Facciam sempre fatica a comprenderci su questa cosa del pianificare
Provo a rimetterla fuori. Vediamo se mi riesce.
Quando mi riferisco al pianificare non mi riferisco al decidere in anticipo cosa e come.
Mi riferisco al sentire di avere un paradigma comune, condiviso e in compenetrazione, in cui collocare il cosa e il come, e anche eventuali chi.
E' bellissima la parola paradigma. Bella come la parola crisi.
Significa mostrare oltre. E nel suo essere singola cifra, contiene anche l'essere prototipo, modello fondamentale e rappresentativo...è come respirare poter guardare in condivisione un paradigma co-costruito.
Da cui discendono linguaggi, gesti, forme alternative di comunicazione.
Ma anche forme alternative, talvolta pervertite, di sentire e sperimentare.
Più che altro, rifondare un paradigma di riferimento, che afferisce ad una coppia specifica è creare un mondo.
Personale. Due Uno che diventano Uno.
E' un atto insieme distruttivo e creativo. In compresenza.
E' circolare e retroattivo.
Ecco. Questo io intendo per pianificare.
Non mi riferisco ai gesti. Per quanto i gesti poi siano conseguentemente compresi.
Ma è una conseguenza.
Non mi riferisco alle parole, Che possono benissimo essere sostituite dal silenzio. O dalla dispercezione del linguaggio stesso (penso per esempio al dirty talking...quando puttana pronunciata diventa tesoro per chi sente, in quel paradigma).
Un Dono, di qualunque tipo o genere, se lanciato nel nulla, o peggio lanciato in un paradigma (non in un contesto) che non è in grado per costituzione di accoglierlo e, non solo, averne Cura, è una deviazione (nella migliore delle ipotesi).
E' distruzione del bello. (non che la distruzione del bello non abbia suoi profondi e appaganti fondamenti...ma è un'altra strada, mi pare, rispetto a quel che racconti tu).
Anche quando il bello vien pervertito nella Bellezza alla Baudelaire.
Conta molto poco.
Che sia uno schiaffone o un bacio.
Diventano semplicemente facce di una stessa medaglia.
E per come la vedo io, è in un terreno come questo che il possesso della cessione (che diviene abbandono e affidamento anche ai desideri dell'altr*) trovano radici.
Una appartenenza non uno all'altra, che invece mi sa di possesso dell'appropriazione.
Ma una Appartenenza ad una Patria comune.
Con quello che comporta in termini di alleanza, vicinanza e distanza, libertà e vincoli, Legame fondamentalmente, fatica, sollievo, gioia e dolore.
Senza questo territorio, e probabilmente sono condizionata dai miei vissuti di senza patria e senza dio, per me qualunque dono non ha significato. E tende a diventare quel che @
Brunetta dice "esser fatta carne da dare (o da prendere).
Poi si può giocare anche sull'essere carne per cani.
Ma questo gioco è ancora più profondo del inserire terzi per farsi una scopata. O immaginare di avere a disposizione cazzi e lingue e fighe e mani e capelli e schiene e culi.
Sto riuscendo a spiegare?
I vestiti, il setting, per me divengono importanti nella celebrazione di una Esistenza.
E non di me, di lui, di un Noi.
Ma di un mondo distrutto e creato insieme. Passo a passo. E circolarmente.
Senza vedersi.
Ma sapendo che lo sguardo dell'uno non perde quello dell'altro.
Anche se lo sguardo non si vede.
E allora, per ipotesi, si potrebbe essere bendat* in una stanza e non saper neanche chi sta toccando chi.
O anche molto oltre.
Perchè lo sguardo non è fuori. Ma è dentro.
A mia esperienza, tutto questo, senza un territorio pianificato, condiviso, co-costruito e in compenetrazione sarebbe solo distruzione del bello.
E non so se essere sposo e sposa sia sufficiente alla rifondazione di un paradigma.
Questo lo sanno lo sposo e la sposa.