Non sono molto ottimista, ma credo sia per la mia storia personale.
Io mi sono sempre sentito un alieno, essendo nato e cresciuto in un quartiere ghetto dell'immigrazione non governata. Perché l'immigrazione è un fenomeno in atto da decenni, i cui effetti li possiamo già studiare ora, non è una proiezione nel futuro.
I miei nonni erano milanesi, operai, tranquilli e onesti.
Gradualmente famiglie come loro che erano la maggioranza si sono estinte, i loro figli e nipoti sono scappati altrove.
Io non avevo nulla da spartire con gli altri ragazzi rimasti.
Non mi drogavo, non spacciavo, non menavo random, studiavo e andavo bene a scuola, mentre molti di loro non avevano voglia di fare un cazzo. "L'odio" può rappresentare bene quella realtà.
Gli amici li ho avuti in altri quartieri, non appena mi è stato possibile farlo in autonomia, o nei paesi dove andavo in vacanza, dove c'erano comunità di bambini o ragazzi locali affini a me.
Al liceo mi son trovato nuovamente ad essere un alieno, per differenze di classe, con molti dei mie compagni che frequentavo.
Era meglio non dire da dove venivo per non essere preso in giro e comunque le differenze sono emerse presto: chi ha abitudine a una certa disponibilità economica ti inquadra subito. E ti esclude se non ti trova adeguato.
Gli amici li ho trovati qua e là, in giro per Milano, in base alle mie affinità.
Nicchie, in una realtà impermeabile.
Non credo nella possibilità di rimescolamento in una società che non è capace di proporre valori e identità comuni credibili, in cui si evita il vicino o ci si tiene distanti da chi è diverso e in cui il salto di classe per meriti o capacità è sempre più raro.
Bisognerebbe lavorare su questo.