Una famiglia felice

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Lo conoscevo, è un video che mi aveva molto emozionato.
C'è più consapevolezza, manca ancora la "rete".
E' un bel video!
A me piace anche l'altro in cui lui dice "uè gente, non uso cocaina, ho la tourette!!" :D

La rete è stata smantellata, negli ultimi 25 anni il lavorio a riguardo è stato piuttosto intenso.
Ma anche rispetto a questo bisognerebbe ripercorrere il modello che è oscillato fra assistenzialismo, che si potrebbe riassumere nel "poverino" con il suo rovescio "delinquente", e la destrutturazione.

Di base un pensiero organico e programmatico rispetto a queste tipologie di problematica non c'è.

Il rovescio della medaglia di quel video, che ho ritrovato in molti shorts è il messaggio che non mi è piaciuto, ossia che con l'amore si cura tutto.
E no. E' una puttanata magistrale.
Il disturbo psichiatrico spesso si risolve in violenza. Non necessariamente fisica. La violenza fisica è solo l'ultimo step.
E fin dagli esordi. I famosi segnali.
 

Andromeda4

Utente di lunga data
La cannabis, sempre più ritenuta innocua, contiene sempre più principi che slatentizzano disturbi mentali.
Del resto abbiamo voluto dimenticare come, non bastando la nicotina naturale, i produttori di sigarette avessero fatto aggiunte per aumentare la dipendenza.

https://it.wikipedia.org/wiki/Insider_-_Dietro_la_verità

Io l'ho sempre saputo. Ce lo spiegarono al corso di primo soccorso, anni fa, e prima ancora al ginnasio. È che si vuole dimenticare, come hai detto tu. Si razionalizza, si normalizza, quel gesto con la mano, quando si dice "eh, mi faccio SOLO le canne" come a dire "preferisco prendere il tè invece del caffè, è questione di gusti" mi è di un odioso insopportabile. Poi il ragazzo arriva a passare e far passare notti insonni, dicendo "il cane sta mandando dei lampi di luce, dove passa lui ci sono scatole rosse, prima erano blu" e si piange. Dopo.
 

Andromeda4

Utente di lunga data
A quali dosaggi?

Perché non esiste nulla di innocuo, neanche i prodotti farmaceutici più comuni.
La tossicità dipende dal dosaggio e dalla modalità di assunzione.
Anche la cannabis può produrre dipendenza, ma in misura limitata (10% circa dei consumatori).
Perlopiù in consumatori occasionali dà solo effetti temporanei.
Il problema è l'abuso (in assenza di controllo medico) in ogni caso, tanto che il trattamento delle droghe avviene proprio in conseguenza di un uso prolungato, con relativi effetti sull'organismo e per alcune droghe per la dipendenza che ne consegue.
L'ABUSO di cannabis può produrre problemi psichici, come ansia, pensieri suicidari, depressione, può aggravare disturbi preesistenti, può anticiparne la comparsa in persone predisposte.
Ma fondamentalmente è un problema di posologia, non di sostanza in sé (che viene usata anche per uso medico, per esempio per lenire gli spasmi nei casi di sclerosi multipla).
Se leggete i vari bugiardini farmaceutici (soprattutto degli psicofarmaci, anche quelli di uso più comune) troverete difatti spesso gli stessi effetti collaterali.
L'abuso nasce dal voler superare la dose minima. Perché piace, perché euforizza. Che problema c'è, a prenderne un po' di più? E domani ancora di più.
È questa la dipendenza.
 

ParmaLetale

Utente cornasubente per diritto divino
E' un bel video!
A me piace anche l'altro in cui lui dice "uè gente, non uso cocaina, ho la tourette!!" :D

La rete è stata smantellata, negli ultimi 25 anni il lavorio a riguardo è stato piuttosto intenso.
Ma anche rispetto a questo bisognerebbe ripercorrere il modello che è oscillato fra assistenzialismo, che si potrebbe riassumere nel "poverino" con il suo rovescio "delinquente", e la destrutturazione.

Di base un pensiero organico e programmatico rispetto a queste tipologie di problematica non c'è.

Il rovescio della medaglia di quel video, che ho ritrovato in molti shorts è il messaggio che non mi è piaciuto, ossia che con l'amore si cura tutto.
E no. E' una puttanata magistrale.
Il disturbo psichiatrico spesso si risolve in violenza. Non necessariamente fisica. La violenza fisica è solo l'ultimo step.
E fin dagli esordi. I famosi segnali.
Potresti fare qualche esempio di questi segnali? Sono specifici ed inequivocabili, sia pure solo per chi li sa vedere, o sono aspecifici tali per cui occorre monitorare per eventualmente coglierne altri fino a che non resta che la diagnosi (che però abbiamo visto possibile solo da una certa età in poi)?
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Perchè poi mi vengono in mente realtà distopiche, tipo screening di massa per individuare i pericolosi prima del tempo e cose così...
Tutto è possibile, d'altro canto è già stato fatto anche usando semplicemente la filosofia.
Siamo bestie così.
Tendiamo a cercare l'estremo e l'opposto.

Io vedo con positività però la lettura per cui la mente smette di essere una entità volatile, un fantasma soggetto alla magia e alla superstizione e diviene essa stessa inclusa in un funzionamento organico.
 

ParmaLetale

Utente cornasubente per diritto divino
Tutto è possibile, d'altro canto è già stato fatto anche usando semplicemente la filosofia.
Siamo bestie così.
Tendiamo a cercare l'estremo e l'opposto.

Io vedo con positività però la lettura per cui la mente smette di essere una entità volatile, un fantasma soggetto alla magia e alla superstizione e diviene essa stessa inclusa in un funzionamento organico.
Altrochè, con l'augurio che resti sempre abbastanza "umile" da mettersi in discussione all'occorrenza
 

Nicky

Utente di lunga data
Il rovescio della medaglia di quel video, che ho ritrovato in molti shorts è il messaggio che non mi è piaciuto, ossia che con l'amore si cura tutto.
E no. E' una puttanata magistrale.
Il disturbo psichiatrico spesso si risolve in violenza. Non necessariamente fisica. La violenza fisica è solo l'ultimo step.
E fin dagli esordi. I famosi segnali.
Si, anche in questo caso concordo con te, pur comprendendo che si voglia sottolineare quanto è importante stare vicino a ognuno di noi così come è.
E a dire il vero è in generale che non dovrebbe passare l'idea che l'amore possa curare.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Potresti fare qualche esempio di questi segnali? Sono specifici ed inequivocabili, sia pure solo per chi li sa vedere, o sono aspecifici tali per cui occorre monitorare per eventualmente coglierne altri fino a che non resta che la diagnosi (che però abbiamo visto possibile solo da una certa età in poi)?
I segnali sono strettamente legati alla persona.
Però, banalmente, le aree su cui allungare l'occhio, specialmente in adolescenza sono quelle dell'autonomia, della socializzazione e della relazione e quella della percezione di sè.

Gestione del tempo e degli spazi, impulsività, senso del rischio e del pericolo, valutazione delle conseguenze, gestione della frustrazione, tono dell'umore, comunicazione, accettazione dell'errore.

La diagnosi è una conferma di solito, e anche un atto formale che ha la funzione di attivare poi la rete dei servizi.

Posso dire che capita che alcuni disturbi del tono dell'umore e della regolazione delle emozioni, con le ripercussioni poi nell'area dell'autonomia, della relazione e della socializzazione possono essere segnalati e formalmente riconosciuti anche prima.
Che tradotto è: vedo che ci sono segnali di allarme, non possono ancora essere formalmente collocati in una diagnosi definitiva ma possiamo diagnosticare banalmente un "disturbo nella regolazione delle emozioni" e iniziare protocolli di azione.
 
Ultima modifica:

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Si, anche in questo caso concordo con te, pur comprendendo che si voglia sottolineare quanto è importante stare vicino a ognuno di noi così come è.
E a dire il vero è in generale che non dovrebbe passare l'idea che l'amore possa curare.

Sì. Nella comprensione del fatto che l'accettazione del "così com'è" può presupporre anche il non potersi stare vicini.
Il non poter fare quello che si desidererebbe fare. E non è acqua fresca questa. Riguarda le aspettative, proprie e di chi ci circonda, della società, della cultura.
In una persona con organizzazione schizoide, per esempio, la vicinanza consiste nella comprensione del bisogno di distanza relazionale. :)


Il grassetto, esattamente.
Ma anche questo è un altro grande contenitore di riflessione che fa il paio con l'abusato "eh sei depresso, dai tirati su insomma, pensa a chi sta messo peggio di te! Basta volerlo!!" :)

Se si tira su con la forza di volontà non era depresso, era triste.
E questo è un altro grande tema...l'abuso di terminologia rubata senza conoscenza solida e la non conoscenza delle emozioni, la mancata educazione al riconoscimento delle emozioni.

Se nel vecchio mondo l'analfabetismo affettivo poteva essere gestito dal modello sociale e morale, ora non è più così. Oggi sono richieste competenze più alte di quelle che venivano richieste anche soltanto 30 anni fa.
 

ParmaLetale

Utente cornasubente per diritto divino
I segnali sono strettamente legati alla persona.
Però, banalmente, le aree su cui allungare l'occhio, specialmente in adolescenza sono quelle dell'autonomia, della socializzazione e della relazione e quella della percezione di sè.

Gestione del tempo e degli spazi, impulsività, senso del rischio e del pericolo, valutazione delle conseguenze, gestione della frustrazione, tono dell'umore, comunicazione, accettazione dell'errore.

La diagnosi è una conferma di solito, e anche un atto formale che ha la funzione di attivare poi la rete dei servizi.

Posso dire che capita che alcuni disturbi del tono dell'umore e della regolazione delle emozioni, con le ripercussioni poi nell'area della relazione e della socializzazione possono essere segnalati e formalmente riconosciuti anche prima.
Che tradotto è: vedo che ci sono segnali di allarme, non possono ancora essere formalmente collocati in una diagnosi definitiva ma possiamo diagnosticare banalmente un "disturbo nella regolazione delle emozioni" e iniziare protocolli di azione.
Capisco che occorre un occhio clinico molto ben allenato, ma molto molto
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Capisco che occorre un occhio clinico molto ben allenato, ma molto molto
Certo che serve un occhio clinico e serve che sia ben allenato nell'esperienza, non solo sui libri.
L'esperienza permette di "annusare". Poi ci sono test sempre più precisi.

Epperò.

Se mio figlio crolla di fronte agli errori, ha mal di pancia ogni volta che deve affrontare una verifica o una prova o una sfida sportiva, se rifugge le situazioni sociali o ci si immerge come se non considerasse la situazione in sè, se ha bisogno di me per regolare le sue emozioni, se ha un tono dell'umore che cambia spesso e in modo apparentemente immotivato, se si fissa sulle cose o sulle persone, se quando è frustrato sfugge le situazioni (e per sfuggire intendo sia chiudersi e sembrare non toccato come anche reagire di rabbia ed esplodere) , se dice bugie e aggiusta troppo la realtà...ecco, già solo con queste cose io inizierei ad alzare le antenne e a confrontarmi con gli altri adulti che lo vedono in altri contesti.

Fra l'altro aggiungo che la psicosomatica non è proprio da non considerare: mal di testa ricorrenti, mal di pancia, mali ricorrenti, diarrea, stitichezza sono segnali di cui tenere conto. Ovviamente in assenza di patologie.
Per non parlare del rapporto col cibo. E non penso al non mangiare. Se avessi un figlio vorace, che non si controlla di fronte al cibo, piuttosto che molto selettivo (quello è verde non mi piace per fare un esempio) alzerei le antenne.
 
Ultima modifica:

Brunetta

Utente di lunga data
https://www.corriere.it/salute/figl...li-219f3b4b-cad3-4a20-a5aa-8a5c188cbxlk.shtml

(…)
“Dobbiamo prendere queste occasioni di riflessione collettiva per capire che abbiamo l’opportunità straordinaria di smettere di pensare che basti chiedere 'come va' per aver assolto il nostro compito di genitori attenti. L’educazione affettiva, sessuale, l’ascolto in famiglia dev’essere qualcosa di sentito, che permetta ai giovani di mettere in parola i propri sentimenti, anche quelli più disturbanti. Smettiamo di porci verso i ragazzi solo con l’idea di educare (ti dico io cos’è giusto e cosa no) e privare (ti tolgo internet, smartphone…), ma bisogna far sentire loro che vogliamo davvero sentire il loro parere, che il loro pensiero per noi conta”.
Non c’è il rischio di essere troppo accondiscendenti?
«Ascoltare i ragazzi non significa dar loro ragione. Se un adolescente dice cose di cui non siamo d’accordo a livello valoriale non dobbiamo legittimarle, ma dobbiamo legittimare i loro pensieri, far sentire che siamo adulti presenti in grado di riconoscere le loro emozioni. I figli, va ricordato, sono altro da noi. Io credo che questo sia l’insegnamento più grande: accettarli e pensarli come individui da conoscere e rispettare».
Dalla sua esperienza, gli adolescenti di oggi fanno più fatica ad aprirsi con gli adulti?
«I ragazzi oggi non parlano, o parlano poco, perché le emozioni disturbanti infastidiscono troppo gli adulti che non si rendono conto dell’importanza di accogliere ogni tipo di emozione. Se ciò non avviene, inevitabilmente, il dolore muto si trasforma e, durante l’adolescenza, diventa un’azione. Che può essere un’azione contro di sé, basti vedere l’aumento dei suicidi, dei tagli da autolesionismo, dei disturbi alimentari nei ragazzi. Il dolore si trasforma in violenza che può sfociare, oltre che in gesti autolesivi, anche in una strage distruttiva, come in questo caso, confermando tra l’altro che è un dolore che può coinvolgere tutti i giovani e, i numeri ci dicono, soprattutto quelli provenienti da ceti socioeconomici e culturali non particolarmente marginali e disagiati. E questo rimette al centro il vero tema: c’è un dolore mentale che aumenta nell’assenza di possibilità di condividerlo. Credo che solo la relazione, intesa come una relazione identificata con l’altro, ci possa aiutare».
Perché facciamo così fatica a comunicare con i ragazzi, cos’è che non capiamo?
«Viviamo in una società fragile e complessa, bombardati da messaggi e stimoli, non siamo capaci di “stare”, siamo concentrati sul “fare”. Stare non significa stare fermi, ma essere in grado di restare lì ad ascoltare cosa ha da dire l’altro, anche se quello che dice l’altro è la cosa più distante da noi, dalla nostra visione del mondo. Ricordiamoci sempre che i figli sono altro da noi e che il dono più grande che possiamo fare loro è ascoltarli davvero. Invece, tendiamo a mettere al centro la nostra necessità di avere risposte in linea con la nostra linea educativa, così da essere rassicurati e sentirci adeguati come genitori. Che, poi, è un segnale di una nostra fragilità, non di una nostra autorevolezza. Siamo più concentrati a sentire che stiamo facendo il 'bravo papà', la 'brava mamma' o il 'bravo insegnante', piuttosto che stare ad ascoltare cosa hanno da dire i nostri ragazzi che, piuttosto che parlare, preferiscono tacere per non provocare dolori e dispiaceri agli adulti di riferimento».”
 

Rebecca89

Sentire libera
Vi leggo. Ipazia mi piace sempre tanto come scrivi, ammetto di doverlo rileggere due/tre volte😅🙈
Io penso che un pezzo importante sia saltato nella mia fascia di età. Quella tra i 30 e i 40 di adesso. Prima, tante cose non c erano. L ADHD era una sigla sconosciuta, non si riconoscevano i DSA, così come l ossessivo compulsivo, il deficit dell' attenzione, parlando di cose "banali" che banali non sono. Adesso, mio figlio, i figli di tanti miei amici, fanno chi terapia, chi logopedia, in base a quello che viene riscontrato. Ma nella generazione dei miei (mamma del 63 e papà del 65) queste cose non si conoscevano e quindi noi "figli" abbiamo "saltato" una sorta di approfondimento. Quando portai mio figlio per la prima volta al Gemelli, il dottore mi disse "signora, lei è iperattiva lo sa? L ho osservata". E mi è rimasta impressa questa cosa.

A prescindere, ciò che ho elencato è diverso da disturbi psichiatrici. Ma il quadro che ho fatto è riservato anche a quello. Mi sono ritrovata seriamente a che fare con persone coetanee o poco più poco meno con patologia borderline, per dire, che non ammettevano di avere un problema da curare seriamente. E la risposta dei genitori (generazione dei miei circa) è sempre stata ma no. Ma è carattere. È solo nervoso. È scontroso. Quando è così va solo lasciato stare.
Ecco. Io spero che andando avanti maturi quell occhio di riguardo nel capire che un figlio, in questo caso, ha un problema. Ha un qualcosa dove noi non possiamo fargli nulla in prima persona, come amici, come compagni, come familiari. Un'altra ragazza che conosco ha fatto portare il figlio 15enne in clinica. Ha dovuto farlo. Aveva iniziato a farsi male, a scappare da casa, a dare di matto. Un giorno ha buttato un vaso di sotto. E a un certo punto ci vuole coraggio, tanto. A capire che noi non possiamo fare più di questo. Che è poi una consapevolezza tradotta come l aiuto più grande.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
https://www.corriere.it/salute/figl...li-219f3b4b-cad3-4a20-a5aa-8a5c188cbxlk.shtml

(…)
“Dobbiamo prendere queste occasioni di riflessione collettiva per capire che abbiamo l’opportunità straordinaria di smettere di pensare che basti chiedere 'come va' per aver assolto il nostro compito di genitori attenti. L’educazione affettiva, sessuale, l’ascolto in famiglia dev’essere qualcosa di sentito, che permetta ai giovani di mettere in parola i propri sentimenti, anche quelli più disturbanti. Smettiamo di porci verso i ragazzi solo con l’idea di educare (ti dico io cos’è giusto e cosa no) e privare (ti tolgo internet, smartphone…), ma bisogna far sentire loro che vogliamo davvero sentire il loro parere, che il loro pensiero per noi conta”.
Non c’è il rischio di essere troppo accondiscendenti?
«Ascoltare i ragazzi non significa dar loro ragione. Se un adolescente dice cose di cui non siamo d’accordo a livello valoriale non dobbiamo legittimarle, ma dobbiamo legittimare i loro pensieri, far sentire che siamo adulti presenti in grado di riconoscere le loro emozioni. I figli, va ricordato, sono altro da noi. Io credo che questo sia l’insegnamento più grande: accettarli e pensarli come individui da conoscere e rispettare».
Dalla sua esperienza, gli adolescenti di oggi fanno più fatica ad aprirsi con gli adulti?
«I ragazzi oggi non parlano, o parlano poco, perché le emozioni disturbanti infastidiscono troppo gli adulti che non si rendono conto dell’importanza di accogliere ogni tipo di emozione. Se ciò non avviene, inevitabilmente, il dolore muto si trasforma e, durante l’adolescenza, diventa un’azione. Che può essere un’azione contro di sé, basti vedere l’aumento dei suicidi, dei tagli da autolesionismo, dei disturbi alimentari nei ragazzi. Il dolore si trasforma in violenza che può sfociare, oltre che in gesti autolesivi, anche in una strage distruttiva, come in questo caso, confermando tra l’altro che è un dolore che può coinvolgere tutti i giovani e, i numeri ci dicono, soprattutto quelli provenienti da ceti socioeconomici e culturali non particolarmente marginali e disagiati. E questo rimette al centro il vero tema: c’è un dolore mentale che aumenta nell’assenza di possibilità di condividerlo. Credo che solo la relazione, intesa come una relazione identificata con l’altro, ci possa aiutare».
Perché facciamo così fatica a comunicare con i ragazzi, cos’è che non capiamo?
«Viviamo in una società fragile e complessa, bombardati da messaggi e stimoli, non siamo capaci di “stare”, siamo concentrati sul “fare”. Stare non significa stare fermi, ma essere in grado di restare lì ad ascoltare cosa ha da dire l’altro, anche se quello che dice l’altro è la cosa più distante da noi, dalla nostra visione del mondo. Ricordiamoci sempre che i figli sono altro da noi e che il dono più grande che possiamo fare loro è ascoltarli davvero. Invece, tendiamo a mettere al centro la nostra necessità di avere risposte in linea con la nostra linea educativa, così da essere rassicurati e sentirci adeguati come genitori. Che, poi, è un segnale di una nostra fragilità, non di una nostra autorevolezza. Siamo più concentrati a sentire che stiamo facendo il 'bravo papà', la 'brava mamma' o il 'bravo insegnante', piuttosto che stare ad ascoltare cosa hanno da dire i nostri ragazzi che, piuttosto che parlare, preferiscono tacere per non provocare dolori e dispiaceri agli adulti di riferimento».”
Anche perchè educare non è "ti dico io quello che è giusto o no". :)
 

ParmaLetale

Utente cornasubente per diritto divino
Certo che serve un occhio clinico e serve che sia ben allenato nell'esperienza, non solo sui libri.
L'esperienza permette di "annusare". Poi ci sono test sempre più precisi.

Epperò.

Se mio figlio crolla di fronte agli errori, ha mal di pancia ogni volta che deve affrontare una verifica o una prova o una sfida sportiva, se rifugge le situazioni sociali o ci si immerge come se non considerasse la situazione in sè, se ha bisogno di me per regolare le sue emozioni, se ha un tono dell'umore che cambia spesso e in modo apparentemente immotivato, se si fissa sulle cose o sulle persone, se quando è frustrato sfugge le situazioni (e per sfuggire intendo sia chiudersi e sembrare non toccato come anche reagire di rabbia ed esplodere) , se dice bugie e aggiusta troppo la realtà...ecco, già solo con queste cose io inizierei ad alzare le antenne e a confrontarmi con gli altri adulti che lo vedono in altri contesti.

Fra l'altro aggiungo che la psicosomatica non è proprio da non considerare: mal di testa ricorrenti, mal di pancia, mali ricorrenti, diarrea, stitichezza sono segnali di cui tenere conto. Ovviamente in assenza di patologie.
Per non parlare del rapporto col cibo. E non penso al non mangiare. Se avessi un figlio vorace, che non si controlla di fronte al cibo, piuttosto che molto selettivo (quello è verde non mi piace per fare un esempio) alzerei le antenne.
Io per occhio clinico allenato intendevo che dire anche solo "mio figlio crolla davanti agli errori" non è un banale SI/NO, ma è uno spettro come tutti gli altri. Crolla quando? Sempre? Con che intensità? Rispetto a quali errori? Più o meno della media dei suoi coetanei? e altre non so quante considerazioni. Perchè poi il rischio è quello di dire: Oddioh! mio figlio ha messo in fila 2 macchinine allora è autistico ==> invasione delle NPI
 

Brunetta

Utente di lunga data
Io per occhio clinico allenato intendevo che dire anche solo "mio figlio crolla davanti agli errori" non è un banale SI/NO, ma è uno spettro come tutti gli altri. Crolla quando? Sempre? Con che intensità? Rispetto a quali errori? Più o meno della media dei suoi coetanei? e altre non so quante considerazioni. Perchè poi il rischio è quello di dire: Oddioh! mio figlio ha messo in fila 2 macchinine allora è autistico ==> invasione delle NPI
Io mi domanderei come reagisco io di fronte agli errori.
 

Brunetta

Utente di lunga data
Vi leggo. Ipazia mi piace sempre tanto come scrivi, ammetto di doverlo rileggere due/tre volte😅🙈
Io penso che un pezzo importante sia saltato nella mia fascia di età. Quella tra i 30 e i 40 di adesso. Prima, tante cose non c erano. L ADHD era una sigla sconosciuta, non si riconoscevano i DSA, così come l ossessivo compulsivo, il deficit dell' attenzione, parlando di cose "banali" che banali non sono. Adesso, mio figlio, i figli di tanti miei amici, fanno chi terapia, chi logopedia, in base a quello che viene riscontrato. Ma nella generazione dei miei (mamma del 63 e papà del 65) queste cose non si conoscevano e quindi noi "figli" abbiamo "saltato" una sorta di approfondimento. Quando portai mio figlio per la prima volta al Gemelli, il dottore mi disse "signora, lei è iperattiva lo sa? L ho osservata". E mi è rimasta impressa questa cosa.

A prescindere, ciò che ho elencato è diverso da disturbi psichiatrici. Ma il quadro che ho fatto è riservato anche a quello. Mi sono ritrovata seriamente a che fare con persone coetanee o poco più poco meno con patologia borderline, per dire, che non ammettevano di avere un problema da curare seriamente. E la risposta dei genitori (generazione dei miei circa) è sempre stata ma no. Ma è carattere. È solo nervoso. È scontroso. Quando è così va solo lasciato stare.
Ecco. Io spero che andando avanti maturi quell occhio di riguardo nel capire che un figlio, in questo caso, ha un problema. Ha un qualcosa dove noi non possiamo fargli nulla in prima persona, come amici, come compagni, come familiari. Un'altra ragazza che conosco ha fatto portare il figlio 15enne in clinica. Ha dovuto farlo. Aveva iniziato a farsi male, a scappare da casa, a dare di matto. Un giorno ha buttato un vaso di sotto. E a un certo punto ci vuole coraggio, tanto. A capire che noi non possiamo fare più di questo. Che è poi una consapevolezza tradotta come l aiuto più grande.
Non hai quarant’anni e sei già a dire “ai miei tempi…”
Ai tuoi tempi si sapevano tante cose.
A questi tempi si tende a vedere patologia ovunque, fa comodo mettere etichette per non fare niente, quando l’individuazione dei disturbi e dei funzionamenti è nata proprio per evitare emarginazione. Invece viene usata per emarginare in vari modi, senza fare niente di utile.
 

ParmaLetale

Utente cornasubente per diritto divino
Io mi domanderei come reagisco io di fronte agli errori.
Ma tutto quello che vuoi, solo che come faccio a sapere se la reazione rientra nella "norma" o sfora? Tutti reagiamo in qualche modo agli errori, un po' di disappunto è normale, ma quanto è anormale? C'è un parametro assoluto di riferimento o si guarda una media? Può bastare come criterio se e quanto la mia reazione mi invalida, nel senso di "ok ho sbagliato, mi incazzo, mi intristisco, ma poi reagisco e vado avanti", oppure "mi chiudo in casa per cui mi autoprecludo una normale vita di relazione"? E' un po' come il famoso disturbo OC: un conto è arrivare alla macchina e tornare indietro una volta a controllare se ho chiuso a chiave la porta di casa, un conto è non riuscire più ad andare a lavorare perchè ogni volta che mi allontano da casa devo tornare indietro a controllare. In mezzo c'è tutto uno spettro di situazioni
 

Rebecca89

Sentire libera
Non hai quarant’anni e sei già a dire “ai miei tempi…”
Ai tuoi tempi si sapevano tante cose.
A questi tempi si tende a vedere patologia ovunque, fa comodo mettere etichette per non fare niente, quando l’individuazione dei disturbi e dei funzionamenti è nata proprio per evitare emarginazione. Invece viene usata per emarginare in vari modi, senza fare niente di utile.
Brunetta io parlo di quello che vedo tra me e le persone intorno che hanno figli. Non ho 40 anni, come non ho 70 né 15, e penso che si può essere maturi in base a quello che passi a prescindere dal calendario. Mi trovi d'accordo sul fatto che adesso appena uno scrive una B al posto di una D viene segnalato dsa. Ed è sbagliato. Quello che dico io è che prima tutte queste cose non c erano? O non venivano viste? Adesso è esagerato ma prima non si percepivano come ora. Forse non c era un'adeguata formazione o informazione nemmeno a livello scolastico, adesso qualche passo c è negli istituti ma più ora di prima. E dove nella mia fascia di età vedo a volte anche esagerazione, ok, riscontro un distacco dell'accettazione per dire, dai miei. Che ad esempio quando ho iniziato a portare mio figlio a terapia mi dicevano ma no, macché, ma non c ha niente, ma non gli serve.
Che ti devo dire, io questo ho detto, questo percepisco. E non è perché ho 35, lo vedevo già a 26 quando abbiamo iniziato ad andare in neuropsichiatria infantile. Ognuno ha il suo punto di vista. Per me manca la comunicazione. C è una non accettazione. Non sempre. Spesso si.

Per me.
 

Gaia

Utente di lunga data
Brunetta io parlo di quello che vedo tra me e le persone intorno che hanno figli. Non ho 40 anni, come non ho 70 né 15, e penso che si può essere maturi in base a quello che passi a prescindere dal calendario. Mi trovi d'accordo sul fatto che adesso appena uno scrive una B al posto di una D viene segnalato dsa. Ed è sbagliato. Quello che dico io è che prima tutte queste cose non c erano? O non venivano viste? Adesso è esagerato ma prima non si percepivano come ora. Forse non c era un'adeguata formazione o informazione nemmeno a livello scolastico, adesso qualche passo c è negli istituti ma più ora di prima. E dove nella mia fascia di età vedo a volte anche esagerazione, ok, riscontro un distacco dell'accettazione per dire, dai miei. Che ad esempio quando ho iniziato a portare mio figlio a terapia mi dicevano ma no, macché, ma non c ha niente, ma non gli serve.
Che ti devo dire, io questo ho detto, questo percepisco. E non è perché ho 35, lo vedevo già a 26 quando abbiamo iniziato ad andare in neuropsichiatria infantile. Ognuno ha il suo punto di vista. Per me manca la comunicazione. C è una non accettazione. Non sempre. Spesso si.

Per me.
Comunque è figo essere discriminata per la giovane età’. Stai zitta e porta a casa con gratitudine.
Ma che ne sai tu dei ragazzi di 18 anni che ti chiamano signora….gente maleducata avete cresciuto. Vergogna
 
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