Fra teoria e pratica c'è sempre una grande distanza.
Spesso, è non è una giustificazione ma una presa d'atto, si segue il male minore.
La medicina occidentale, nonostante le teorie più diffuse ormai assumano serenamente il fatto che il nostro organismo è un sistema complesso (e in organismo è incluso anche il cervello) e connesso (pensa agli studi sugli effetti dei paesaggi naturali) si muovono sulla cura dei sintomi anzichè sulla ricerca e cura delle cause.
Quando mio padre aveva il linfoma, il primo sintomo era vomitare.
Continuamente. Mangiava e vomitava.
Sai quale è stata la prima terapia suggerita?
Pantoprazolo.
Dopo mesi di inutili tentativi e linfoma che giocava a nascondino con gli esami oltre che qualche imbecille e una bellissima diagnosi sbagliata che gli dava 3 mesi di vita mi sono rotta il cazzo di rispettare la capacità di valutazione dei miei genitori (che evidentemente non era sufficiente per la situazione) e dei medici, mi sono incazzata e ho fatto due telefonate. Due di numero.
Diagnosi fatta in due giorni, con tanto di cazziatone e rimozione del medico che oltre che emettere diagnosi sbagliata stava pure facendo il principe di 'sto cazzo con i risultati.
E non era il medico di base.
Ma il medico di base era risultato utile se non come erogatore di impegnative.
In una settimana era nel protocollo chemioterapico.
Era un linfoma, patologia studiatissima e conosciuta.
Pensa a cosa succede quando le questioni riguardano il cervello.
In una società ignorante che ancora crede che analizzarlo sia una forma della magia, che se nomini neuroscienze e funzionamento si rifugia nei "credo e non credo" e che ancora dorme il sonno dei giusti per cui disturbo di funzionamento neurologico viene sovrascritto con matto.
Società che ancora non sa riconoscere la sottile linea di demarcazione fra cervello e mente e ancora si appoggia alla distinzione antica fra mente e corpo. Potrei andare avanti ma mi fermo.
Per mio padre si è risolta bene solo perchè abbiamo avuto gli strumenti per muoverci. Il sistema lo stava rimbalzando a destra e a manca.
Detto questo, mia madre, con una storia mista di depressione e varie ed eventuali, si prende serenamente il suo zoloft.
Non è in grado di seguire una terapia psicologica di sostegno al farmaco. E non è l'unica a non avere gli strumenti per farlo.
Quindi, siccome non tutti hanno le abilità per trarre giovamento da una terapia che richiede un percorso doloroso di indagine e presa di consapevolezza di sè, va bene anche la riduzione del danno. E ben venga il medico di base che prescrive la pastiglietta che da almeno sollievo.
Che è la stessa cosa che si fa con le cure palliative.
Non ti posso curare, almeno provo a migliorare farmacologicamente la tua qualità della vita in attesa della tua morte.
La cura non sempre è possibile.
E allora si curino almeno i sintomi.
Anche il pensare che si possa guarire da tutto è frutto di una società distopica che si affida alla scienza come fosse fede e poi si incazza quando sperimenta che la scienza è scienza.