Il dolore è un archivio misterioso.
Sono una puntigliosa con le parole e lo sono sempre più invecchiando

Negli ultimi anni si sono utilizzate spesso parole come "risolvere", "superare", io penso siano parole inesatte che non descrivono l'esperienza ma che rappresentano più una "speranza" di guarigione.
Sono parole difensive che servono più al contesto sociale che le utilizza per mantenersi in equilibrio di fronte ad esperienze spaventose.
Le ho sempre chiamate le "parole della normalizzazione".
Personalmente trovo più sensate le descrizioni odierne, che utilizzano termini come "integrare".
Se la nostra vita è una tela tessuta, i fili che si sono usati per tesserla sono nella tela, la compongono.
Credo sia una questione di "qualità" della tessitura, ossia quanto quei fili che si sono dovuti necessariamente utilizzare poichè erano gli unici a disposizione siano stati utilizzati. E non c'è scampo a questo: se si tolgono fili, si scioglie la tela. (e sciogliere questa tela ha fra le conseguenza la perdita di identità, la frammentazione nella migliore delle ipotesi).
Quando si impara il dolore lo si impara sulla scorta delle dolore di cui si è fatta esperienza, in particolare le esperienze dei primi anni di vita che sono, come dire, una sorta di vocabolario di base.
Se penso a me, uno dei danni più grandi che ho subito, riguarda proprio la dispercezione del dolore. Emotivo in particolare, ma anche fisico.
Intendo che la mia soglia di tolleranza al dolore era altissima.
Ma quando lo sentivo era violentissimo. Si agganciava a ciò che io conoscevo come dolore e secondo quel linguaggio si declinava.
Controllarlo era la mia forma di potenza.
La mente mi serviva per dare confini a quella grandezza.
Quando ho "perso" il controllo della mia intellettualizzazione è stato disarmante e terrorizzante. La velocità costante della percezione è stata folle.
Ricordo la prima seduta dal mio psico: mi ero seduta e a avevo descritto analiticamente la mia situazione. Lui mi aveva lasciata parlare, e io avevo parlato parecchio

, alla fine di tutta la mia descrizione ricordo che mi aveva chiesto: "valuteremo insieme la precisione della sua diagnosi, per ora mi limito a chiederle come si sente".
Se mi avesse presa e ribaltata in terra non mi sarei sentita tanto disorientata. Mi ero accorta che non ero capace di raccontare come mi sentivo senza ricorrere ad una descrizione, come dire, razionale. Ma soprattutto non riuscivo ad arrivare a dove sentivo per davvero.
Dopo essermene stata zitta avevo iniziato a provare a descrivere e lui ogni volta mi faceva notare "intellettualizzazione, riprovi".
Tutto questo per dire che quella tua prima risposta "perchè tutto a me" è sensata e onestamente penso che sia l'unica che ti potresti dare ora come ora. Non è reattiva
, è la tua Storia.
Ti sei guadagnato di poter abbassare la guardia e, nel momento in cui pensavi di poterla
per davvero tenere giù, sei stato colpito.
A tradimento per l'appunto. E proprio dalla persona che sapeva del tuo percorso per arrivare lì.