Questa però sarebbe una forma di ricostruzione.
Di quelle cose che, in teoria, contribuiscono a far ripartire, ma per davvero.
Il contrario è
decadenza. Lenta? Temo di no questa volta.
Peccato, perché la ripartenza è un momento entusiasmante e "ricco". E' l'occasione che offre una crisi.
Muoversi in procedure nuove è sempre interessante.
E sarebbe anche un antidoto all'inerzia, alla resistenza verso l'innovazione di cui diceva qualcuno, verso il cambiamento in generale, dico io.
La locuzione "ricerca-azione" mi piace molto, riassume bene il mio modo di avanzare un po' in ogni campo.
Nell'altro post, quando ho scritto "
Riprogettare significherebbe prendere atto che non solo non va tutto bene, ma non andava bene nemmeno prima.
E inserirlo in una "linea" di continuità.
Per muoversi in termini tecnici e pratici.
La mia sensazione invece è che se ne prenda atto in termini prettamente emotivi.
Con quel che ne consegue in termini di riprogettazione (necessaria fra l'altro da decenni)."
intendevo esattamente che sarebbe bello, ma peccato! (con ringhio annesso) non leggo intorno a me quel tipo di movimento.
Leggo l'emotività della paura aggrappata al "tutto tornerà come prima". E questo tipo di emotività, in termini di riprogettazione non solo non è utile ma impedisce la riprogettazione stessa. La spegne. La reprime.
E' un tipo di emotività che non vede la risorsa nel problema ma vede solo il problema e la soluzione (fra l'altro in una dialettica causale..).
Da questo punto di vista, quello del potenziale innovativo di una crisi, mi sono ritrovata molto in quello che hai scritto nell'altro post.
Nella mia esperienza, sto lavorando parecchio, molto più di prima, e meglio adesso di prima.
Adesso che ho capito come fare, addirittura vincoli si sono trasformati in aperture e risorse.
Sto imparando cose nuove e ho in testa una miliardata di progetti che potrei applicare con o senza epidemia.
Da questo punto di vista è entusiasmante.
Purtroppo mi trovo ad essere d'accordo sul grassetto.
Ho lavorato per anni in ricerca azione nella riduzione del danno e poi, quando la politica ha deciso che la parola danno faceva venire troppi mal di pancia a diversi livelli , nella riduzione dei comportamenti a rischio.
Lavorare in ricerca azione è entusiasmante.
Ed è particolarmente adatta nelle situazioni in cui si innalzano i rischi e le variabili di cui tener conto non solo sono molteplici, ma anche in costante mutamento.
Ma per farlo serve innanzitutto una lettura della situazione. Poi una costante valutazione e poi tutto un lavoro per inserire queste variabili nel lavoro concreto.
La cosa più bella della ricerca azione è che nulla è definitivo. Ogni azione non è azione finalizzata a sè, conclusa, ma è contemporaneamente fine ed inizio. Proprio per la ricerca che la contraddistingue.
Dal punto di vista della collaborazione, della comunicazione è una opportunità magnifica per migliorare e costruire reti, anche sociali.
Vabbè.
Peccato, sì.
Un grande peccato.