Non direi. Ci sono enormi quartieri di case popolari costruiti tra gli anni cinquanta e settanta.
Quello che sta succedendo negli ultimi trent’anni non è comprensibile a tutti.
Se lo fosse la giunta regionale non potrebbe farsi vedere.
I quartieri popolari venivano costruiti isolati dal contesto cittadino, proprio per non mescolare i ceti bassi con i Milanesi.
Ora sembrano integrati, ma all'epoca, parlo degli anni 20, erano estremamente periferici e poco collegati con il resto della città.
Un'azione di allontanamento dei poveri clamorosa fu la distruzione del Bottonuto, che corrisponderebbe oggi in una città come Napoli per esempio alla distruzione dei Quartieri Spagnoli, che sono in centro.
Il Bottonuto è stato raso al suolo e gli abitanti sono finiti in estrema periferia, insieme agli
immigrati di allora, spesso semplici bosini, o comunque gente che veniva dalla campagna circostante. Oppure il Lazzaretto, abitato da poveracci e misere botteghe, demolito per far spazio alla speculazione per ceto borghese di Corso Buenos Aires.
Dopo gli Austriaci la città cadde preda di abitudini speculative sul mattone che durano ancora oggi, con tanto di sindaci implicati in scandali su tangenti già nell'800. Ricordo che Milano è la città dei fatti tragici di Bava Beccaris.
Nulla di nuovo, Milano ha sempre sfruttato i poveracci, avendone però un po' schifo.
L'impressione diversa in merito è dovuta al fatto che chi arrivava a Milano e dichiarava di sentirsi accolto da una città col cuore in mano, stava obbligatoriamente nei quartieri popolari, di nome o di fatto, quindi di case di ringhiera o strutture ad hoc., dove la situazione era diversa rispetto al centro e l'accoglienza pure.