Non è quello che ha detto
@alberto15, credo. Il punto non è mangiare da soli o meno, il punto è sentirsi e comportarsi come una famiglia e non come i frequentatori di un albergo.
A casa mia, giusto per parlare di qualcosa che conosco bene, tutti hanno dei compiti e cose da fare, a seconda del tempo a disposizione e a seconda degli accordi presi tra di noi, perché come ho già spiegato, una famiglia è una specie di carretto e tutti, in base alle proprie possibilità, sono tenuti a tirarlo.
Noi la pensiamo così. (Uso -Noi-, non è il plurale maiestatis, siamo mia moglie ed io, e per riflesso i figli).
Di solito a cucinare è mia moglie, non è infrequente che cucini io, perché anche se ho altri compiti che lei non fa, se vedo che è stanca o ha problemi è chiaro e doveroso per me intervenire. C’è stato un periodo nel quale lei lavorava nel fine settimana e con i bambini piccoli, tranquillamente mi arrangiavo in casa a fare tutto e a farle trovare, quando tornava, del cibo pronto e i nostri sorrisi quando ci si raccontava tutti la giornata trascorsa.
Il martedì a mezzogiorno di solito torno a casa e mangio da solo, qualcosa che mi prepara lei, poi disbrigo e faccio in modo che mia figlia, che rincasa dopo di me, trovi apparecchiato. Per me è normale e doveroso, siamo una famiglia.
Mia moglie, quando mio figlio si ferma fuori a mangiare, si alza alle sei di mattina per preparargli qualcosa, potrebbe fare a meno, lo fa perché sente di farlo.
Tempo fa io e la moglie siamo tornati da un viaggio la sera, dopo ore di autostrada. Abbiamo trovato la minestra nei piatti, fatta da mio figlio che ha rinunciato ad uscire per quella sera, per aspettare noi.
Poi è chiaro che pure io mi incazzo se l’arrosto viene bruciato perché qualcuno si ferma a chiacchierare con la vicina o lei si incazza se trova l’ ultimo strappo di carta igienica senza sostituzione, ma questo fa parte del gioco.
Convivere significa appunto vivere con qualcuno, non è facile, non è utomatico, lo diventa se ciascuno si impegna nel farlo.
Se Alberto si sente frequentatore di un albergo, non componente di una famiglia, non possiamo andare a dargli una pacca sulla spalla e dirgli che la sua percezione è sbagliata per questioni di genere e di ruolo, perché significa, a mio avviso che del suo problema abbiamo capito poco.
Ci sono persone che pensano solo a se stesse, per le quali una famiglia è solo uno stato anagrafico e per le quali dimostrare nei fatti, non con belle parole, la propria empatia è un ostacolo insormontabile del proprio ego.
Una persona che se rincaso e dopo essersi grattata tutto il pomeriggio, non ha minimamente pensato a me, mi dimostra solo che di me non gliene importa un fico secco.
Ho usato la parola persona e non donna o uomo apposta perché è anche ora di finirla con questi cazzo di alibi del sessismo famigliare e dei ruoli, che sono esistiti, che forse in qualche caso esisteranno pure, ma che oltre ad una arma a doppio taglio ormai penso siano piuttosto distanti dalla società reale, occidentale, europea.
Se vogliamo parlare di come trattano le donne nelle quotatissime e difesissime (dalla politica dell' omologazione) società del terzo mondo, nessun problema, sono qui.
Se vogliamo parlare di come pensiamo debba evolvere il concetto di famiglia da istituzione naturale della società a contenitore dove ci si vuole mettere tutto o anche niente, che fa lo stesso per tanti, sono sempre qui.