Scienza vs filosofia

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Questo mi sembra scontato, dal Neanderthal in poi... credo che si chiami evoluzione e che coinvolga l'essere umano a 360°, per quanto poi è l'essere umano stesso che perde la sua "memoria storica" a livello conscio, ma non inconsciamente... ci sono quelle cose che vengon "registrate" e poi "riportate" nelle generazioni future, diventano componenti biologiche...
Forse, quello che intende feather è un livello diverso: cioè quando gli strumenti prendono poi il sopravvento e sostituiscono l'essere umano, anche nel pensare e proiettarsi...
Non è andata proprio così ma è spiegato egregiamente nel post di Tullio.
E ricordiamoci che perfino il concetto di evoluzione era sconosciuto prima del 1800.
 

spleen

utente ?
Questo mi sembra scontato, dal Neanderthal in poi... credo che si chiami evoluzione e che coinvolga l'essere umano a 360°, per quanto poi è l'essere umano stesso che perde la sua "memoria storica" a livello conscio, ma non inconsciamente... ci sono quelle cose che vengon "registrate" e poi "riportate" nelle generazioni future, diventano componenti biologiche...
Forse, quello che intende feather è un livello diverso: cioè quando gli strumenti prendono poi il sopravvento e sostituiscono l'essere umano, anche nel pensare e proiettarsi...
(Adesso mi attiro gli strali di Tullio) :D
In effetti le cose dovrebbero stare in maniera un pochino diversa, non so' se tu hai letto "La macchina dei memi" di Susan Blackmore, ecco, sta signora sostiene che nella società sopravvivono, si modificano e si rafforzano solo le "componenti della cultura sociale" che dimostrano di saper resitere nel tempo, una sorta di principio della selezione naturale darwiniana applicato alle idee e ai concetti culturali (che lei definisce "memi").
In pratica, semplificando agli estremi la cosa, un bambino che nasce non ricorda le esperienze vissute dalle generazioni che lo hanno preceduto ma può attingere solamente a 2 elementi, il primo è la parte subconscio-evolutiva, raffinata in millenni di evoluzione della specie, codificata nel nostro comportamento istintivo, il secondo è la cultura della società dove viene al mondo.
La speculazione scientifica oggi, comunque apre molti più scenari della filosofia speculativa, perchè dispone di maggiori e intriganti occasioni, per esempio la meccanica quantistica nel comportamento paradossalmente "casuale" di alcune particelle si è perfino spinta ad ipotizzare la presenza di universi paralleli, dunque realtà, diverse da quella che noi viviamo.
Mi stò annoiando da solo, smetto.
 

lolapal

Utente reloaded
(Adesso mi attiro gli strali di Tullio) :D
In effetti le cose dovrebbero stare in maniera un pochino diversa, non so' se tu hai letto "La macchina dei memi" di Susan Blackmore, ecco, sta signora sostiene che nella società sopravvivono, si modificano e si rafforzano solo le "componenti della cultura sociale" che dimostrano di saper resitere nel tempo, una sorta di principio della selezione naturale darwiniana applicato alle idee e ai concetti culturali (che lei definisce "memi").
In pratica, semplificando agli estremi la cosa, un bambino che nasce non ricorda le esperienze vissute dalle generazioni che lo hanno preceduto ma può attingere solamente a 2 elementi, il primo è la parte subconscio-evolutiva, raffinata in millenni di evoluzione della specie, codificata nel nostro comportamento istintivo, il secondo è la cultura della società dove viene al mondo.
La speculazione scientifica oggi, comunque apre molti più scenari della filosofia speculativa, perchè dispone di maggiori e intriganti occasioni, per esempio la meccanica quantistica nel comportamento paradossalmente "casuale" di alcune particelle si è perfino spinta ad ipotizzare la presenza di universi paralleli, dunque realtà, diverse da quella che noi viviamo.
Mi stò annoiando da solo, smetto.
Io non mi sono annoiata affatto. :)
Non ho letto il libro che suggerisci, ma hai sintetizzato quello che penso anche io... credo che andrò in biblioteca a cercarlo... grazie. :)
 

spleen

utente ?
Io non mi sono annoiata affatto. :)
Non ho letto il libro che suggerisci, ma hai sintetizzato quello che penso anche io... credo che andrò in biblioteca a cercarlo... grazie. :)
Attenta che però è un po' palloso.
Se ti va' leggiti anche " Il gene egoista" di Dawkins.
 

lolapal

Utente reloaded
Attenta che però è un po' palloso.
Se ti va' leggiti anche " Il gene egoista" di Dawkins.
La "pallosità" è una cosa soggettiva... e io sono un po' "pallosetta" di mio... :)
 

spleen

utente ?
La "pallosità" è una cosa soggettiva... e io sono un po' "pallosetta" di mio... :)
Non si direbbe.... davvero.
Una a cui piace la comicità di Allen che era fatta di battute intelligenti e fulminanti.....
Io piuttosto, a volte :(
 

lolapal

Utente reloaded
Non si direbbe.... davvero.
Una a cui piace la comicità di Allen che era fatta di battute intelligenti e fulminanti.....
Io piuttosto, a volte :(
Ma Allen piace anche a te, quindi... [emoji6] [emoji4]
 

tullio

Utente di lunga data
Strali!

Questa dei memi è una conversazione che continua su vari 3d, con Spleen, Conte, Giorgiocan... e non è affatto male come chiacchierata. Pertanto...vai con gli strali!!! :)
MI ha colpito la riflessione che fece una persona in relazione alla morbidezza della pelle: nessuno di noi, immagino, vive lavorando la pelle o le stoffe, e quiindi ha particolari abilità a riguardo. Eppure noi siamo in grado di vedere la morbidezza della pelle (o delle stoffe e così via...). E questa è una cosa strana poiché la morbidezza si "sente" e non si vede. Ora possiamo supporre che la nostra capacità di vederla derivi da memi ereditati oppure possiamo supporre che derivi dal fatto che, a partire dei primi ominidi che lavoravano la pelle, i gesti tramandati siano entrati così profondamente nei nostri codici appresi (e non ereditati) che sono giunti a noi dalle nostre mamme che ci cullavano e coccolavano avvolgendoci in morbidi panni e massaggiavano la nostra pelle (o ci facevano sentire la loro) sino a interiorizzare valenze cognitive.
Possiamo dunque sceglire tra ereditarietà e cultura. La prima mi pare troppo facile come via.
 

giorgiocan

Utente prolisso
Eccomi!! :D

derivi dal fatto che, a partire dei primi ominidi che lavoravano la pelle, i gesti tramandati siano entrati così profondamente nei nostri codici appresi (e non ereditati) che sono giunti a noi dalle nostre mamme che ci cullavano e coccolavano avvolgendoci in morbidi panni e massaggiavano la nostra pelle (o ci facevano sentire la loro) sino a interiorizzare valenze cognitive.
Possiamo dunque sceglire tra ereditarietà e cultura. La prima mi pare troppo facile come via.
Quando ti leggo, tullio, tendo sempre ad apprezzare quello che scrivi. La cosa insolita è che pur condividendo pienamente buona parte delle tue argomentazioni, al bivio mi trovo sempre a prendere l'altra strada! ;)

Io definirei la situazione da te proposta come un esempio da manuale del funzionamento dei cosiddetti neuroni specchio (http://it.wikipedia.org/wiki/Neuroni_specchio). Il fatto è che la facoltà di apprendere così profondamente qualcosa anche soltanto osservandolo è un "dono" evolutivo senza ombra di dubbio, noto in molte (altre! :D) specie animali e di cui siamo maestri assoluti da molto prima di comunicare tramite un linguaggio vero e proprio. Quindi, dal mio punto di vista, ereditarietà. Ma ovviamente questo particolare funzionamento del cervello ha lo scopo preciso di assorbire la cultura legata al proprio ambiente (con una specificità inaudita, pensate solo ai "sottodialetti" che potete incontrare in zone diverse della medesima città, coesistenti rispetto alle influenze implicate dal livello di integrazione offerto da qualsiasi ambiente urbano): insomma, è uno dei principi della capacità di adattamento di una qualsiasi popolazione al proprio habitat nel tempo. Forse stavolta di troviamo di fronte a un ibrido tra "animalità" e "umanità" entrambi propri del nostro bagaglio?
 
Questa dei memi è una conversazione che continua su vari 3d, con Spleen, Conte, Giorgiocan... e non è affatto male come chiacchierata. Pertanto...vai con gli strali!!! :)
MI ha colpito la riflessione che fece una persona in relazione alla morbidezza della pelle: nessuno di noi, immagino, vive lavorando la pelle o le stoffe, e quiindi ha particolari abilità a riguardo. Eppure noi siamo in grado di vedere la morbidezza della pelle (o delle stoffe e così via...). E questa è una cosa strana poiché la morbidezza si "sente" e non si vede. Ora possiamo supporre che la nostra capacità di vederla derivi da memi ereditati oppure possiamo supporre che derivi dal fatto che, a partire dei primi ominidi che lavoravano la pelle, i gesti tramandati siano entrati così profondamente nei nostri codici appresi (e non ereditati) che sono giunti a noi dalle nostre mamme che ci cullavano e coccolavano avvolgendoci in morbidi panni e massaggiavano la nostra pelle (o ci facevano sentire la loro) sino a interiorizzare valenze cognitive.
Possiamo dunque sceglire tra ereditarietà e cultura. La prima mi pare troppo facile come via.
Pensa io vivo nel distretto conciario più grande di Europa.
E questo è il mio vicino di casa...
http://www.ilgiornaledivicenza.it/s..._due_fratelli_vicentini_sbaragliano_il_macef/

Ora vediamo l'ereditarietà.

Agostino Mioli oramai è anziano.

Siccome a confezionare borse non si impara con la scienza e sui libri,
ha deciso di tenere un corso per la locale scuola professionale.

Vi è tutto un sapere che non compare nei testi filosofici e nei libri di scienza, ma che nasce dal testo padre che si chiama untodegumbio e si nutre di quella parola che i nostri artigiani chiamano "malissia"...

E vi è tutto un mondo sottoculturale che non ha base scientifica o filosofica, ma semplicemente empirica...



Moda e musica che si fondono insieme nell'accessorio per eccellenza: la borsa. Il tutto nel segno del made in Italy più autentico, in un mix di creatività e artigianalità. Così due fratelli di Lonigo, Graziano e Moreno Giacomello (43 e 47 anni), hanno sbaragliato la concorrenza al recente Macef di Milano. Il loro marchio Boron Moda e Musica («un atto d'amore verso nostra madre, scomparsa da poco») è stato nominato “Prodotto novità dell'anno” e si è aggiudicanto il premio “Miglior Accessorio Tailor Bags” - “per la ricercatezza delle decorazioni e l'estrema cura del dettaglio” - mettendo in fila i più importanti nomi del settore. Insomma un debutto da incorniciare per i due leoniceni che arrivano dal mondo della musica (compositore e produttore Graziano, musicista Moreno), ma che premia quasi tre anni di lavoro, studio, ricerca. E un'idea che ha appassionato sin da subito addetti ai lavori e buyer. Ogni borsa, infatti, rigorosamente fatta a mano in tutte le sue parti, è accompagnata da un cd musicale con tanto di bollino Siae a certificarne l'originalità e la garanzia del made in Italy. Borse di fatto numerate ad una ad una, pezzi unici, vere e proprie opere d'arte. Borse che parlano veneto. Per confenzionarle i due fratelli si sono affidati alle sapienti mani di due artigiani di Arzignano, Agostino Mioli e la moglie Adele Groppo, mentre Stefano Busato di Dolo si è occupato della stampa a raggi ultravioletti atossica (in Italia esistono solo due sole macchine per questo tipo di stampa). «Trovare il team giusto non è stato semplice - spiega Graziano - Pellame, cucitura a mano, stampa: tutto doveva essere fatto in Italia». Con quel sapore un po' retrò in grado di far sognare. Niente sito internet, niente e-commerce, ma un catalogo fatto rilegare a mano. «Possiamo dire di essere tornati agli anni '70 e l'intento è anche quello di ridare valore al negozio, altro aspetto molto apprezzato dai buyer». Che infatti a quanto pare non hanno perso tempo, prendendo letteralmente d'assalto il piccolo stand di Graziano e Moreno. Emirati Arabi, Cina, Giappone, Costa d'Avorio, Capo Verde, Svizzera: tutti pazzi per quei bauletti in pelle stampati in tema safari con gli occhi del leopardo che sembrano seguire il movimento delle persone. «Mai visto un prodotto così», «Voi Veneti siete proprio bravi, avete talento e creatività». È stato questo il tenore dei commenti. Due le linee presentate e dodici modelli. «Un successo inaspettato, per noi essere in nomination era già una vittoria», ammettono i due fratelli. Che dimostrano però di avere le idee ben chiare: «Vogliamo salvaguardare il made in Italy e far lavorare gente della nostra zona». Quanto? «Faremo tre, quattrocento borse al mese non di più - assicura Graziano -. Privilegiamo i concetti di lavorazione limitata e di qualità, verificando pezzo per pezzo. Anche perché partiamo dal cartamodello, che poi trasferiamo su pc, e ogni operazione richiede molto tempo: per fare i manici di una borsa, ad esempio, ci vogliono quasi tre ore di lavoro». Un ritorno al passato, al lavoro di bottega, per guardare al futuro attraverso la creazione di un prodotto di nicchia, di prestigio. Tanto che al Macef, nato come salone internazionale della casa, c'è stato anche chi ha richiesto le borse griffate Boron Moda e Musica come elementi di arredo e di design. Perché la creatività, alla fine, è senza confini. «E quella italiana ha da sempre qualcosa di speciale, per questo va salvaguardata».
Nicola Gobbo
 
Eccomi!! :D



Quando ti leggo, tullio, tendo sempre ad apprezzare quello che scrivi. La cosa insolita è che pur condividendo pienamente buona parte delle tue argomentazioni, al bivio mi trovo sempre a prendere l'altra strada! ;)

Io definirei la situazione da te proposta come un esempio da manuale del funzionamento dei cosiddetti neuroni specchio (http://it.wikipedia.org/wiki/Neuroni_specchio). Il fatto è che la facoltà di apprendere così profondamente qualcosa anche soltanto osservandolo è un "dono" evolutivo senza ombra di dubbio, noto in molte (altre! :D) specie animali e di cui siamo maestri assoluti da molto prima di comunicare tramite un linguaggio vero e proprio. Quindi, dal mio punto di vista, ereditarietà. Ma ovviamente questo particolare funzionamento del cervello ha lo scopo preciso di assorbire la cultura legata al proprio ambiente (con una specificità inaudita, pensate solo ai "sottodialetti" che potete incontrare in zone diverse della medesima città, coesistenti rispetto alle influenze implicate dal livello di integrazione offerto da qualsiasi ambiente urbano): insomma, è uno dei principi della capacità di adattamento di una qualsiasi popolazione al proprio habitat nel tempo. Forse stavolta di troviamo di fronte a un ibrido tra "animalità" e "umanità" entrambi propri del nostro bagaglio?
Sai una cosa?
Parliamo della pratica di uno strumento musicale
I bambini imparano tantissimo per emulazione...

L'ho capito da loro...

"dai mostrami come si fa..."
 

giorgiocan

Utente prolisso
Sai una cosa?
Parliamo della pratica di uno strumento musicale
I bambini imparano tantissimo per emulazione...
Verissimo. Io sono stato molto avvantaggiato dall'aver cominciato giovanissimo, il che mi ha reso possibile fare facilmente collegamenti tra culture musicali e strumentali diverse. Poi, Conservatorio a parte, ho mantenuto vivo il "metodo empirico", che invece spesso chi si fa erudito accantona per pregiudizio e (a volte) snobismo.
 
Verissimo. Io sono stato molto avvantaggiato dall'aver cominciato giovanissimo, il che mi ha reso possibile fare facilmente collegamenti tra culture musicali e strumentali diverse. Poi, Conservatorio a parte, ho mantenuto vivo il "metodo empirico", che invece spesso chi si fa erudito accantona per pregiudizio e (a volte) snobismo.
Hai voglia
Da cui il mio maestro che dice...
Sai il tale sona come un musicologo
ha studiato sui trattati di diteggiatura, ma non sulla tastiera...:rotfl::rotfl::rotfl::rotfl:
 
Eccolo...

Per esempio questo film spiega in maniera egregia la portata della rivoluzione compiuta da Galileo Galilei...
A quanto pare fu la filosofia a dire alla scienza...OK...tutto quel che volete, ma siete sicuri che il vostro punto di osservazione sia assoluto?

[video=youtube;y5ZnbXjo45c]https://www.youtube.com/watch?v=y5ZnbXjo45c[/video]
 

Nobody

Utente di lunga data
Non concordo sul fatto che l'oggettività della scienza si basi sulla soggettività dell'essere umano.
C'è larga parte della matematica e fisica che non ha riscontri nella soggettività dell'individuo ma dà comunque misure tangibili.
Forse era così all'inizio, la soggettività delle percezioni umane è stata la scintilla che ha dato il via. Ma ora la scienza non ha bisogno, ne può, basarsi più su questo. O rimarrà ancorata al poco che l'essere umano è in grado di percepire e capire. La matematica serve proprio a questo. Ad andare oltre a quello che la mente umana può concepire e analizzare.
In matematica si possono studiare spazi a n dimensioni, che sono completamente fuori dalla capacità di astrazione umana, non li puoi visualizzare nella testa. Eppure ci sono strumenti che ti permettono di studiarli lo stesso. Anche se sono fuori da quello che la tua mente percepisce e capisce.
Non so se mi sono spiegato.
Non direi proprio, anzi è la presenza e la soggettività dell'osservatore a far si che gli elettroni o i fotoni si comportino in un certo modo o meno. Direi che la fisica moderna semmai rivaluta pienamente questo.
 

OcchiVerdi

Utente di lunga data

Don Desiderio

In attesa dell'evento
A me sembra che la battaglia sia ormai persa, da parte della filosofia: basta guardarsi attorno, leggere qualche giornale (per capire che aria tira) o guardare un po' di tv o le pubblicità nella metro (idem) per comprendere che lo spirito filosofico sia esaurito, soprattutto a causa della modalità scientifica di vedere il mondo.

Quando vedo le pubblicità degli shampoo o dei dentifrici o dei pannolini ambientati in presunti laboratori scientifici con personale in camice bianco che scruta nei microscopi; quando leggo (era sull'inserto settimanale del Corriere, tempo fa) che era stato individuato il punto del cervello responsabile del "male" nell'uomo (salvo poi rettificare che si intendeva non il male, ma la violenza: che è tutt'altro); quando sento che tutte le discussioni tra i non analfabeti si fermano davanti al nuovo totem della "neuroscienza", magari neanche sapendo di cosa si tratta e come funziona (neppure grossolanamente), confortati in ciò dalle più recenti news che narrano di "recenti studi dell'Università di Vattelapesca ha dimostrato che", con un punto rosso in un'immagine stilizzata del cervello per dimostrare che lì è situata l'origine del desiderio o dell'amore, allora capisco che c'è ben poco più da fare.

Leggere o rileggere i classici, forse. Ma c'è sempre il limite dello scritto, già segnalato dai Greci rispetto alla cultura orale: lo scritto non può rispondere, né sa difendersi da solo. Occorre avere buoni maestri, o amici ritenuti tali, che possano indicare una strada tra la miriade sconfinata di "considerazioni" o "riletture" o "interpretazioni" - ormai a questo si è ridotta la filosofia accademica -, o col quale aiutarsi a trovare una strada.

Heidegger scrisse brutalmente che "la scienza non pensa", ed è questo ciò che la distingue realmente dalla filosofia: la scienza non riflette cioè su se stessa, ma va avanti secondo uno schema ripetitivo.
Provate a fare una domanda ad un medico (esempio banale di professionista di formazione scientifica), che vada oltre la sua preparazione o la sua visione del mondo su di un caso medico, anche di sua stretta competenza: vi dirà "buona domanda" ma poi tace, o "questo non è scritto nei libri", e basta.

Sembra finita, storicamente, a partire da Hegel, proprio colui che, all'opposto di Kant, aveva fatto della "totalità" il centro della sua speculazione: totalità intesa come mediazione.
Kant invece, proprio per trovare dei limiti oggettivi alla conoscenza umana, ne pose dei confini invalicabili, descrivendo in una meravigliosa indimenticabile pagina della Critica della ragion pura il terreno della scienza come un'isola (la terraferma, l'episteme, che in greco vuol dire stare sopra) circondata da un mare in tempesta (la metafisica).

Mi sembra chiaro che se limiti la possibilità della conoscenza alla sola terraferma, allora sulla terraferma non può che vigere la legge della scienza: non puoi andare avanti con elucubrazioni metafisiche prive di riscontri oggettivi. Soprattutto, poi, perché non sono "utili", cioè immediatamente utilizzabili.
Lo codificherà Popper, con il concetto della falsificabilità: la metafisica non la puoi falsificare, dunque non è scientifica, cioè non è vera, e allora a che serve? A chi può importare più, allora, disquisire una vita intera su qualcosa sapendo già, in partenza, che non è vera?
Non bisogna mai dimenticare che la verità è l'istanza originaria della filosofia: se le togli quella, cosa le resta? Altre branche, certo, come l'etica o la filosofia politica: ma puoi proporti di farle tralasciando il concetto di verità?
D'altra parte la scienza ti può dare una risposta sulla verità ad esempio di una legge fisica: ma si tratta nella quasi totalità di questioni quantitative, misurabili.
La qualità però non la puoi misurare.
E neanche l'interiorità della coscienza umana.

L'unico (meglio, il più importante) che tentò una strada diversa fu nella prima parte del 900 il francese Bergson (accento sulla o), considerato non a caso "il grande rimosso del Novecento", del quale negli ultimi tempi ci si inizia ad interessare con maggior vigore, perché attualissimo.
Egli aveva tra l'altro il dono di una scrittura brillante, tanto da ricevere il Nobel per la letteratura: e allora i filosofi che inventavano nuovi termini o scrivevano della "costituzione d'essere dell'Esserci", con tutti i loro seguaci e le loro confraternite, come dovevano considerarlo?
Tra l'altro era francese, non tedesco (patria di Kant ed Hegel, poi anche Nietzsche, Schopenhauer, Schelling ecc.), e tra i due popoli, e rispettivi apparati accademici, non correva certo buon sangue.
Si interessò proprio, tra l'altro, dei rapporti tra scienza e filosofia, ed è interessante notare che la scienza del suo tempo era l'antenata delle nostre neuroscienza: si chiamava psicofisica, cioè la misurazione scientifica (fatta con strumenti dell'epoca) delle reazioni emotive. Per questo le sue critiche, i suoi ragionamenti, le sue riflessioni, stanno tornando a interessare molti, adesso.

Insomma, la vedo dura, sia in sé, dal punto di vista storico; sia anche perché, pur notando l'interesse di alcuni scienziati o pseudo tali verso questioni diverse da quelle meramente quantitative, noto una grande loro difficoltà nel trovare risposte confacenti alle loro domande: non tanto perché non sia possibile rispondervi, ma perché o non sanno cercare o preferiscono limitarsi a scopiazzare, citando o meno, qualche testo (no, qualche riga) di qualche filosofo per placarsi la coscienza, e mostrarsi al loro pubblico come scienziati illuminati, cioè filosofi, cioè quello che in origine non volevano essere.

P.S.: troppo lunga, eh?
 

Hellseven

Utente di lunga data
Non sono particolarmente d'accordo con la tua riflessione, ma già ti voglio bene. Benvenuto. ;)
Mi associo al benvenuto di George the Dog, concittadino.
Si vede che sei un filosofo della Magna Grecia, e io abbisogno di speculazioni in campo intellettuale quasi quanto necessito di eiaculazioni in campo fisiologico.
 
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