No, mio padre non era un ventenne universitario che condivideva casa con gli amici.
Mio padre era poverissiml, da bambino non mangiava e ha iniziato a lavorare a 14 anni.
Per provare a farsi una vita, ha vissuto in condizioni simili a quelle degli immigrati, in sei in stanze con gente che veniva dal sud o da altre parti di Italia.
Poi è riuscito a costruirsi una vita, una professione.
Perciò io capisco che ci dia fastidio che la gente si sposta e che ci si senta invasi, ma ho molti dubbi che si possano cambiare le dinamiche che spingono la gente a spostarsi per stare meglio.
E certo ci vuole il rispetto delle regole, ma in un paese in cui non c'è questo gran rapporto stato-cittadini, mi pare che ognuno alla fine faccia ciò che gli conviene, dall'affitare agli stranieri ammassandoli per guadagnare di più all'usarli come forza lavoro sottopagata. Si possono arginare un po' I fenomeni, ma in un'ottica di realismo.
Sai perché i miei erano nelle case popolari?
Perché si spostavano dalle campagne e venivano a stare in città per lavorare.
La prima immigrazione a Milano avvenne con queste modalità.
Le case popolari venivano costruite esternamente a Milano per creare un ghetto dove chi veniva da fuori, come i bosini, non si mescolava con la borghesia milanese.
Nelle stesse case esterne andò chi, dei ceti inferiori, venne sfollato dai quartieri popolari siti in zone centrali di Milano dove non si voleva gente poco abbiente e poco raccomandabile, dalle prostitute ai lavoratori meno qualificati, per costruire quartieri più costosi per la borghesia dalle disponibilità economiche diverse.
Lo stesso processo avvenne negli anni 60 con l'immigrazione ecomica dal sud Italia.
Ciò che cambiò furono i numeri. Vi fu un problema casa importante, che determinò situazioni di emergenza come quelle che descrivi, in una condizione già critica per le case nel dopoguerra, con tanta gente ancora nelle case minime e altri nelle baracche, a cui si cercò di porre rimedio con la costruzione di interi quartieri popolari, mentre al contempo si edificavano intere città esterne a Milano lavorando nei cantieri notte e giorno.
Il mio comune passò così da 2/3000 abitanti a 30.000, in pratica decuplicò.
Ovviamente questo comporto' problemi enormi ed è anche vero che all'epoca si sparava per le strade.
Ma c'era anche un controllo del territorio e un'applicazione delle regole superiore e un'economia in crescita che avrebbe migliorato, come è accaduto, la situazione. Ricordo benissimo come tutto anche nelle case popolari seguiva delle regole ferree, che andarono a puttane negli anni 80, quando la società si disgregò con la diffusione massiccia della della droga e la presa di controllo dei quartieri periferici (Buccinasco, San Giuliano, Rozzano, Quarto Oggiaro, la zona della Comasina, Gratosoglio, Corvetto etc) da parte delle mafie.
Purtroppo l'Italia non sarebbe ora nemmeno attrattiva economicamente, per questo ripeto che è strano che si insista sull'immigrazione quando numericamente gli stessi immigrati sono calati in percentuale congiuntamente alla crisi economica.
Uno stato in decrescita non è attrattivo per l'immigrazione economica e non ha nemmeno come vediamo risorse per gestirla. Lo dovrebbe essere di più l'Egitto, che ha un Pil in crescita da anni. O il Marocco (PIL in crescita del 4,3%).
O gli stati arabi.
Teoricamente l'Italia dovrebbe essere un paese di passaggio per mete più economicamente attrattive.
Evidentemente l'attrattiva' dell'Italia si basa sulla possibilità di gestire più facilmente situazioni non in regola.