A me piace pensare che ....Tanto per tornare al caro Humpty Dumpty....
E' un approccio positivo, quello dell'arrivarci fino ad un certo punto.
Si potrebbe aprire una querelle infinita su questa questione.
Che somiglia un po' a quel che accade a volte a scuola: se il prof. mi propone questo esercizio, significa che è possibile che io lo possa svolgere.
Ma questa possibilità non significa necessariamente che si sarà in grado di svolgerlo.
Che è una ragionata piuttosto sofisticata, perchè porta a definire il possibile attraverso una doppia negazione: questa cosa è possibile perchè non può essere impossibile. E si entra a ragionare nella sfera del possibile, che è ben più ampia di quella del probabile.
Quindi è possibile entrare negli assiomi altrui perchè non può essere impossibile non riuscirci.
Altro che ragazzo semplice

Comunque, semplificando, non penso che la media sia bassa, penso che la competenza di incontrare la diversità senza cadere nelle urla di stupore e orrore che scattano nella nostra mente, sia un esercizio poco praticato fin dall'infanzia.
Si cresce alla ricerca di punti di riferimento stabili, in cui sentirsi solidi ed identificati. (non uso appositamente "riconosciuti". Per quello serve ben altro)
Ed è esattamente questo che l'educazione (mala educazione) insegna. Identificare punti di riferimento, preferibilmente esterni in cui trovare rifugio.
Dico mala educazione, perchè e-ducare ha un significato ben preciso. A livello etimologico ed a livello pedagogico.
Significato che viene spesso sbandierato nella pubblicità delle buone prassi, ma raramente applicato nel concreto.
Semplificando molto, e torniamo ai condizionamenti e all'esserne consapevoli, l'allenamento a cercare dentro invece che fuori le domande e non le risposte è ridotto ai minimi termini.
Pensare è pesante. Confrontarsi è pesante.
Entrare in conflitto è pesante.
Si cerca una apparente leggerezza, che a mio parere altro non è che girare a largo dall'immergersi in se stessi.
E tornando a bomba, si tende a preferire gli specchi.
Ma non quello di Alice...
Io mi sento Alice.
Saltellando qui e là attraverso lo specchio ho avuto l'onore e la fortuna di incontrare parecchi Humpty Dumpty, da cui ho potuto imparare. Ad essere meno rigida.
Pur restando rigida ho iniziato a considerare il fraintendimento come aspetto essenziale della comunicazione.
Non è casuale che ogni disciplina fondi un suo vocabolario specifico (anche giocando sull'esotericità per creare spazi di riconoscimento di ruoli e funzioni) al cui interno si muove chi può "pagare".
Quel che io trovo stupefacente, è che questo tipo di elementi, esotericità, celebrazione, ritualità, considerazione di fraintendimento e verifica, vengano scarsamente considerati in un ambito definito esclusivo da un patto formale ma non esclusivo dal punto di vista della sua fondazione.
E mi sembra ancora più stupefacente che per un qualcosa che davvero riguarda Alice, il gatto, il brucaliffo, humpty dumpty, uno spazio fantastico (nel senso di fantasie ed immaginari il più delle volte inesplorati pure per chi li "possiede"), per uno spazio esoterico e atavico come una relazione intima, ci si affidi alla forma dando per scontate domande e risposte.
Ancor più stupefacente trovo il fatto che il pagamento dell'intimità sia un tabù. Come lo è l'usarsi per scambiare.
Mi sto spiegando?
E da questo mi lego a quell'esempio della preparazione o meno ad un rapporto anale.
Perchè fa cadere la fantasia confrontarsi del corpo in quanto corpo fisico e non in quanto immagine del corpo?
Perchè il punto è che la fantasia cade quando il corpo prende fisicità.
E quindi odore, tatto, sapore. Fuor dalla vista. O vedendo a occhi chiusi.
Ho fatto quell'esempio perchè piuttosto comune. E collegato ad una pratica che, mainstream, pare essere estrema. Dal punto di vista della penetrazione dell'intimità.
Ancor più estrema, mainstream, lo è a parti invertite, ossia quando il culo è maschile e chi penetra il femminile.
E lì le immagini si moltiplicano in potenza.
Trovo stupefacente che le fantasie siano legate alla forma e non alla sostanza.
Anche se questo spiega bene quel che accade quando il noi vien trasformato in spazio in cui si trova fusione e non compenetrazione e condivisione, o l'amore diviene concretizzazione di una idea di esclusività che non è sostenuta dalla possibilità di pagamento della costruzione di quell'intimità e restano i patti - forme generalizzate - a definire il particolare.
I muri di gomma nascono quando uno o entrambi non desiderano entrare dentro e cercano fuori.
E torneremmo alla falsa, a mio parere, necessità di sovrapporsi negli assiomi. Che mi sembra un bell'alibi per non fare altro: ossia partire ognuno dai propri assiomi, esporsi nudi col cappotto e condividerli in consapevolezza dei condizionamenti e dei giudizi che li dominano.
E torneremmo anche all'educere a cui facevo riferimento.
Fra l'altro, se ci si pensa, ducere è un termine che rappresenta potere.
E non casualmente, l'educazione, è un percorso sofisticato di gestione del potere nella relazione.
E della violenza.
Compresa la delicatezza a cui facevi riferimento.
Ed è una scelta di onore fra vessazione e conduzione condivisa e reciproca.
Certo...se si esclude il potere dalla relazione, se si esclude il fatto che in qualunque relazione esiste un aspetto di educazione - come minimo di sè all'altro - allora tutto questo decade, come decade la ricchezza della parola e la possibilità di trovare punti di snodo in cui scambiare "potere".
Dove "potere" è anche informazione" di sè per l'altro.
E la violenza qui trova casa accogliente.
La sua declinazione, in accettazione della sua presenza trova spazio nel "ne vale la pena".
Ne vale la pena modulare la violenza relazionale dell'espressione dei miei desideri?
Oppure esercito la violenza di rifiutare i miei stessi desideri - che questo sia lasciando che l'altro li calpesti nelle urla di stupore ed orrore e nel giudizio oppure che sia proponendo aut aut o vessazione per realizzarli -?
per tornare alla lingua...non lo so.

Probabilmente una domanda più adeguata sarebbe se c'è il desiderio di costruirla.
Io, come dicevo, sono violenta.
Più o meno delicatamente
