Responsabilità

Brunetta

Utente di lunga data
Responsabilità

IN MEMORIA DI DANIELE NARDI

In giro per Latina oltre che per i social c’è chi dice: “Ma chi glielo ha fatto fare? Come gli salta per la testa, a uno di Sezze, di andare fino sopra all’Himalaya, al Nanga Narbat, con moglie e un figlio piccolo a casa? Non glielo aveva detto pure Messner: rinunciate, non andateci?”. Be’, con tutto il rispetto per Messner, credo però che non ci sia stato nessuno – tra tutti quelli che lo hanno conosciuto sia a Sezze che a Latina, a cominciare dalla madre – che non gli abbia detto chissà quante volte: “Non partire Danie’, stàttene alla casa!”
Ma lui ti guardava con quegli occhi bambini, e poi sorrideva: “Debbo andare per forza”.
“Pìgliatela in quel posto, allora, adesso” dicono sui social o in giro per i bar, dimenticando che – prima o poi – si muore tutti a questo mondo, pure quelli che restano a casa. Pure giovani giovani, magari in macchina sulla Pontina o una Migliara, quando non proprio dentro il bagno di casa, scivolando sulla saponetta. Muoiono perfino quelli che non fumano – quelli che non hanno proprio mai fumato, mai drogato, mai bevuto, pensa tu! – mentre certi che fumano arrivano pure a cent’anni. C’è poco da fare: prima o poi si muore tutti e non conta – alla fine – come si muore, ma come si è vissuto.
Non c’è essere umano che – da bambino o adolescente – non abbia sognato di fare, da grande, ciò che nessun altro aveva mai fatto: nel lavoro, nello sport, nell’arte, nella scienza o nell’avventura. Poi man mano, crescendo, la maggior parte si adegua agli standard del reale e cerca una vita pressappoco uguale a quella degli altri: “Perché chiedere di più?”
Ci sono invece quelli – una minoranza – a cui il fuoco non si spegne con la crescita, a cui il fuoco rimane. A loro non basta una vita normale. Debbono sempre osare e stirarla al massimo: sempre in cerca di guai, sempre in bilico sull’orlo per superare il limite. Pensano un’impresa e subito la tentano, e più è difficile e più gli viene voglia: “Non l’ha fatta mai nessuno? Be’, è per questo che la debbo fare io. Se no chi la fa?”. Pensa solo a quanta gente è morta, prima che imparassimo a volare.
Quelli che vanno in cerca di guai ci servono come il pane. Svolgono una fondamentale funzione cosmica, prima ancora che sociale. E’ una legge della fisica: non possiamo essere tutti perfettamente uguali, non esiste in natura la normalità. Pure se vai in spiaggia da Capo Portiere a Rio Martino e ti metti con il microscopio, tu non troverai due chicchi di sabbia perfettamente identici. Ora noi umani siamo sostanzialmente tutti uguali e le spinte che animano il conscio e l’inconscio di quella minoranza – quelli che, quando tutti guardano da una parte, loro invece guardano da un’altra: per terra, di lato, per aria o comunque oltre; i divergenti – quelle stesse spinte le abbiamo tutti, dentro. La maggioranza poi le reprime, per il fortissimo impulso a conformarsi agli altri, a sembrare in tutto e per tutto uguali per essere accettati dagli altri, amati e rassicurati.
Per fortuna però ci sono pure quelli come Daniele Nardi – ma come anche Tom Ballard e Virginia Chimenti del resto, la funzionaria Onu di origini cisternesi caduta l’altro giorno col Boeing in Etiopia, mentre era in volo per Nairobi – che quelle spinte non le hanno represse ed hanno vissuto fino in fondo la voglia di divergere, di scoprire l’ignoto e superare i limiti imposti.
Se non ci fossero al mondo quelli come loro – quelli che con gli occhi bambini e col sorriso sulle labbra sfidano l’inviolabile – noi staremmo tutti ancora all’età della pietra, anzi, pure prima: sopra le piante come ogni altra specie di scimmie, nel centro dell’Africa, a mangiare banane. Quando il primo di noi – un milione e mezzo d’anni fa – è sceso dall’albero, ha raccolto una pietra e con questa pietra ne ha scheggiata un’altra per farne un utensile e s’è levato in piedi in mezzo alla savana, a vedere se per caso passasse una gazzella, noi tutti in coro, da sopra all’albero, gli strillavamo: “Che cazzo stai a fa’? Torna subito qua sopra, che là sotto ti si mangiano i leoni”.
Invece è lì che è nata la civiltà – la tèkne, lo sviluppo – il primo passo della civilizzazione, con tutti noi che dietro a lui, mano mano, siamo scesi dall’albero e un passo dopo l’altro, seguendo loro, siamo arrivati dove siamo, alle navicelle spaziali oramai pronte per la conquista dello spazio. Ogni singolo progresso dell’umanità è dovuto a quei pochi – come Daniele Nardi – nati e cresciuti con il fuoco dentro e privi del normale senso del limite. Li dovremmo solo ringraziare.
Ciao, Daniele. Riposa in pace col tuo amico Tom Ballard. Vi sia lieve la neve che vi copre.
Un pensiero ai vostri cari.

a.p. – 12 marzo 2019
 

spleen

utente ?
IN MEMORIA DI DANIELE NARDI In giro per Latina oltre che per i social c’è chi dice: “Ma chi glielo ha fatto fare? Come gli salta per la testa, a uno di Sezze, di andare fino sopra all’Himalaya, al Nanga Narbat, con moglie e un figlio piccolo a casa? Non glielo aveva detto pure Messner: rinunciate, non andateci?”. Be’, con tutto il rispetto per Messner, credo però che non ci sia stato nessuno – tra tutti quelli che lo hanno conosciuto sia a Sezze che a Latina, a cominciare dalla madre – che non gli abbia detto chissà quante volte: “Non partire Danie’, stàttene alla casa!” Ma lui ti guardava con quegli occhi bambini, e poi sorrideva: “Debbo andare per forza”. “Pìgliatela in quel posto, allora, adesso” dicono sui social o in giro per i bar, dimenticando che – prima o poi – si muore tutti a questo mondo, pure quelli che restano a casa. Pure giovani giovani, magari in macchina sulla Pontina o una Migliara, quando non proprio dentro il bagno di casa, scivolando sulla saponetta. Muoiono perfino quelli che non fumano – quelli che non hanno proprio mai fumato, mai drogato, mai bevuto, pensa tu! – mentre certi che fumano arrivano pure a cent’anni. C’è poco da fare: prima o poi si muore tutti e non conta – alla fine – come si muore, ma come si è vissuto. Non c’è essere umano che – da bambino o adolescente – non abbia sognato di fare, da grande, ciò che nessun altro aveva mai fatto: nel lavoro, nello sport, nell’arte, nella scienza o nell’avventura. Poi man mano, crescendo, la maggior parte si adegua agli standard del reale e cerca una vita pressappoco uguale a quella degli altri: “Perché chiedere di più?” Ci sono invece quelli – una minoranza – a cui il fuoco non si spegne con la crescita, a cui il fuoco rimane. A loro non basta una vita normale. Debbono sempre osare e stirarla al massimo: sempre in cerca di guai, sempre in bilico sull’orlo per superare il limite. Pensano un’impresa e subito la tentano, e più è difficile e più gli viene voglia: “Non l’ha fatta mai nessuno? Be’, è per questo che la debbo fare io. Se no chi la fa?”. Pensa solo a quanta gente è morta, prima che imparassimo a volare. Quelli che vanno in cerca di guai ci servono come il pane. Svolgono una fondamentale funzione cosmica, prima ancora che sociale. E’ una legge della fisica: non possiamo essere tutti perfettamente uguali, non esiste in natura la normalità. Pure se vai in spiaggia da Capo Portiere a Rio Martino e ti metti con il microscopio, tu non troverai due chicchi di sabbia perfettamente identici. Ora noi umani siamo sostanzialmente tutti uguali e le spinte che animano il conscio e l’inconscio di quella minoranza – quelli che, quando tutti guardano da una parte, loro invece guardano da un’altra: per terra, di lato, per aria o comunque oltre; i divergenti – quelle stesse spinte le abbiamo tutti, dentro. La maggioranza poi le reprime, per il fortissimo impulso a conformarsi agli altri, a sembrare in tutto e per tutto uguali per essere accettati dagli altri, amati e rassicurati. Per fortuna però ci sono pure quelli come Daniele Nardi – ma come anche Tom Ballard e Virginia Chimenti del resto, la funzionaria Onu di origini cisternesi caduta l’altro giorno col Boeing in Etiopia, mentre era in volo per Nairobi – che quelle spinte non le hanno represse ed hanno vissuto fino in fondo la voglia di divergere, di scoprire l’ignoto e superare i limiti imposti. Se non ci fossero al mondo quelli come loro – quelli che con gli occhi bambini e col sorriso sulle labbra sfidano l’inviolabile – noi staremmo tutti ancora all’età della pietra, anzi, pure prima: sopra le piante come ogni altra specie di scimmie, nel centro dell’Africa, a mangiare banane. Quando il primo di noi – un milione e mezzo d’anni fa – è sceso dall’albero, ha raccolto una pietra e con questa pietra ne ha scheggiata un’altra per farne un utensile e s’è levato in piedi in mezzo alla savana, a vedere se per caso passasse una gazzella, noi tutti in coro, da sopra all’albero, gli strillavamo: “Che cazzo stai a fa’? Torna subito qua sopra, che là sotto ti si mangiano i leoni”. Invece è lì che è nata la civiltà – la tèkne, lo sviluppo – il primo passo della civilizzazione, con tutti noi che dietro a lui, mano mano, siamo scesi dall’albero e un passo dopo l’altro, seguendo loro, siamo arrivati dove siamo, alle navicelle spaziali oramai pronte per la conquista dello spazio. Ogni singolo progresso dell’umanità è dovuto a quei pochi – come Daniele Nardi – nati e cresciuti con il fuoco dentro e privi del normale senso del limite. Li dovremmo solo ringraziare. Ciao, Daniele. Riposa in pace col tuo amico Tom Ballard. Vi sia lieve la neve che vi copre. Un pensiero ai vostri cari. a.p. – 12 marzo 2019
Non condivido una parola di questo articolo. Andare a suicidarsi per provare i propri limiti è un affare individuale, andare a rischiare la vita per farlo, crescere senza un marito o un padre no, è una cosa che ci riguarda tutti perchè come appunto il titolo del 3d è un fatto di "responsabilità" collettiva, non individuale, che viene prima e distingue un adulto da un bambino mai cresciuto, appunto. La sfida ha un senso se è razionale, sennò diventa appunto un suicidio. Detto per inciso credo che l'umanità abbia ricevuto molto di più da personaggi come Freud, Darwin e lo sconosciuto inventore dell' ombrello piuttosto che da questi inutili Peter Pan della sfida.
 
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Martoriato

Utente di lunga data
Non condivido una parola di questo articolo. Andare a suicidarsi per provare i propri limiti è un affare individuale, andare a rischiare la vita per farlo, crescere senza un marito o un padre no, è una cosa che ci riguarda tutti perchè come appunto il titolo del 3d è un fatto di "responsabilità" collettiva, non individuale, che viene prima e distingue un adulto da un bambino mai cresciuto, appunto. La sfida ha un senso se è razionale, sennò diventa appunto un suicidio. Detto per inciso credo che l'umanità abbia ricevuto molto di più da personaggi come Freud, Darwin e lo sconosciuto inventore dell' ombrello piuttosto che da questi inutili Peter Pan della sfida.

Esattamente.

Un povero narciso con seri problemi ai neurotrasmettitori della paura. Non scuso del tutto nemmeno la compagna per aver fatto un figlio con un individuo simile.
 

Brunetta

Utente di lunga data
L’autore è Antonio Pennacchi
 

Brunetta

Utente di lunga data
Anch’io non sono d’accordo e per me la mia protezione per senso di responsabilità è stata immediata, appena ho avuto in braccio mia figlia.
Però dà un punto di vista diverso.
 

spleen

utente ?
Anch’io non sono d’accordo e per me la mia protezione per senso di responsabilità è stata immediata, appena ho avuto in braccio mia figlia. Però dà un punto di vista diverso.
L'assunto che non regge è che l'umanità debba riconoscimento e conquiste a chi ha sfidato i limiti. Errato. L'umanità deve molto a chi ha pensato molto, anche in modo non convenzionale, ma la sfida parte dal pensiero, non dall'azione.
 

Lostris

Utente Ludica
Non condivido una parola di questo articolo. Andare a suicidarsi per provare i propri limiti è un affare individuale, andare a rischiare la vita per farlo, crescere senza un marito o un padre no, è una cosa che ci riguarda tutti perchè come appunto il titolo del 3d è un fatto di "responsabilità" collettiva, non individuale, che viene prima e distingue un adulto da un bambino mai cresciuto, appunto. La sfida ha un senso se è razionale, sennò diventa appunto un suicidio. Detto per inciso credo che l'umanità abbia ricevuto molto di più da personaggi come Freud, Darwin e lo sconosciuto inventore dell' ombrello piuttosto che da questi inutili Peter Pan della sfida.
Quoto.
E aggiungo:

La mia opinione sulla tragedia del NANGA PARBAT


ALPINISMO, RICERCA DEL LIMITE O FOLLIA?
Un grandissimo dell'alpinismo d'altri tempi, certo Cesarino Fava, mi diceva spesso "Se non vuoi rischiare niente dovresti startene nel letto, e non è detto che ti vada bene!"
Ho avuto, nella mia vita, la fortuna di ammalarmi di questa inesorabile malattia, che ti spinge a lasciare le certezze per avventurarti, con uno zaino sulla schiena e il futuro sulle punte delle dita, su pareti sempre più grandi, sempre più difficili, sempre più lontane... ancora più grande fortuna, l'aver potuto godere dell'amicizia, della saggezza, dell'esperienza di leggende come Walter Bonatti, Cesare Maestri, Sergio Martini, Almo Giambisi, e tanti altri con cui ho avuto l'opportunità di condividere grandi e piccole avventure. Per questo vissuto, credo di sapere e capire, con tutti i limiti della soggettività, cosa spinge un uomo a sfidare se stesso e, a volte, l'impossibile...
Perchè Alpinismo è, nella sua essenza, il desiderio di sfidare l'impossibile. E in questo senso non può avere limiti, o logiche.
Tuttavia, esiste un calcolo di quello che è il limite oltre il quale qualunque azione è, semplicemente, non più un sogno da inseguire ma una assoluta e insensata follia.
Ma è un calcolo intimamente soggettivo, che ogni alpinista elabora in base alla propria visione del mondo e dei valori della vita parametrati con le proprie ambizioni.
Però è altrettanto vero che la storia e le frontiere dell'alpinismo si sono sempre misurate sul superamento di difficoltà tecniche, e mai sul più o meno fortunoso superamento di situazioni oggettivamente pericolose!
Era una premessa necessaria per affrontare la tragedia che si è consumata, in questi giorni, sulla mostruosa quinta di roccia e ghiaccio di una grande montagna del Karakorum.
Ci sono infiniti motivi se, durante oltre un secolo di storia alpinistica estrema sulle grandi cime, il pilastro Mummery sul Nanga Parbat è rimasto inviolato. Il primo e più elementare è, semplicemente, che tutti i migliori alpinisti di ogni epoca hanno sempre valutato quella salita come un'impresa suicida, per la quale il rischio era infinite volte superiore alla eventuale riuscita, a fronte di nessun "avanzamento" delle frontiere alpinistiche. E questo concetto anche Daniele Nardi l'aveva dichiarato, in diretta, nell'ultima trasmissione televisiva a cui aveva partecipato prima di partire. Dichiarando anche, però, di voler compiere "qualcosa di nuovo".
E' qui che, secondo me, questa storia si intorbida, e ascoltando le ultime frasi in televisione dell'alpinista di Latina si avverte, netta, la sensazione di ascoltare una dichiarazione di suicidio.
La "via impossibile" sul pilastro del Nanga, sfiorata per errore soltanto dai fratelli Messner durante la tragica discesa del 1970 e in cui Ghunter sparì travolto da una valanga, non è determinata da grandi difficoltà alpinistiche, e la sua salita non apporterebbe alcun "merito" o crescita alla storia dell'alpinismo.
Ci sono vie in alta quota, salite da decine di ottimi alpinisti, che sono tecnicamente molto più impegnative rispetto allo sperone Mummery, ma questo è considerato "impossibile" da scalare a causa dei pericoli oggettivi assoluti che rendono quella parete di roccia uno scivolo naturale per la continua caduta di valanghe e seracchi di ghiaccio - grandi come palazzi di 8 piani - contro cui non esiste alcuna protezione nè possibilità di evitarli.
Per cercare di rendere comprensibile il livello di rischio, equivarrebbe a correre in contromano su un'autostrada affollata a 200 all'ora, però bendati.
Allora perchè accettare un rischio così sproporzionato? Domanda a cui non esiste risposta nè logica nè emotiva.
Perchè, in 120 anni di storia alpinistica, Daniele Nardi è stato l'unico a immaginare e tentare di salire il pilastro Mummery, e lo ha fatto per ben 5 volte e sempre con compagni diversi, tutti eccellenti alpinisti, che però non se la sono sentita di "ritentare" di rendere reale il sogno, o la follia, dell'alpinista laziale. Anche perchè, come già detto sopra, la storia dell'alpinismo si misura sulle difficoltà tecniche e sul loro superamento, e mai sui pericoli, che ovviamente ci sono, ma vengono valutati come una condizione inevitabile per confrontarsi, appunto, con le difficoltà tecniche. Parlando dello Sperone Mummery, invece, i pericoli oggettivi superano di gran lunga qualunque potenziale difficoltà tecnica, e rendono insensata la sua salita in quanto il rapporto "importanza della scalata/rischi oggettivi" è enormemente preponderante verso questi ultimi.
Oggi, sui giornali, personaggi di spicco del mondo alpinistico, da Messner a Moro, parlano apertamente di "suicidio"... può sembrare un'opinione crudele, irrispettosa, ma è purtroppo quanto avvenuto. Con l'aggravante che, nella sua follia, Daniele Nardi ha trascinato con se un giovane e straordinario talento dell'arrampicata, ma privo di qualsiasi esperienza in alta quota essendo alla sua prima spedizione sulle grandi montagne, e costretto un bimbo di sei mesi a crescere senza un padre.
Tutto il resto sono illazioni, opinioni, chiacchiere e teorie...
Ognuno sceglie il proprio destino, ma deve esserne consapevole e responsabile. Purtroppo, per l'alpinismo e gli appassionati di alpinismo, e per tutti quelli che vengono ancora contagiati da questa affascinante malattia, Daniele Nardi, a prescindere dalla solidarietà e compassione che si deve ad ogni visionario, rappresenta un "cattivo maestro". Disposto a sacrificare buon senso, esperienza, vita sua e di quelli che restano, in nome dell'ambizione di entrare nel "libro delle leggende" delle grandi imprese in montagna.
In opposizione a questa follia, mi torna in mente una frase di Manolo: "Non vado in montagna per morire, anzi. Ci vado per vivere la bellezza della Natura, lontano dalle contaminazioni sociali, dalle certezze soffocanti, dalle false sicurezze."
Pensando all'Alpinismo, ho sempre pensato a questo, e non a diventare "leggenda"...

Michele Dalla Palma
 

Brunetta

Utente di lunga data
Quoto.
E aggiungo:

La mia opinione sulla tragedia del NANGA PARBAT


ALPINISMO, RICERCA DEL LIMITE O FOLLIA?
Un grandissimo dell'alpinismo d'altri tempi, certo Cesarino Fava, mi diceva spesso "Se non vuoi rischiare niente dovresti startene nel letto, e non è detto che ti vada bene!"
Ho avuto, nella mia vita, la fortuna di ammalarmi di questa inesorabile malattia, che ti spinge a lasciare le certezze per avventurarti, con uno zaino sulla schiena e il futuro sulle punte delle dita, su pareti sempre più grandi, sempre più difficili, sempre più lontane... ancora più grande fortuna, l'aver potuto godere dell'amicizia, della saggezza, dell'esperienza di leggende come Walter Bonatti, Cesare Maestri, Sergio Martini, Almo Giambisi, e tanti altri con cui ho avuto l'opportunità di condividere grandi e piccole avventure. Per questo vissuto, credo di sapere e capire, con tutti i limiti della soggettività, cosa spinge un uomo a sfidare se stesso e, a volte, l'impossibile...
Perchè Alpinismo è, nella sua essenza, il desiderio di sfidare l'impossibile. E in questo senso non può avere limiti, o logiche.
Tuttavia, esiste un calcolo di quello che è il limite oltre il quale qualunque azione è, semplicemente, non più un sogno da inseguire ma una assoluta e insensata follia.
Ma è un calcolo intimamente soggettivo, che ogni alpinista elabora in base alla propria visione del mondo e dei valori della vita parametrati con le proprie ambizioni.
Però è altrettanto vero che la storia e le frontiere dell'alpinismo si sono sempre misurate sul superamento di difficoltà tecniche, e mai sul più o meno fortunoso superamento di situazioni oggettivamente pericolose!
Era una premessa necessaria per affrontare la tragedia che si è consumata, in questi giorni, sulla mostruosa quinta di roccia e ghiaccio di una grande montagna del Karakorum.
Ci sono infiniti motivi se, durante oltre un secolo di storia alpinistica estrema sulle grandi cime, il pilastro Mummery sul Nanga Parbat è rimasto inviolato. Il primo e più elementare è, semplicemente, che tutti i migliori alpinisti di ogni epoca hanno sempre valutato quella salita come un'impresa suicida, per la quale il rischio era infinite volte superiore alla eventuale riuscita, a fronte di nessun "avanzamento" delle frontiere alpinistiche. E questo concetto anche Daniele Nardi l'aveva dichiarato, in diretta, nell'ultima trasmissione televisiva a cui aveva partecipato prima di partire. Dichiarando anche, però, di voler compiere "qualcosa di nuovo".
E' qui che, secondo me, questa storia si intorbida, e ascoltando le ultime frasi in televisione dell'alpinista di Latina si avverte, netta, la sensazione di ascoltare una dichiarazione di suicidio.
La "via impossibile" sul pilastro del Nanga, sfiorata per errore soltanto dai fratelli Messner durante la tragica discesa del 1970 e in cui Ghunter sparì travolto da una valanga, non è determinata da grandi difficoltà alpinistiche, e la sua salita non apporterebbe alcun "merito" o crescita alla storia dell'alpinismo.
Ci sono vie in alta quota, salite da decine di ottimi alpinisti, che sono tecnicamente molto più impegnative rispetto allo sperone Mummery, ma questo è considerato "impossibile" da scalare a causa dei pericoli oggettivi assoluti che rendono quella parete di roccia uno scivolo naturale per la continua caduta di valanghe e seracchi di ghiaccio - grandi come palazzi di 8 piani - contro cui non esiste alcuna protezione nè possibilità di evitarli.
Per cercare di rendere comprensibile il livello di rischio, equivarrebbe a correre in contromano su un'autostrada affollata a 200 all'ora, però bendati.
Allora perchè accettare un rischio così sproporzionato? Domanda a cui non esiste risposta nè logica nè emotiva.
Perchè, in 120 anni di storia alpinistica, Daniele Nardi è stato l'unico a immaginare e tentare di salire il pilastro Mummery, e lo ha fatto per ben 5 volte e sempre con compagni diversi, tutti eccellenti alpinisti, che però non se la sono sentita di "ritentare" di rendere reale il sogno, o la follia, dell'alpinista laziale. Anche perchè, come già detto sopra, la storia dell'alpinismo si misura sulle difficoltà tecniche e sul loro superamento, e mai sui pericoli, che ovviamente ci sono, ma vengono valutati come una condizione inevitabile per confrontarsi, appunto, con le difficoltà tecniche. Parlando dello Sperone Mummery, invece, i pericoli oggettivi superano di gran lunga qualunque potenziale difficoltà tecnica, e rendono insensata la sua salita in quanto il rapporto "importanza della scalata/rischi oggettivi" è enormemente preponderante verso questi ultimi.
Oggi, sui giornali, personaggi di spicco del mondo alpinistico, da Messner a Moro, parlano apertamente di "suicidio"... può sembrare un'opinione crudele, irrispettosa, ma è purtroppo quanto avvenuto. Con l'aggravante che, nella sua follia, Daniele Nardi ha trascinato con se un giovane e straordinario talento dell'arrampicata, ma privo di qualsiasi esperienza in alta quota essendo alla sua prima spedizione sulle grandi montagne, e costretto un bimbo di sei mesi a crescere senza un padre.
Tutto il resto sono illazioni, opinioni, chiacchiere e teorie...
Ognuno sceglie il proprio destino, ma deve esserne consapevole e responsabile. Purtroppo, per l'alpinismo e gli appassionati di alpinismo, e per tutti quelli che vengono ancora contagiati da questa affascinante malattia, Daniele Nardi, a prescindere dalla solidarietà e compassione che si deve ad ogni visionario, rappresenta un "cattivo maestro". Disposto a sacrificare buon senso, esperienza, vita sua e di quelli che restano, in nome dell'ambizione di entrare nel "libro delle leggende" delle grandi imprese in montagna.
In opposizione a questa follia, mi torna in mente una frase di Manolo: "Non vado in montagna per morire, anzi. Ci vado per vivere la bellezza della Natura, lontano dalle contaminazioni sociali, dalle certezze soffocanti, dalle false sicurezze."
Pensando all'Alpinismo, ho sempre pensato a questo, e non a diventare "leggenda"...

Michele Dalla Palma
Interessante. Soprattutto l’opinione di Messner...non mia che trovo avventuroso salire su una scala per mettere le tende.

Fatto salvo che si può morire scivolando nella vasca da bagno, meglio non andare contromano.
 

danny

Utente di lunga data
Io credo che si abbia comunque sempre bisogno di qualche pazzo o di qualche eroe, ogni tanto.
In fin dei conti anche Gesù sapeva che il suo sarebbe stato un suicidio.
Questo è il senso dell'articolo.
 
Ultima modifica:

Skorpio

Utente di lunga data
Interessante. Soprattutto l’opinione di Messner...non mia che trovo avventuroso salire su una scala per mettere le tende.

Fatto salvo che si può morire scivolando nella vasca da bagno, meglio non andare contromano.
Sono d'accordo con te

Anche chi muore ammazzato perché ha denunciato chi gli chiedeva il pizzo, doveva pensare che era un padre di famiglia

E poi uno così non va sposato per forza, volendo c'è anche quello che scrive sul giornale (cit. Vasco Rossi)
 

Lara3

Utente di lunga data
IN MEMORIA DI DANIELE NARDI

In giro per Latina oltre che per i social c’è chi dice: “Ma chi glielo ha fatto fare? Come gli salta per la testa, a uno di Sezze, di andare fino sopra all’Himalaya, al Nanga Narbat, con moglie e un figlio piccolo a casa? Non glielo aveva detto pure Messner: rinunciate, non andateci?”. Be’, con tutto il rispetto per Messner, credo però che non ci sia stato nessuno – tra tutti quelli che lo hanno conosciuto sia a Sezze che a Latina, a cominciare dalla madre – che non gli abbia detto chissà quante volte: “Non partire Danie’, stàttene alla casa!”
Ma lui ti guardava con quegli occhi bambini, e poi sorrideva: “Debbo andare per forza”.
“Pìgliatela in quel posto, allora, adesso” dicono sui social o in giro per i bar, dimenticando che – prima o poi – si muore tutti a questo mondo, pure quelli che restano a casa. Pure giovani giovani, magari in macchina sulla Pontina o una Migliara, quando non proprio dentro il bagno di casa, scivolando sulla saponetta. Muoiono perfino quelli che non fumano – quelli che non hanno proprio mai fumato, mai drogato, mai bevuto, pensa tu! – mentre certi che fumano arrivano pure a cent’anni. C’è poco da fare: prima o poi si muore tutti e non conta – alla fine – come si muore, ma come si è vissuto.
Non c’è essere umano che – da bambino o adolescente – non abbia sognato di fare, da grande, ciò che nessun altro aveva mai fatto: nel lavoro, nello sport, nell’arte, nella scienza o nell’avventura. Poi man mano, crescendo, la maggior parte si adegua agli standard del reale e cerca una vita pressappoco uguale a quella degli altri: “Perché chiedere di più?”
Ci sono invece quelli – una minoranza – a cui il fuoco non si spegne con la crescita, a cui il fuoco rimane. A loro non basta una vita normale. Debbono sempre osare e stirarla al massimo: sempre in cerca di guai, sempre in bilico sull’orlo per superare il limite. Pensano un’impresa e subito la tentano, e più è difficile e più gli viene voglia: “Non l’ha fatta mai nessuno? Be’, è per questo che la debbo fare io. Se no chi la fa?”. Pensa solo a quanta gente è morta, prima che imparassimo a volare.
Quelli che vanno in cerca di guai ci servono come il pane. Svolgono una fondamentale funzione cosmica, prima ancora che sociale. E’ una legge della fisica: non possiamo essere tutti perfettamente uguali, non esiste in natura la normalità. Pure se vai in spiaggia da Capo Portiere a Rio Martino e ti metti con il microscopio, tu non troverai due chicchi di sabbia perfettamente identici. Ora noi umani siamo sostanzialmente tutti uguali e le spinte che animano il conscio e l’inconscio di quella minoranza – quelli che, quando tutti guardano da una parte, loro invece guardano da un’altra: per terra, di lato, per aria o comunque oltre; i divergenti – quelle stesse spinte le abbiamo tutti, dentro. La maggioranza poi le reprime, per il fortissimo impulso a conformarsi agli altri, a sembrare in tutto e per tutto uguali per essere accettati dagli altri, amati e rassicurati.
Per fortuna però ci sono pure quelli come Daniele Nardi – ma come anche Tom Ballard e Virginia Chimenti del resto, la funzionaria Onu di origini cisternesi caduta l’altro giorno col Boeing in Etiopia, mentre era in volo per Nairobi – che quelle spinte non le hanno represse ed hanno vissuto fino in fondo la voglia di divergere, di scoprire l’ignoto e superare i limiti imposti.
Se non ci fossero al mondo quelli come loro – quelli che con gli occhi bambini e col sorriso sulle labbra sfidano l’inviolabile – noi staremmo tutti ancora all’età della pietra, anzi, pure prima: sopra le piante come ogni altra specie di scimmie, nel centro dell’Africa, a mangiare banane. Quando il primo di noi – un milione e mezzo d’anni fa – è sceso dall’albero, ha raccolto una pietra e con questa pietra ne ha scheggiata un’altra per farne un utensile e s’è levato in piedi in mezzo alla savana, a vedere se per caso passasse una gazzella, noi tutti in coro, da sopra all’albero, gli strillavamo: “Che cazzo stai a fa’? Torna subito qua sopra, che là sotto ti si mangiano i leoni”.
Invece è lì che è nata la civiltà – la tèkne, lo sviluppo – il primo passo della civilizzazione, con tutti noi che dietro a lui, mano mano, siamo scesi dall’albero e un passo dopo l’altro, seguendo loro, siamo arrivati dove siamo, alle navicelle spaziali oramai pronte per la conquista dello spazio. Ogni singolo progresso dell’umanità è dovuto a quei pochi – come Daniele Nardi – nati e cresciuti con il fuoco dentro e privi del normale senso del limite. Li dovremmo solo ringraziare.
Ciao, Daniele. Riposa in pace col tuo amico Tom Ballard. Vi sia lieve la neve che vi copre.
Un pensiero ai vostri cari.

a.p. – 12 marzo 2019
Mio amante fa sport estremi, ma se dovesse smettere non è più lui. È così e basta. È una sfida nel superare i propri limiti. Mi ha coinvolto in qualche sua attività e sono rimasta sorpresa di quello che sono capace di fare. Importante dare sempre priorità alla prudenza. Ma la prudenza è relativa sia quando fai una pista blu sia quando fai fuori pista.
Che riposi in pace.
 

Brunetta

Utente di lunga data
Sono d'accordo con te

Anche chi muore ammazzato perché ha denunciato chi gli chiedeva il pizzo, doveva pensare che era un padre di famiglia

E poi uno così non va sposato per forza, volendo c'è anche quello che scrive sul giornale (cit. Vasco Rossi)
Mi pare che ci sia una differenza decisiva tra le motivazioni che portano a correre dei rischi.
Hai toccato un punto importante perché per denunciare i criminali io il rischio lo correrei senza esitazione perché il pensiero di fare una cosa giusta mi fa sentire invulnerabile.
E questo mi fa pensare che si tratta di una sensazione individuale di “eroismo” che porta a correre rischi per cose che si pensa valgano la pena.
Se penso a Bonatti penso a una figura eroica eppure rischi ne ha corsi!
 

Foglia

utente viva e vegeta
Mi pare che ci sia una differenza decisiva tra le motivazioni che portano a correre dei rischi.
Hai toccato un punto importante perché per denunciare i criminali io il rischio lo correrei senza esitazione perché il pensiero di fare una cosa giusta mi fa sentire invulnerabile.
E questo mi fa pensare che si tratta di una sensazione individuale di “eroismo” che porta a correre rischi per cose che si pensa valgano la pena.
Se penso a Bonatti penso a una figura eroica eppure rischi ne ha corsi!
Per me sarebbe importante come mi sento all'origine. Se mi sento (o non mi sento) di fare una cosa, avendone valutato i rischi.
Ecco: eviterei in ogni caso di farla PER divenirne una sorta di "testimonial". Potrei diventarlo ugualmente, ma non sarebbe quella la finalità per così dire "iniziale".

L'autore dell'articolo che hai postato in apertura, ha incentrato buona parte delle sue "riflessioni" sulla "utilità", di certe imprese. Sul fatto che a morire in imprese disperate , o temerarie, si sia necessariamente di aiuto allo sviluppo (inteso come progresso) di una società che in generale temeraria non lo e'. Ecco: io su questo non concordo. Sul fatto di far passare qualcuno come testimonial a tutti i costi, e costi cio' che costi. Siamo tutti testimoni di un percorso, che è il nostro, e banalizzare la normalità di qualunque vita (dicendo che "non ci porta avanti") allo scopo di dare un senso a un'altra vita, non lo posso condividere. La vita non si "dimostra". La vita è. Vita per tutti. E non sta certo a me o a chiunque altro metterla in contrapposizione con altre vite. Non guarderei alla utilità di una impresa temeraria quando sull'altro piatto della bilancia c'è un uomo, ancora prima di un padre, un figlio, un marito e un testimonial da "tifare". Capisco che potessero essere parole in risposta a chi ha detto che "se la e' cercata". Ecco: cercata proprio non credo.
 

Skorpio

Utente di lunga data
Mi pare che ci sia una differenza decisiva tra le motivazioni che portano a correre dei rischi.
Hai toccato un punto importante perché per denunciare i criminali io il rischio lo correrei senza esitazione perché il pensiero di fare una cosa giusta mi fa sentire invulnerabile.
E questo mi fa pensare che si tratta di una sensazione individuale di “eroismo” che porta a correre rischi per cose che si pensa valgano la pena.
Se penso a Bonatti penso a una figura eroica eppure rischi ne ha corsi!
L'ho toccato deliberatamente, quel punto importante

Anche perché le motivazioni che molti danno alla omertà sono esattamente le stesse.

"Tieni famiglia, non fare cazzate"

Che hanno una loro logica eh?

Si fa per ragionare spogli da giudizi sul "cosa stai facendo" e concentrandosi solo sui rischi delle possibili conseguenze
 

Brunetta

Utente di lunga data
Per me sarebbe importante come mi sento all'origine. Se mi sento (o non mi sento) di fare una cosa, avendone valutato i rischi.
Ecco: eviterei in ogni caso di farla PER divenirne una sorta di "testimonial". Potrei diventarlo ugualmente, ma non sarebbe quella la finalità per così dire "iniziale".

L'autore dell'articolo che hai postato in apertura, ha incentrato buona parte delle sue "riflessioni" sulla "utilità", di certe imprese. Sul fatto che a morire in imprese disperate , o temerarie, si sia necessariamente di aiuto allo sviluppo (inteso come progresso) di una società che in generale temeraria non lo e'. Ecco: io su questo non concordo. Sul fatto di far passare qualcuno come testimonial a tutti i costi, e costi cio' che costi. Siamo tutti testimoni di un percorso, che è il nostro, e banalizzare la normalità di qualunque vita (dicendo che "non ci porta avanti") allo scopo di dare un senso a un'altra vita, non lo posso condividere. La vita non si "dimostra". La vita è. Vita per tutti. E non sta certo a me o a chiunque altro metterla in contrapposizione con altre vite. Non guarderei alla utilità di una impresa temeraria quando sull'altro piatto della bilancia c'è un uomo, ancora prima di un padre, un figlio, un marito e un testimonial da "tifare". Capisco che potessero essere parole in risposta a chi ha detto che "se la e' cercata". Ecco: cercata proprio non credo.
Concordo.
Io trovo eroico alzarsi tutte le mattine alle 6 per quarant’anni essendo un anonimo lavoratore.
 

Brunetta

Utente di lunga data
L'ho toccato deliberatamente, quel punto importante

Anche perché le motivazioni che molti danno alla omertà sono esattamente le stesse.

"Tieni famiglia, non fare cazzate"

Che hanno una loro logica eh?

Si fa per ragionare spogli da giudizi sul "cosa stai facendo" e concentrandosi solo sui rischi delle possibili conseguenze
Però il per cosa si corrono i rischi è fondamentale.
Libero ognuno di correrli per la dignità e la legalità e la solidarietà o per un fuori pista.
Liberi gli altri di considerare nobile o assurda la motivazione.
 

Skorpio

Utente di lunga data
Però il per cosa si corrono i rischi è fondamentale.
Libero ognuno di correrli per la dignità e la legalità e la solidarietà o per un fuori pista.
Liberi gli altri di considerare nobile o assurda la motivazione.
Certo, è un giudizio

Che ricade fatalmente nella individuale considerazione di ciò che è giusto o sbagliato

Ho visto stamani ragazze con la tuta della nazionale scendere a una velocità pazzesca su una nera

Io non avrei voluto fermarle mai, erano bellissime
 

Arcistufo

Papero Talvolta Posseduto
Concordo.
Io trovo eroico alzarsi tutte le mattine alle 6 per quarant’anni essendo un anonimo lavoratore.
Gente che ragiona così è il motivo per cui io posso alzarmi alle 9 e incularmi a sale il mio schiavo che si é alzato alle 5 e ha fatto tardi. Avanti così.
Dio, quanto amo i polli in batteria. :rotfl:
 

Foglia

utente viva e vegeta
Gente che ragiona così è il motivo per cui io posso alzarmi alle 9 e incularmi a sale il mio schiavo che si é alzato alle 5 e ha fatto tardi. Avanti così.
Dio, quanto amo i polli in batteria. :rotfl:
O hai come dipendenti degli scemi.
O altrimenti nei posti lager dove la gente va malvolentieri il turn over e' garantito.
Non è che ti alzi alle cinque per essere inculato.
Di solito. Altrimenti inizio a preoccuparmi :)
 
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