà.

A questo punto, per completezza, dovrei scrivere cosa ho visto io, però dal momento che tante persone probabilmente non lo vivranno mai, e che non ci stiamo scrivendo in forma privata, preferisco autocensurarmi. Non riguarda gli hospice, ad ogni modo.
Dopo lo collochi, dentro quel dolore comune ad un percorso di malattia, che porta a vedere mancare un affetto.

Oltre i casini svolti da personaggi che su vicende umane ne fanno questione di potere, come penso sia avvenuto in questo caso (tema del topic), a me pare che venga dimenticata la storia di una madre, che avrà seguito lo svolgersi della patologia della figlia, ed entrando nel mondo della patologia, scoprendo termini che magari non conosceva, seguendo un percorso teso a vedere la propria creatura migliorare. Non credo a tal proposito possano far testo parole come quelle riportate in uno degli articoli che ho letto qua sopra, in cui la madre dice una cosa, e il padre invece un altra. Mi pare evidente che questa donna, questi genitori, stavano lottando per seguire delle cure, sperando da qualche parte venisse data una possibilità alla piccola, per questo ho usato il termine "viaggio della speranza", e non credo quindi sia tanto importante il dettaglio clinico specifico, in qualche modo quella donna ha certo visto un possibilità per la sua creatura, nel viaggio in Italia.
E qui non escludo sia mancato, un tempo che teoricamente si pensa dovuto e dedicato, alla preparazione della morte della creatura.
 
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Nocciola

Super Moderatore
Staff Forum
Grazie per avermi risposto.
Non lo davo per scontato.

Per te è una critica, non per me.
Esiste una forma di eutanasia in Italia, e sono le cure palliative di fine vita (sedazione terminale). Nei confronti che potuto avere, con chi ha avuto parenti malati di tumore al pancreas, da entrata in hospice la media di giorni di vita è di 5 giorni. Se la persona è in grado di muoversi, dopo 2 giorni sarà allettata.

Ho scritto un messaggio senza quotare nessuno, dopo aver letto una serie di messaggi.
Quando si parla di eutanasia e di "staccare macchine" o roba simile, pare quasi in Italia non ne esista alcuna forma, mentre invece è comune la sospensione delle terapie quando subentrano le cure palliative. Quindi per essere chiari, nel momento che entrano le cure palliative, viene levata o diventa inapplicabile una cura intesa come la consideriamo genericamente, in cui si tende ad un recupero verso la vita, intesa come la vita che la persona stessa poteva svolgere prima del conclamarsi di una patologia. Il termine stesso, palliazione, dice tutto.

Ho citato gli hospice ma come tu ben saprai, non è solo negli hospice che può avvenire un percorso di fine vita, ma è possibile farlo anche rimanendo a casa propria (qui si potrebbe aprire una divagazione su come funziona a livello sanitario a seconda della regione, ma non mi pare il caso di andare nello specifico).
So che nella letteratura scientifica le cure palliative vengono divise dal concetto di eutanasia (probabilmente è nell’uso del termine eutanasia che hai letto una critica agli hospice), intesa come morte intenzionale, effettuata da un medico, per mezzo della somministrazione di farmaci, assecondando la richiesta volontaria e consapevole della persona stessa.
Mentre la definizione di Sedazione Palliativa è la seguente: Riduzione, fino alla totale abolizione, della coscienza del paziente, indotta farmacologicamente, finalizzata al controllo di gravi sintomi refrattari in prossimità della morte (ore o pochi giorni).
Sintomo refrattario Sintomo che non può essere adeguatamente controllato nonostante ogni sforzo volto ad identificare una terapia adeguata che non comprometta lo stato di coscienza.

Ma di fatto non è infrequente che una persona con già gravi comprossioni fisiche arrivi alla morte con concomitanza di quanto può produrre l’uso di determinati farmaci (morfina, fentanyl, ossidocone, ect), ad esempio la depressione respiratoria conseguente da oppiacei, già "visibile" con un decremento della saturazione di ossigeno dopo la prima somministrazione di oppioidi.
Probabilmente per te, molte di queste cose, come si suol dire sono accademia, ma per molte persone non è lo stesso.
La decisione anche riguardo le cure palliative, prevede un consenso informato qualora il paziente venga definitivo "competente", o in altri casi un giudizio sostitutivo. La prassi prevederebbe che laddove siano facilmente prevedibili complicanze terminali andrebbero preparati in anticipo e con gradualità, paziente e familiari.

In questo non vi è critica, ne giusto o sbagliato, ne buono o cattivo, è quanto noi abbiamo stabilito, perlomeno in Italia.
In altri luoghi del nostro pianeta, o in passato, quanto stabilito era diverso.

Fuori da quello che può essere un ambito accademico, si tende più ad andare alla sostanza, e di fatto quindi ho usato scrivere che esiste una forma di eutanasia.

Se devo rivolgere una critica, ma critica in senso lato, nel senso che non so che critica possa essere scritta nel nulla, è che tutto ciò che è perfetto in letteratura scientifica, talvolta non è esattamente uguale quando viene applicato, magari nel reparto di un ospedale.

E’ vero, non siamo abituati a vedere i nostri simili morire, e la perdita di una persona cara è qualcosa che spesso viene vissuto come evento sconvolgente, per quanto razionalmente si possa tutti concordare che la morte fa parte della natura.

Anche se ci sono percorsi diversi, il mio, quello di Giulia, il tuo (nel neretto tu non mi parli di tuo padre, di qualcosa di clinico, ma di te, della tua condizione, non della sua) il dolore lo abbiamo provato. Leggendo Giulia (messaggi passati, non recenti), che ha descritto qualcosa quasi in antitesi rispetto a quanto ho vissuto io, ho capito quanto entrambe più ancora a fronte dell’antitesi parlassimo di uno stesso dolore.
Non so se questo si capirà.

A questo punto, per completezza, dovrei scrivere cosa ho visto io, però dal momento che tante persone probabilmente non lo vivranno mai, e che non ci stiamo scrivendo in forma privata, preferisco autocensurarmi. Non riguarda gli hospice, ad ogni modo.
Dopo lo collochi, dentro quel dolore comune ad un percorso di malattia, che porta a vedere mancare un affetto.

Oltre i casini svolti da personaggi che su vicende umane ne fanno questione di potere, come penso sia avvenuto in questo caso (tema del topic), a me pare che venga dimenticata la storia di una madre, che avrà seguito lo svolgersi della patologia della figlia, ed entrando nel mondo della patologia, scoprendo termini che magari non conosceva, seguendo un percorso teso a vedere la propria creatura migliorare. Non credo a tal proposito possano far testo parole come quelle riportate in uno degli articoli che ho letto qua sopra, in cui la madre dice una cosa, e il padre invece un altra. Mi pare evidente che questa donna, questi genitori, stavano lottando per seguire delle cure, sperando da qualche parte venisse data una possibilità alla piccola, per questo ho usato il termine "viaggio della speranza", e non credo quindi sia tanto importante il dettaglio clinico specifico, in qualche modo quella donna ha certo visto un possibilità per la sua creatura, nel viaggio in Italia.
E qui non escludo sia mancato, un tempo che teoricamente si pensa dovuto e dedicato, alla prepazione della morte della creatura.
La parola critica l’hai usata tu
Forse non ho compreso cosa intendessi
Non ho compreso il passaggio del dolore mio tuo o di Giulia
Io conoscendo mio padre so che non avrebbe desiderato nulla di diverso da quello che è stato. La mia serenità era sapere che non si rendeva conto che ci stava lasciando, nel non averlo visto soffrire nemmeno un minuto. Ed è tanto.
sicuramente è una forma di eutanasia legalizzata ma ben venga. Credo si sia capito che sono a favore di poter decidere come terminare la mia vita e trovo “vergognoso” che non si pensi a una normativa che non ci costringa a recarci in altri Stati.
 

ToyGirl

Utente di lunga data
Cosa ne pensate della vicenda?
Fino a che punto ritenete giusto mantenere in una specie di vita una persona?
Io sono favorevole che un essere umano capace di intendere e di volere sia aiutato dallo Stato a morire, se la sua vita è solo sofferenza fisica e questa persona desideri fortemente terminarla.
In questo caso parliamo di una bambina, ovviamente incapace di intendere e di volere, i cui tutori legali sono i genitori, i quali volevano che vivesse.
È stato commesso, per me, un gravissimo abuso, facendo morire questa bimba senza il consenso dei genitori. Eticamente e moralmente spettava a loro decidere. Non a un tribunale del cazzo.
 

feather

Utente tardo
E se i genitori si accaniscono a far curare un figlio con la cura Di Bella, con l'omeoterapia, con i tarocchi.. Lo stato dovrebbe intervenire? Dove tiri la riga?
 
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