Permettetemi di evidenziare che, specie in persone che sono cresciute in ambienti ad alto tasso di criminalità, in realtà l'ambiente di detenzione non è altro che una dependance costrittiva e punitiva ma contigua a detti ambienti, dove si continuano a coltivare gli stessi principi della società criminale esterna.
In quei casi l'aspetto afflittivo della pena non è accompagnato in concreto da alcun aspetto rieducativo, che è oggetto di sostanziale rifiuto. Questo fenomeno è alla base del dibattito sulla opportunità che, specie i detenuti più giovani o meno convinti possano essere "separati" dagli oltranzisti per tentare la rieducazione con maggiore efficacia.
Non tutti possono essere recuperati, se non vogliono aprirsi ad un ripensamento esistenziale.
Triste, ma è la realtà.
Con le dovute differenziazioni, mutatis mutandis, qualcosa del genere avviene per il pentimento indotto, al quale ho fatto sopra cenno.
Sotto l'apparenza del pentimento indotto, poi, si possono nascondere motivazioni reali non particolarmente nobili e sentimentali come in apparenza si vuol far credere.
Per dirne una, come esempio, a prescindere da interessi squisitamente economici, c'è stato un caso che ben ricordo in cui, in una conversazione telefonica (captata) di una moglie traditrice con una amica emerse che il pentimento e l'allontanamento dall'amante era stato causato in realtà dalla scoperta che costui avesse una dipendenza grave da pratiche sessuali con transessuali, non dalla riviviscenza del sentimento nei confronti del marito tradito.