Fatanera, cerco d'intervenire anch'io su un delicato argomento quale è questo che hai postato, sperando di non sparare qualche baggianata.
Anch'io penso che bisognerebbe pensare a chi sta peggio per capire la fortuna che abbiamo e quanto la facciamo lunga per questioni che sono una briciolina a confronto dei problemi che hanno gli altri.
Però, a questo punto, scusate tutti il paragone, sto digitando da un pc acquistato recentemente a 1.200euri quando in africa muoiono di fame. Posso essere solidale per la madre che piange per la prematura scomparsa del figlioletto, che di per se è una pessima cosa e non oso immaginare lo stato d'animo...cazzolina, mi vengono i brividi. Ma permettetemi d'aggiungere che io vado avanti a piangere per essere stato tradito.
So di per certo che voi siete tutti intelligenti e che avete capito, percepito il morale della favola di questo mio intervento ma sono della serie: "Ognuno pianga i propri mali", nonostante sia giusto e doveroso guardare appunto chi ha davvero problemi con la "p" maiuscola e che versa lacrime amare per problemi davvero pesanti.
Marco
Il problema non è quello di piangere il proprio dolore piuttosto che quello degli altri, ma di non fare carico a chi ci sta intorno dei propri piagnistei, o quantomeno ammetterne la relatività rispetto ad altre disgrazie.
Quando mi chiedono "come va?" rispondo spesso: "Per quanto possa andare male, c'è sempre chi sta peggio", e con questo comunico due cose: che non sto bene, e che però ammetto che i miei problemi non sono al centro dell'universo pur apparendomi tali in quel momento.
Se anche si cerca consolazione da un amico o dal partner, non si può però pretendere di fare carico ad essi del proprio dolore come se fosse universale, esclusivo ed unico. E' necessario ammettere che lo stesso amico, lo stesso partner potrebbe provare dolori ancora più profondi, quindi bisogna rispettare tanto loro quanto lo sconosciuto vicino che ha appena subito una disgrazia di qualsiasi genere.
Indubbiamente il dolore è soggettivo, ed ognuno vive una disgrazia in funzione della propria maturità emotiva, della propria cultura, della propria esperienza di vita, ma non sta a noi, che soffriamo per le nostre cose, dare la misura del dolore altrui.
Liberissimi di soffrire, dovremmo quindi avere l'umiltà di ammettere la sofferenza altrui e rispettarla. I paragoni del genere "io soffro più di te" sono sintomo di grande immaturità, e non possono fare altro che generare ulteriore dolore.
Per quanto si possa occasionalmente appoggiarci ad una spalla amica, dovremmo comunque imparare a conservare il nostro dolore dentro di noi, non usarlo come arma contro il dolore altrui.
E,' questa, una visione maturata allorchè mia moglie ha perduto due bambini, entrambi a quasi sette mesi di gravidanza e a distanza di un anno uno dall'altro. Nello stesso periodo una nostra vicina si è vista morire il figlio di sei mesi! Cosa facciamo, i paragoni?!!
Ho scritto al volo perchè sto lavorando, ma spero di essere stato comprensibile.
Un abbraccio a tutti per consolarvi ognuno del vostro piccolo o grande dolore